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 2016  novembre 28 Lunedì calendario

MOLTI DEBITI, POCHI SPETTATORI LE DOLENTI NOTE DELLA LIRICA

Commissariamenti, debiti, bacchettate dalla Corte dei Conti, poco pubblico, rendite statali, qualità artistica altalenante, licenziamenti: sono le sette note dolenti delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane, sette come i peccati capitali, considerata l’annosa e incancrenita crisi del settore (cui si sta cercando di porre un argine con la Legge Bray del 2013), sette come lo storico giorno dicembrino di riapertura della Scala, che a Sant’Ambrogio inaugura la stagione con Madama Butterfly. Su il sipario, ancora una volta, ma per quanto tempo? Siamo ancora il Paese del melodramma o stiamo assistendo all’ultimo melodramma del Paese?

Dal commissariamento al commissariato

Sono 9 su 14 le Fondazioni lirico-sinfoniche commissariate dal Mibact per il risanamento e il rilancio: l’ultima è stata l’Arena di Verona, affidata prima a Carlo Fuortes (già commissario dell’Opera romana) e ora a Giuliano Polo. Il teatro vanta un buco di bilancio di 24 milioni di euro e una pesante crisi di liquidità; intanto, qualcuno invoca la privatizzazione. Giorni fa la Procura di Bari ha chiuso le indagini sulle presunte tangenti in cambio di appalti al Petruzzelli, mentre a Roma sotto processo è finito l’ex presidente dell’Opera Stefano Stefanelli, accusato di aver usato le casse del fondo di solidarietà a fini personali, sottraendo quasi 120 mila euro. Non se la passa bene il Comunale di Bologna, a rischio fallimento, se non riduce i costi del personale: gli esuberi sarebbero una trentina, ma direzione e sindacati non trovano un accordo. Tensioni tra le due parti anche al Maggio Musicale Fiorentino, dove sono state avviate procedure di licenziamento di 28 dipendenti, mentre il debito del teatro si aggira sui 60 milioni di euro. Intanto, al “disastrato” Carlo Felice di Genova è saltata l’opera inaugurale della stagione, La Rondine di Puccini.

Il San Carlo di Napoli ha promosso, pur non formalmente, Lorenzo Amato (regista, figlio di Giuliano) alla direzione artistica, tra le polemiche di alcuni lavoratori. In Sicilia, la Regione ha approvato un fondo straordinario con agevolazioni e prestiti per teatri ed enti lirici: i debiti del settore ammontano a 35 milioni di euro, di cui 13 del Massimo di Palermo. Viceversa, calano da 9,2 a 8,7 milioni di euro i fondi del Mibact per il Lirico di Trieste.

Tra i non commissariati, chi sta peggio è il Lirico di Cagliari: inizialmente, per pareggiare il bilancio, non erano previsti spettacoli nel 2016, mentre ora il sovrintendente Orazi promette di farcela. Al Regio di Torino, prima della prima della Bohème, è andata in scena la protesta dei sindacati; intanto alla Fenice di Venezia, il sovrintendete Chiarot si diceva preoccupato: “Il finanziamento pubblico è imprescindibile. Non ci si può illudere che l’apporto dei finanziamenti privati sia sufficiente… L’Art Bonus è importante, ma bisogna fare di più”.

Apparentemente in una botte di ferro sono la Scala e l’Accademia di Santa Cecilia, garantite da più soldi e autonomia. Anche lì, però, non mancano le polemiche: a Milano si è dimesso Maurizio Bigonzetti, direttore del corpo di ballo, ufficialmente per motivi di salute, ufficiosamente per screzi coi danzatori; a Roma, invece, la Fondazione ha un contezioso aperto con l’Auditorium poiché entrambi rivendicano un credito con il Comune di 1,4 milioni di euro.

Debiti e bad companies

Tra i critici si vocifera: “L’Opera di Firenze è stata uccisa dalla nefanda, inutile e nemmeno finita costruzione del nuovo teatro. La città non ne aveva bisogno, e il mostro che ne è sortito serve solo per le parate degli ospiti vip”, vedi l’ultimo red carpet per il film Inferno, con Renzi e co. Fuori party, dentro disastri: alcuni posti hanno scarsa o nulla visibilità; la buca d’orchestra è di dimensioni sbagliate; la torre scenica incompleta. Il Revisore, a consuntivo 2015, scrive che la “situazione debitoria complessiva è motivo di apprensione, con uno scostamento rispetto al piano di rientro di oltre 20 milioni di euro: questo dato rende alquanto problematico il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio”. In affondo anche il Petruzzelli di Bari, travolto, oltre che dalle tangenti, dalle cause di lavoro: dopo l’incendio, la ricostruzione è durata una eternità e ora sono tornati alcuni “vecchi tromboni” (rumors), reintegrati dopo una causa vinta. La Fondazione però annuncia di non poter sostenere le nuove assunzioni imposte dal tribunale, minacciando 74 licenziamenti.

Nell’ultima relazione (luglio 2016, relativa al 2014), la Corte dei Conti “evidenza le criticità economico patrimoniali, attinenti alla notevole esposizione debitoria e alla continua erosione del patrimonio netto. Alcune, soprattutto l’Opera di Roma, ma anche il San Carlo di Napoli, presentano confortanti segnali di miglioramento. Destano preoccupazione i Teatri di Genova, Firenze e Bologna”. In generale, si stigmatizza “la dipendenza quasi totale dai contributi pubblici, spesso erogati con ritardo; una partecipazione dei privati e degli sponsor troppo limitata; ricavi da biglietteria e abbonamenti modesti; costi strutturali eccessivi, soprattutto per il personale e le nuove produzioni”.

Numeri, cause e risarcimenti

Per la Siae, crescono tra il 2014 e il 2015 gli Spettacoli della Lirica (+8,8%) e i Concerti classici (+5,6%), ma le presenze di pubblico sono in fortissimo calo per la prima (-77,78%), così come la spesa al botteghino (-0,31%) e il volume d’affari complessivo (-0,11%). L’Istat rileva che solo il 10% della popolazione si reca a un concerto di musica classica almeno una volta all’anno, mentre l’88,3% degli italiani non ha mai fatto nella vita questa esperienza (con picchi di oltre il 90% al Sud). Federculture segnala inoltre la flessione dei diplomati degli Istituti per l’Alta Formazione Musicale: -16,74%.

Il Fus per la Lirica è sceso dai 191 milioni del 2013 ai 182 del 2016, con l’ulteriore minaccia, per le Fondazioni che non otterranno il pareggio di bilancio a fine 2018, che il “mantenimento della partecipazione e vigilanza dello Stato” passi da stabile a “eventuale”. Va detto, però, che l’opera è quella che più beneficia dei contributi del Mibact, col 44,80% del Fus totale, laddove alla prosa spetta il 16,5%.

Origliando dalle parti della critica, si scopre che Roma è rifiorita con un cartellone “bello, vario… Ormai fa chic andare all’Opera, che ha visto lievitare i biglietti. La Scala, viceversa, ha una stagione di vecchie glorie, che non proveranno nulla”. Prudente anche Venezia, ingolfata dalle “tante Traviate per turisti”, come a Palermo “impazza il sindacalismo”. Buona la gestione a Torino, non altrettanto alcuni direttori “fracassoni, senza stile, scuola e gusto”. Bologna è discontinua, “tanti titolini, ma poco arrosto”, mentre la stagione di Napoli promette bene: “Certo, lo gestissero ad Amsterdam o a Londra, sarebbe la prima industria del Paese”. Le cause di lavoro pendenti sono quasi 500: se dovessero concludersi a favore dei lavoratori, costerebbero alle 12 Fondazioni dell’Anfols (Associazione delle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane) oltre 32 milioni di risarcimenti, più 20 milioni annui per l’eventuale reintegro dei dipendenti.