Fabio Sanvitale; Armando Palmegiani, Giallo, 25 novembre 2016
PASOLINI: LE PROVE CONTRO I SUOI KILLER INQUINATE PER SEMPRE
Roma
“Da una delle numerose tracce di sangue contraddistinta “1374/2010/3-1”, evidenziata sulla parte anteriore dei pantaloni jeans (reperto 3), è stato ottenuto un profilo genetico misto in cui, oltre a quello riferibile a Pier Paolo Pasolini, è contestualmente presente un altro profilo riconducibile a altro soggetto maschile allo stato ignoto (l° soggetto ignoto)”. È questa la chiave del delitto Pasolini? Di sicuro è a questo e agli altri profili genetici misteriosi trovati sui reperti di quella notte, che fa riferimento chi, in questi giorni, chiede la quinta riapertura delle indagini per l’omicidio di uno dei più grandi e discussi artisti italiani dello scorso secolo. Se sul luogo del crimine ci fossero state altre persone, oltre a Giuseppe Pelosi, a oggi il solo condannato per l’omicidio, il delitto diventerebbe un’altra storia. Ma è possibile individuarle solo attraverso il Dna trovato su questi reperti? La risposta, purtroppo, è no, o almeno non con la certezza necessaria per condannare altri presunti assassini. Noi, autori di questo articolo che state leggendo su Giallo, abbiamo esposto e argomentato tutti i dubbi del caso anche in un libro uscito proprio in questi giorni, che , si intitola: “Accadde all’Idroscalo. L’ultima notte di Pier Paolo Pasolini”.
DALL’OMICIDIO Al PRIMI DUBBI SUL PROCESSO
Prima di spiegarvi i motivi che rendono le tracce di Dna non risolutive, facciamo un passo indietro. Torniamo alla notte dell’omicidio, avvenuto il 2 novembre 1975. Pier Paolo Pasolini, che all’epoca aveva 53 anni, era uno degli intellettuali più influenti della sua generazione. Poeta, scrittore e regista di film famosissimi come “Accattone” e “Il Vangelo, secondo Matteo”, divideva l’opinione pubblica: per alcuni era un genio, per altri una persona immorale. Il rapporto con la sua omosessualità è finito molto spesso al centro del dibattito in anni in cui essere omosessuali era un segreto inconfessabile. Il suo corpo fu ritrovato la mattina del 3 novembre da una donna che aveva una baracca nella zona. Pensava fosse immondizia, ma no, era il corpo di un uomo. Pasolini fu ucciso in maniera brutale. Picchiato, colpito con una tavoletta di legno e travolto dalla sua stessa macchina sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, a pochi chilometri da Roma. Le tracce erano tante, disseminate dal corpo fino a un campetto di calcio che distava una cinquantina di metri. Dell’omicidio fu incolpato Pino Pelosi, 17 anni, già noto alla polizia come ladro di auto e “ragazzo di vita”, fermato la notte stessa mentre fuggiva al volante dell’auto di Pasolini. Il giovane disse di essere stato avvicinato dal poeta vicino alla stazione Termini e invitato sulla sua vettura con la promessa di una ricompensa in denaro. Pasolini, però, una volta giunti all’idroscalo avrebbe preteso troppo dal ragazzo. Sarebbe quindi scoppiata una rissa, in cui lo scrittore ebbe la peggio. Poi, fuggendo in macchina, l’assassino passò sopra al suo corpo. Il processo si concluse in pochi mesi, interrotto solo da una richiesta di approfondimento su un informatore che indicò nei due fratelli Giuseppe e Franco Borsellino, minorenni, gli autori dell’omicidio. Un’interruzione che non intralciò il verdetto finale: Pelosi fu dichiarato colpevole.
Trent’anni dopo, però, Pelosi ha cambiato versione: ha detto che a uccidere Pasolini furono alcuni delinquenti con l’accento siciliano. La prima di una serie di rivelazioni contrastanti tra loro. Alle varie versioni di Pelosi si sono aggiunte nel tempo teorie complottiste legate all’ultimo libro che Pasolini stava scrivendo (sapeva dei segreti sull’Eni, sulla strategia della tensione?), sul furto di pellicole del suo ultimo film, sul ruolo della Banda della Magliana, su un possibile delitto di Stato. Ma c’è stato anche chi ha parlato di una rapina finita male e chi sostiene che il movente sia legato all’omosessualità del poeta. Nel 2010 il caso è stato riaperto e nessuna pista tralasciata. I reperti sono stati inviati ai Ris. «Molto probabilmente Pelosi non era da solo», ha detto la Procura. Ma non è bastato: dopo 5 anni le indagini sono state nuovamente archiviate. Ma è davvero l’ultima parola?
GLI ERRORI DURANTE LE INDAGINI
Arriviamo ai giorni nostri. Anche se il caso è stato archiviato, le prove, riesaminate con le nuove tecnologie che non erano disponibili quarant’anni fa, hanno “parlato”. E dalle analisi scientifiche sono emersi, oltre al profilo di Pasolini, altri quattro profili genetici. I Dna sono stati confrontati con 27 persone sospettate di essere coinvolte con l’omicidio. Tra cui manca, curiosamente, proprio quello di Pelosi. Ma il suo non è l’unico profilo non confrontato: mancano anche quelli dei fratelli Borsellino, da tempo deceduti. Nonostante questo, dei quattro profili ignoti, uno è senz’altro di Pelosi: infatti, il “profilo ignoto 2” è presente su una serie di reperti riconducibili a lui senza grossi dubbi. Ma gli altri? Sono di tre assassini?
Prima di tutto diciamo che non si potrà sapere con certezza che cosa erano in realtà queste tracce considerate “minoritarie”: sudore, sperma o altro. Ma c’è di più. Torniamo ancora indietro nel tempo. Due giorni dopo l’omicidio, il corpo di Pasolini era in attesa di iniziare l’autopsia all’obitorio. La tavoletta con cui il poeta venne ucciso fu appoggiata sul pavimento. Le fotografie, allora, erano molto più importanti del Dna, quindi non solo si appoggiavano i reperti sul pavimento senza alcuna precauzione, ma dopo averli fotografati ecco che si giravano e rigiravano per farli vedere meglio. La camicia del poeta, inoltre, fu raccolta a mani nude, presa per la targhetta e toccata in tutti i modi, senza accorgimenti. Ve lo mostriamo proprio in queste pagine, in due fotografie esclusive mai pubblicate prima. Per farla fotografare meglio, come potete vedere, un investigatore la appende a una recinzione dell’Idroscalo a mani nude. Stessa sorte per i pantaloni, dove sarà rinvenuto il profilo “ignoto 1”.
Veniamo poi al 1993. Mentre preparava il suo “Pasolini. Un delitto italiano”, il regista Marco Tullio Giordana ebbe la possibilità di vedere i reperti della scena del crimine. La tavoletta di legno fuoriusciva dalla scatola rotta in cui era conservata. Gli fu portata strusciando i muri. Non sappiamo su che superficie sia stata esaminata; gli oggetti e i reperti sembravano mischiati tra loro, esposti al rischio di contaminazioni. Insomma, prima di ritenere che ci siano assassini ignoti, sarebbe più opportuno prelevare il Dna a tutti i medici legali, i poliziotti, agli assistenti che nei primi giorni lavorarono sul caso.
MANCANO ANCORA TROPPI TASSELLI
Nell’ultima inchiesta, infine, l’analisi del Dna ha escluso la presenza di Johnny Mastini, un altro sospettato. Il suo Dna sulla tavoletta non c’è. Questo però non vuol dire che quell’uomo non fosse sulla scena del crimine. Potrebbe anche aver colpito Pasolini a mani nude, senza maneggiare la tavoletta. Se invece l’obiettivo è dimostrare la presenza degli uomini della Banda della Magliana, dobbiamo ricordarci che il gruppo ha iniziato a operare nel 1978 e non nel 1975. In questo delitto mancano ancora dei tasselli, ma la genetica, purtroppo, stavolta non sarà decisiva.