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 2016  novembre 26 Sabato calendario

VIALLI: «IL RISULTATO ALLA JUVE È D’OBBLIGO. E DA’ PIU’ SOLLIEVO CHE GIOIA»

Dopo lunghi anni di bianconero abbagliante, anche lui è andato a comandare altrove. Luca Vialli, condottiero dell’ultima Champions Juve, ha poi allenato (poco e bene) al Chelsea. Due anni e mezzo, 1998-2000, giusto il tempo di sbaciucchiare cinque trofei: un po’ prima di Conte, Carrera e Zizou, ha esportato la religione del successo praticata già a Torino. Per ora Max Allegri raccoglie gli stessi applausi nella casa che l’ha accolto, un domani anche lui allenerà e di certo vincerà all’estero.
Vialli, ma cosa si mangia di così speciale a Torino?
«Esiste un ambiente di lavoro molto particolare, sei contagiato: un’atmosfera che serve nella vita e in panchina. La principale caratteristica alla Juve è la testa bassa. L’umiltà rispetto a quello che si vince, che è sempre tanto. Il club ti insegna l’importanza degli oneri: ti mette nelle condizioni giuste per dimostrare quanto vali, ma poi tu devi dare il massimo. A quel punto vinci e ti godi gli onori. Ma per poco perché devi rivincere subito dopo. Ecco, il successo è spesso un sollievo più che una gioia».
Ma questo seme può essere piantato altrove?
«Il Dna te lo porti dietro: un grande allenatore deve essere lui stesso leader, ma deve creare altri leader che in campo riproducono idee, valori, carattere. Conte, Carrera, Zizou e anche io abbiamo avuto un grande maestro-leader: Marcello Lippi ha la capacità di farsi seguire e trascinare».
È anche praticità contro l’estetica che si tramanda altrove?
«Certo, al Barcellona prediligono l’estetica, la bellezza o anche solo il divertimento, mentre la Juventus è meravigliosamente pratica. Confesso che nei miei anni in bianconero non è mai entrato un dirigente a dirci: “Mi raccomando, oggi giochiamo bene”. Più e più volte, la frase era: “Mi raccomando, oggi vinciamo”».
È stato capitano di Carrera e Conte: li ha ispirati pure lei in qualche modo?
«Vorrei tanto dire di sì, ma sono loro stessi dei trascinatori. Ho visto una collezione di miei gol e nel 95% dei casi il primo a venirmi ad abbracciare era Conte. Subito dopo anche Carrera, che veniva dalla difesa. Poi ti chiedi perché questi ragazzi fanno così bene in panchina. Già da calciatori mettevano il noi davanti all’io, erano autentici uomini-squadra».
Dica la verità, si immaginava che Conte sarebbe stato questo fenomeno della panchina?
«Lì per lì non ci pensi, ma era evidente che sarebbe finito ad allenare. Ha fatto l’università, gli piace studiare, applicarsi e questo aiuta nel curare i dettagli. Ha avuto maestri super da Trapattoni a Lippi e Ancelotti, un orizzonte vasto da cui attingere, ma la cosa bella è che ha trovato un suo quid unico, un suo stile personalissimo. E funziona alla grande pure nel mio Chelsea. Ha capito che il calcio inglese è bello ma diverso dal nostro: non si deve snaturare, ma si può correggere. Un gioco che toglie il respiro perché si attacca sempre con la guardia bassa, ma è mettendo a posto la difesa che si va lontano. Questa nostra saggezza tattica fa la differenza in Inghilterra, per questo può arrivare in fondo».
E Carrera primissimo in Russia? L’avrebbe mai detto?
«Massimo si conosce meno, ma era un giocatore di un’utilità unica. Da titolare o da riserva. Onesto, generoso, affidabile: l’uomo che cerchi nei momenti di difficoltà. Più facile incontrare Conte a Londra, con Carrera uso gli sms. Ma saremo tutti sempre fratelli»
Non è stato fratello in campo di Zizou, ma la Liga sta confermando che è un buon tecnico.
«Lo vedevano tutti come un artista, magnifico e anche un po’ etereo, ma adesso è materiale. Pratico e vincente. Di certo, il passaggio juventino è stato decisivo. E pure la contaminazione con il calcio francese, come nel caso di Deschamps, un altro bianconero. Quando fai l’allenatore è come se salissi su un cavallo per spingere le truppe, devi necessariamente cambiare un po’ il carattere, sporcarti e incattivirti. Essere un po’ meno bello e mettere un Casemiro in più».
Lei, Conte , Carrera e Zizou vi siete «juventinizzati» da calciatori, Allegri da allenatore: nota differenze?
«No, le vittorie sono il filo conduttore. Allegri è una piacevolissima conferma: ci si chiedeva all’inizio se fosse adatto alla mentalità Juve, ora possiamo che è adattissimo».
Anche lei era adatto e ha vinto subito al Chelsea: visto il famoso Dna che si porta dietro, si è pentito di non aver continuato?
«Mi sono divertito, ho gioito e imparato. Ma sono anche curioso del mondo per questo ho cercato di fare altro. Non mi pento e ora applaudo i miei amici».