Massimo Novelli, Il Fatto Quotidiano 28/11/2016, 28 novembre 2016
È MORTO L’UOMO DEI SEGRETI FIAT. E FIAT RESTA IN SILENZIO
Nelle vecchie storie del partito comunista sovietico, ai tempi di Stalin, si era soliti cancellare, a seconda della “purga” in atto, i nomi dei leader caduti in disgrazia. Come se non fossero, insomma, mai esistiti.
Anche nella storia della Fiat, la già Fabbrica Italiana Automobili Torino, ora divenuta Fca, quella pratica è consueta, così come i “gialli” e le vicende inquietanti non mancano. Basterebbe ricordare la conquista del potere e dell’azienda da parte del senatore Giovanni Agnelli, e poi la morte misteriosa nel 1904 di Emanuele Cacherano di Bricherasio, uno dei fondatori della fabbrica torinese.
Oppure la singolare assunzione del maggiore Roberto Navale, implicato nel- l’omicidio nel 1937 dei fratelli antifascisti Carlo e Nello Rosselli, a capo del servizio di sicurezza del- l’impero degli Agnelli; fino alle scomparse egualmente poco chiare di Giorgio ed Edoardo Agnelli, rispettivamente fratello e figlio di Gianni Agnelli.
Adesso, però, è di scena il caso clamoroso di oblio di un uomo che, davvero, ha rappresentato un pezzo notevole di storia della Fiat. Si tratta dell’avvocato Luchino Revelli di Beaumont, appartenente a una famiglia d’antica nobiltà piemontese.
Volontario di guerra, ex presidente della Fiat Argentina ed ex direttore della Fiat France, considerato il “ministro degli Esteri” di Gianni Agnelli in svariate operazioni (dall’Urss alla Cina, dalla Libia al Sudanerica), è morto recentemente, all’età di 97 anni.
Un uomo non comune, dunque, in contatto con Juan Domingo Peròn e Nasser, Salvador Allende e Omar Torrijos; tuttavia talmente rimosso dalla memoria pubblica, e da quella della Fiat, da non meritare nessun cenno sulla grande stampa, con le doverose eccezioni comparse sul Web e su La Verità di Maurizio Belpietro.
Come hanno scritto i figli Laura e Paolo, e i nipoti, nel necrologio apparso sul Corriere della Sera dell’11 novembre scorso, Revelli di Beaumont fu “per vent’anni, anche a rischio della propria vita”, “al servizio della Fiat poi immemore ed insensibile al gravissimo danno esistenziale da lui subito”.
Era stato, continuano i familiari, “Assistente del- l’Amministratore Delegato Umberto Agnelli, Direttore del personale estero, Segretario del Comitato Esecutivo, Rappresentante personale per le Relazioni Internazionali del Presidente Giovanni Agnelli, Presidente Fiat Argentina, Vicepresidente operativo Fiat do Brasil, Direttore Generale Fiat France”, oltre che “apportatore del finanziamento Libia, determinante per Fiat”.
Eppure la Fiat, per i figli, è stata “immemore ed insensibile”.
Il duro atto di accusa verso gli Agnelli, indifferenti al “gravissimo danno esistenziale” subito dal manager, ha una origine precisa: quanto accadde a Parigi il 13 aprile 1977.
È il giorno in cui l’avvocato piemontese viene sequestrato da un commando di uomini armati, che, secondo le prime notizie, farebbero parte di un gruppuscolo argentino di peronisti di sinistra. In realtà si verrà in seguito a sapere che, tra i pretesi rivoluzionari, ci sono dei noti fascisti e persino dei membri dei famigerati squadroni della morte della Triple A, l’Alleanza Anticomunista Argentina che operava negli anni Settanta, all’epoca del ritorno di Peròn dall’esilio di Madrid. Un ritorno, questo del Caudillo in patria nel 1973, in cui hanno un ruolo lo stesso Revelli di Beaumont e la Fiat, che l’avrebbe finanziato perché interessata a ristabilire l’ordine in Argentina con Peròn al potere.
Fatto sta che il dirigente di Fiat France è rilasciato dopo due mesi e 37 giorni di prigionia, dietro pagamento di un riscatto, a Ginevra, di due milioni di dollari (inizialmente ne avevano pretesi 30).
Alcuni dei responsabili del sequestro vengono arrestati e processati. Ma i retroscena della vicenda, che coinvolge fascisti, servizi segreti e uomini politici argentini e di altri Paesi, passando dalla loggia P2 alla CIA, restano nell’ombra. Laura, la figlia di Revelli di Beaumont, dichiarerà a El Pais: “Mio padre fu vittma di un insolito intreccio di interessi politici ed economici, ai quali si aggiunsero le relazioni che aveva con Peròn”.
E proprio un uomo del dittatore argentino, il faccendiere Hector Villalòn, verrà accusato di complicità nel rapimento, riuscendo comunque a cavasela e diventare miliardario in Brasile. Verrà fuori che Peròn, un giorno, aveva confidato a Revell di Beaumont che Villalòn era un traditore.
Revelli di Beaumont esce sconvolto dal sequestro, durante il quale è stato costretto pure a redigere una sorta di “libro nero” dei presunti misfatti, mazzette e altro, della Fiat in Argentina. Si dice che sia in preda alla sindrome di Stoccolma, di sicuro ha delle profonde alterazioni mentali (invalido al cento per cento).
La Fiat, in compenso, secondo Le Monde, si rifiuta di pagare le spese mediche nonostante ci fosse un accordo verbale con Umberto Agnelli, e, in ogni caso, lo mette in pensione velocemente, ad appena 58 anni.
Il quotidiano parigino dice di più in un articolo del 2007. L’ambasciatore Albert Chambon, ricorda il giornale, ossia un amico di Revelli di Beaumont che aveva avuto “un ruolo decisivo per la sua liberazione”, racconta “che in Fiat certi avevano sturato lo champagne venendo a sapere del rapimento”, e che “la polizia francese conosceva il luogo in cui era detenuto, ma non era intervenuta”.
Nessuno riaprirà quell’inchiesta, nessuno andrà a fondo su questi “enigmi” in cui compaiono anche, tra il vero e il falso, i militari della dittatura argentina, la CIA, Licio Gelli.
Nemmeno i tentativi dei figli dell’avvocato piemontese di conoscere la verità, portati avanti per anni, riusciranno a infrangere omertà, silenzi e misteri di Stato e di Fiat.
Pertanto è facile capire come la Fabbrica Italiana Automobili Torino abbia preferito essere “immemore ed insensibile” verso Luchino Revelli di Beaumont, che, negli ultimi anni della sua esistenza, ha avuto un pubblico riconoscimento solo dal comune di Courmayeur, che l’aveva nominato cittadino onorario.