Marcello Veneziani, Il Tempo 24/11/2016, 24 novembre 2016
«C’ERA UNA VOLTA IL MSI»: UOMINI, STORIE E RITRATTI DELLA DESTRA ITALIANA
Nella storia del Movimento Sociale Italiano, due furono le rivolte più celebri. La prima avvenne a nord, a Trieste nel novembre del ’53, e furono i primi moti all’insegna dell’amor patrio ferito in tempo di repubblica. La seconda fu la rivolta contro le regioni e l’ultimo ruggito di piazza del sud, prima che arrivasse la mafia, la ’ndrangheta e la camorra a far piazza pulita. I moti di Reggio Calabria furono la più lunga rivolta urbana che la storia della nostra repubblica ricordi. Durò sette mesi, da luglio a febbraio 1971, e lasciò ferite insanabili. La sommossa di Reggio, nata dalla decisione di spodestare il capoluogo dalla sede della Regione va ricordata per quattro ragioni. Fu la prima rivolta contro le Regioni, esplosa nello stesso anno in cui nascevano, di cui fu battesimo di sangue; fu l’ultima insorgenza popolare e populista nel Meridione contro il potere centrale; fu la prima volta che in Italia e nell’Europa libera e democratica scesero per strada contro la popolazione i carri armati, come nei paesi comunisti dell’est. E infine fu l’ultima rivolta di popolo egemonizzata da una destra rivoluzionaria, nazionalpopolare e sindacalista che agiva ai bordi dell’Msi, della Cisnal e poi lambiva in modo trasversale altre forze politiche. Non solo esponenti interni al potere e ai partiti, ma anche movimenti estremi di destra e di sinistra, se si pensa all’attenzione che Lotta Continua e Adriano Sofri riservarono a quella rivolta. Un po’ come era accaduto mezzo secolo prima a Fiume quando la sinistra rivoluzionaria del tempo, Gramsci incluso, seguì con favore la rivolta nazionalista e interventista di D’Annunzio e dei suoi legionari. Dannunziano fu lo slogan della rivolta reggina, Boia chi molla. Reggio fu il ’68 dei terroni, la banlieu dei cafoni. La rivolta di Reggio fu un’insurrezione di segno localista accesa dal clima violento ed eversivo di quegli anni e dall’eco antica di malesseri e insorgenze meridionali. Non fu una Vandea anche perché scoppiò in una città e non in campagna e scoccò proprio nel giorno della presa della Bastiglia, il 14 luglio. E poi i nemici, per gli insorti di Reggio, non erano i rivoluzionari al potere, ma un ceto di moderati che rappresentavano la stagnazione e il conformismo. La rivolta reggina richiamò alla memoria le insorgenze popolari del sud nel 1799, i Vespri Siciliani. E Ciccio Franco, il suo leader più famoso, evocò il fantasma di Masaniello.
Era il tempo in cui la secessione rischiava di fiorire a sud. Seguì poi la rivolta dell’Aquila ma diverso fu il peso, il bilancio e la durata di quella sommossa, nata anch’essa dalla crisi di rigetto delle Regioni e da un conflitto di supremazie cittadine. A Reggio Calabria le Regioni già mostrarono i loro peccati d’origine e le loro artificiose competenze, ma dimostrarono soprattutto che smantellando l’Italia dei prefetti e dello Stato centrale non si andava incontro ad una democrazia matura e federale, più vicina al territorio, ma ad una perdita di autorevolezza e di legittimità delle istituzioni. La gente si allontanava anziché avvicinarsi alle istituzioni. Con le Regioni si accelerò in Italia la crisi dello Stato democratico e della repubblica, già avviata con la rivolta studentesca del ’68 e l’autunno caldo sindacale del ’69. Quella di Reggio nel 1970 apparve la terza rivolta, quella delle periferie e della polveriera meridionale contro lo Stato svuotato di compiti e di prestigio. A nord, a Torino e Milano, nasceva in quei giorni nell’area della destra e non solo, la Maggioranza silenziosa, all’insegna dell’ordine, del tricolore e dell’anticomunismo; a Reggio invece quell’area si faceva rumorosa, rivoltosa e radicale.
Dopo Reggio il Sud smise di insorgere a livello popolare, preferì defilarsi nei propri comodi, nel clientelismo e nel malgoverno, o consegnarsi in alcune zone alla malavita organizzata. Quel Boia chi molla, pur demagogico ed eversivo, fu l’ultimo grido del Sud prima di sprofondare in quel coma da cui non si è più ripreso. La repressione violenta della Rivolta avvenne ad opera di un governo moderato, guidato da un democristiano lucano, morbido e doroteo, come Emilio Colombo che mandò i carri armati sul lungomare reggino. Non pochi furono i morti lasciati per le strade, morti civili in prevalenza, ma anche delle forze dell’ordine. Terribile fu la strage ferroviaria del 22 luglio rimasta tra i misteri infami del nostro Paese. Prima degli attentati ferroviari che funestarono l’Italia negli anni ottanta tra Bologna e Firenze, ci fu la strage misteriosa del Treno del Sole, nei pressi di Gioia Tauro, che costò la vita a 6 persone, di cui si conserva scarsa memoria. Ci fu lo zampino della ’Ndrangheta, ma non si sa ancora se la strage si spiega dentro il disegno della criminalità organizzata o se la malavita prestò i suoi feroci servizi ad altri poteri ed altri disegni. Misterioso fu pure l’incidente stradale del 26 settembre ’70 in cui morirono 5 anarchici che si recavano a Roma a consegnare materiale di denuncia mai ritrovato. La stampa fu in larga prevalenza ostile alla rivolta e liquidò gli insorti come eversori, populisti ed estremisti. Il Msi fu in un primo tempo investito in contropiede dal vento della rivolta che mobilitò organizzazioni di estrema destra come Avanguardia nazionale. I notabili del partito, come i reggini Nino Tripodi e Raffaele Valensise, erano uomini d opposizione ma non demagoghi, avevano un forte senso dello stato e delle istituzioni. E la stessa cosa può dirsi del leader della Cisnal, Gianni Roberti. Ma la rivolta alla fine trascinò il Msi, che infatti candidò Ciccio Franco, la Cisnal e la stampa affine, a partire dal Candido. E portò linfa all’exploit del Msi al sud nelle elezioni del 13 giugno del ’71.
A Reggio quell’estate del 70 si spezzò il legame già sofferto tra Sud e Stato, tra Meridione e Istituzioni, e si acuì il degrado scontroso della Calabria poi aggravato dai folli insediamenti industriali nella piana di Gioia Tauro e dai loschi errori del ceto politico. Pur nel suo velleitario estremismo anarchico quella Rivolta fu l’ultimo atto politico di un popolo che pensava ancora di poter cambiare la realtà con la mobilitazione, gli slogan e le barricate. Poi restarono le clientele, i clan e la defezione. Dopo la protesta venne l’omertà, dopo la rivolta venne il letargo. Il boia alla fine mollò.