Silvia D’Onghia, Il Fatto Quotidiano 23/11/2016, 23 novembre 2016
“IN PRINCIPIO ERA LA MUSICA. POI VENNERO I CRITICI” [Stefano Bollani] – Uno passa la vita a cercare di non pestarsi i piedi da solo giudicandosi su tutto, l’ultima cosa di cui ha bisogno è venire giudicato dall’esterno”
“IN PRINCIPIO ERA LA MUSICA. POI VENNERO I CRITICI” [Stefano Bollani] – Uno passa la vita a cercare di non pestarsi i piedi da solo giudicandosi su tutto, l’ultima cosa di cui ha bisogno è venire giudicato dall’esterno”. Non parlate a Stefano Bollani di gare, competizioni, classifiche, e quindi di talent: “Non li guardo”. Ed è per questo che il suo L’importante è avere un piano, ogni giovedì in seconda serata su Rai Uno, assomiglia più a una jam session che a un programma musicale di quelli che vanno tanto in questi anni. Lui che è uno dei talenti italiani più richiesti sulla faccia della terra (almeno fino a quando non arriveranno gli alieni, come vedremo), lui che ha reso il jazz uno stile appetibile addirittura per i rockettari, lui che passa da Zubin Metha ai Sette nani come un banale cambio d’abito, proprio lui, Stefano Bollani, ospita ogni puntata amici artisti per giocare, duettando, con la musica. Il pubblico lo ama e lo segue, ride alle sue battute e ascolta – rapito – il passaggio dalla poesia alla musica brasiliana. Non è che non teme confronti, non li vuole proprio. Bollani, perché? Il peggior giudice ce l’abbiamo dentro di noi, non abbiamo bisogno di essere giudicati dall’esterno. Un conto sono i consigli, un conto sono le bocciature a favore di un altro. Già a scuola non aveva un senso: il primo è quello che ha realizzato di più, l’ultimo di meno. Come dire che sono meglio le mele delle pere. L’ultima volta che ha parlato dei talent, secondo qualcuno se l’è presa con Valerio Scanu. Non ce l’avevo con lui. Ho detto che non tutti quelli che escono dai talent hanno il successo assicurato, molti finiscono dallo psicanalista. Non darei un giudizio su una musica che non conosco. Prima accennava alla scuola. È polemico? La scuola è stata pensata per preparare le persone al mondo del lavoro: sono tutti impiegati, stanno lì seduti davanti alla maestra che dice loro come fare. Li tengono seduti dodici anni, ma nessuno insegna come essere felice. E poi vengono date informazioni opinabili. Per esempio? La storia, solo dal lato dei vincitori. Tre giorni fa ero in Canada, un tassista indiano elogiava gli italiani “bravi a fare gruppo”. Gli ho risposto che non è vero, che siamo un popolo di solisti, “vedi Leonardo o Colombo che ha scoperto l’America”. Mi ha risposto: “È un modo occidentale di vedere la cosa”. Aveva ragione: Colombo l’America l’ha invasa. A scuola ci hanno raccontato una grossa bugia. Lei come andava a scuola? In autobus. Bollani, è anarchico? Mi piacerebbe, perché farei parte di un gruppo preciso. Certo, lo Stato è una creatura concepita dall’alto, io sarei per un’organizzazione diversa. Quando qualcosa non funziona, va messa da parte. Oltre alla storia, esportiamo anche la musica? Siamo in grado di farlo, i talenti nascono anche qui. Ma non abbiamo mai investito sull’esportazione. Pensi questo: ogni volta che un musicista jazz del Belgio suona all’estero, un delegato del governo belga si presenta con la sua cartella stampa. Dai noi tutto è affidato agli Istituti di cultura, che non hanno soldi. E in patria, quanto investiamo? Il mondo della musica e dell’arte dovrebbero emanciparsi dai finanziamenti statali e puntare ai privati. Ma lo dico io che non faccio il direttore artistico. Lei sostiene che la musica è la materia su cui è fondato il mondo. È una teoria scientifica. I fisici hanno chiarito che la materia non esiste, ma è quella vibrazione che ha una frequenza talmente bassa che a noi sembra solida. Una vibrazione è un suono. Che musica ascolta quando non lavora? João Gilberto: mi dà pace. Un suo album si chiama “Arrivano gli alieni” e porta in giro una conversazione con una scrittrice e un esperto di testi sacri, “Dialogo tra alieni”. Ci crede davvero? Le fonti sono poche e in mano a Usa e Russia. Possiamo andare a intuito e ascoltare coloro che hanno avuto contatti con gli alieni. C’è un mondo da scoprire, ma per arrivare a contattarlo bisogna superare la dicotomia buono/cattivo. Concetto cattolico. Idea che ha permeato tutta la nostra cultura. Anche la legge si basa su ciò che di “cattivo” uno ha fatto. Liberarsene è difficile. Chi sarebbe Bollani, se non fosse un musicista? Sarei stato comunque sul palco: l’attore, il presentatore, il cantante, lo scrittore. Cioè tutto quello che faccio. Ha recitato le poesie di Folco Maraini, che – con una lingua onomatopeica – suggerisce al lettore che deve metterci dentro del suo. Accade anche nella musica? Accade sempre, anche nella letteratura, ma fatichiamo ad accettarlo. Tutti interpretiamo alla nostra maniera, poi però diamo retta ai critici e ci allineiamo. La musica è la più sincera di tutte le arti. L’ironia è uno strumento di sopravvivenza? Lo scrittore Tom Robbins dice: ‘Il solo motivo per cui dio ci tollera è il nostro enorme talento per le stronzate’, il che presuppone che dio sia ironico. Altrimenti avrebbe le mani nei capelli. Passa in un istante da Beethoven ai 7 nani: come fa? Uno lo fa col jazz, uno col rock, uno con la pittura: è comunicazione. Bollani, cos’è la musica? La musica è il mondo, perché il mondo è vibrazione. È il più grande complimento che possa farle. Ma, secondo lei, la musica legge il giornale?