Stefano Arcobelli, La Gazzetta dello Sport 27/11/2016, 27 novembre 2016
FIDEL CASTRO DAL BASEBALL A MARADONA. SPORT, PASSIONE E RISCATTO
Senza più Fidel Castro. Cosa lascia e come sarà lo sport cubano senza il Comandante? Il Lider Maximo in pensione vedeva molta più tv, e soprattutto molto più sport, uno dei tre cardini rivoluzionari con scuola e sanità. Basti pensare che dopo aver rovesciato Batista impiegò «appena» 23 giorni a radunare, nel pieno della ridefinizione dello Stato, il comitato olimpico per tracciare le nuove linee guida e abolendo il professionismo. «Lo sport è necessario per il Paese — ricordava al giornalista Mario Torres de Diego, nel suo Fidel y el Deporte —, Cuba ha ottenuto sinora risultati sportivi vergognosi, è necessario che gli atleti che hanno difficoltà economiche abbiano una dieta adatta. Non mi pare corretto che gli eroi dello sport finiscano in miseria. Dobbiamo assicurare a loro un premio per quando si ritireranno. Costruiremo impianti sportivi in tutta la Repubblica, apriremo accademie perché sono i tecnici, gli specialisti che devono insegnare lo sport. Eleveremo il livello dei nostri giovani. Investiremo denaro e fino all’ultimo centavo sarà ben speso». Fu di parola: nell’isola pre-1959 c’erano appena 259 impianti e dopo la rivoluzione superarono i 21.500, messi a disposizione di tutti. «L’importante è non credersi un esperto di sport», ironizzava su di sé: «Forse è nello sport e non nella politica che avrei dovuto dare il meglio di me...».
L’ultimo longevo statista creò un sistema piramidale dell’attività sportiva del primo Paese latino per numero di medaglie (il massimo fu 31 ai Giochi di Barcellona ‘92, col 5° posto) ma anche per l’organizzazione, capace di esportare 8 mila tecnici in 50 Paesi durante il periodo especial, quello della devastate crisi post-sovietica. Combatteva come su un ring: non a caso la boxe vanta il bacino più ricco. La venerazione dei suoi atleti, molti dei quali entravano nell’Assemblea o nel partito, era nelle parole della judoka Anays Hernandez a Pechino 2008: «La prima persona a cui ho pensato dopo l’argento è stato Castro, lui è la speranza degli atleti». Per anni andava ad accompagnarli all’aeroporto ed a riceverli dopo ogni Olimpiade: poi il mondo lo imitò. Per la nazionale di baseball rimasta imbattuta 152 partite aveva un debole, tanto da inserire il figlio prediletto Tony, come medico. Omar Linares, 20 anni fa, lo rese fiero rinunciando ai NY Yankees: «Preferisco giocare per 10 milioni di cubani che per 10 milioni di dollari». La sua campionessa preferita era Ana Fidelia Quirot, ma Fidel non faceva mai mancare nulla ai suoi campioni: auto, casa, salario, vacanze con famiglia, benefit.
Negli ultimi anni non sono bastati più: la nazionale-modello s’è dissolta per la diaspora in Major League, per non dire dei pallavolisti, molti dei quali approdati in Italia, dagli Hernandez a Gato, da Juantorena a Simon, attirati da libertà, benessere e guadagni. «Ma li abbiamo creati noi» rispondeva il Comandante, orgoglioso: «Lo sport è un diritto del popolo, un mezzo per migliorare le condizioni fisiche e abituarsi allo spirito di sacrificio». Ma anche uno strumento di propaganda per nascondere problemi, povertà e violazioni in patria. Strinse la mano freddo a Jimmy Carter ed ai giornalisti americani durante la partita della riconciliazione a L’Avana contro i Baltimore Orioles, ripeteva quanto fosse cruciale lo sport con i suoi valori e la disciplina per sopportare l’embargo. La povertà di strutture ha indebolito il sistema e i risultati hanno accentuato il declino. Il fratello Raul non è così preso dallo sport. Molti sportivi vedono la via di fuga come la vera svolta. Non vogliono più attendere. Durante i Giochi di Pechino, Fidel Castro polemizzò con gli arbitri «corrotti» della boxe e del taekwondo: «Hanno fatto azioni ripugnanti verso di noi, Cuba non ha mai corrotto arbitri o comprato atleti». Diego Maradona si rivolse a lui per uscire dal periodo più nero della sua vita: «È il più grande della storia». E Fidel: «Sei il Che Guevara dello sport». L’argentino rivelò nel 2015 una lettera di Fidel, stregato anche da Leo Messi: «Ha lasciato un Paese con un grande livello di dignità».
Leggenda vuole che il futuro Comandante, per preparare la rivoluzione, decise di non presentarsi ad un provino dei Washington Senators di baseball, sport che si dilettava a praticare nei primi Anni 60 nel Tempio della capitale, il Latino, con Che Guevara e Camilo Cienfuegos e poi per promuovere l’alleanza con il venezuelano Hugo Chavez. Altri, come i compagni di università, ricordavano che Fidel fosse più bravo a basket: divertenti risultavano a L’Avana le sfide uno contro uno con Giangiacomo Feltrinelli. Uno dei suoi ultimi pensieri: «Lo sport sano è incompatibile con il consumismo e lo spreco che sono alla radice dell’attuale crisi economica e sociale del mondo globalizzato».