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 2016  novembre 23 Mercoledì calendario

IL FLOP DEL GAS USA CHE DOVEVA SGANCIARE LA UE DALLO ZAR PUTIN

Il mercato del gas naturale, al contrario di quello petrolifero, è geograficamente segmentato. Per il petrolio le monumentali infrastrutture di trasporto e stoccaggio – installate nel corso di oltre un secolo – assicurano una sostanziale uniformità dei prezzi a tutte le latitudini. Al contrario, nel mercato del gas gli alti costi di trasporto impediscono la formazione di un prezzo unico globale. Per corte e medie distanze si utilizzano i gasdotti, mentre sulle grandi distanze operano circa 400 navi che trasportano gas liquefatto (LNG), coprendo però solo un risicato 10% della domanda mondiale. Per tale motivo ad esempio, il prezzo del gas in Asia, in taluni periodi, ha toccato livelli anche quattro o cinque volte maggiori che negli Usa, dove da alcuni anni l’estrazione di shale gas ha scompaginato il mercato facendo crollare le quotazioni. Al Nymex, all’inizio del 2014, il prezzo era quasi 5 dollari per milione di British thermal units (Mbtu) (un’unità di misura del gas naturale, equivalente a circa un sesto dell’energia contenuta in un barile di petrolio) mentre all’inizio del 2016 era precipitato a meno di 2 dollari.

L’Europa viene rifornita attraverso i gasdotti dalla Russia, dalla Norvegia e dall’Algeria oltre che via nave dal Qatar (leader mondiale nel trasporto di gas liquefatto, LNG) a prezzi intermedi tra quelli prevalenti in Usa e in Asia. Nello scorso mese di aprile per la prima volta l’LNG a stelle e strisce dal nuovo terminale di Sabine Pass in Lousiana, di proprietà della Cheniere Energy, ha raggiunto il Portogallo con la nave Creole Spirit. L’industria energetica americana ha salutato l’evento come l’alba di una nuova era dominata dalle esportazioni di gas nordamericano.

Sabine Pass era stato concepito per importare gas negli Usa ma, il progetto iniziale cadde vittima dell’impennata nella produzione di shale gas. Pertanto venne riconvertito per l’esportazione. Già prima che il terminale fosse pronto si era attivata una girandola di dotte “analisi” sulle conseguenze geopolitiche, ipotizzando che l’obiettivo di lungo periodo fosse lo scalpo di Putin. Sostituendo alle forniture russe lo shale gas americano a basso costo, il ricatto energetico dello zar targato Kgb sarebbe evaporato. I gasdotti dalle steppe, che assicurano un terzo delle forniture in Europa, soprattutto alla Germania, avrebbero seguito il destino delle miniere di carbone. “Esperti” vari e grandi società di consulenza erano arrivati ad affermare che le esportazioni dagli Usa avrebbero dato vita all’agognato mercato mondiale del gas. Al coretto si erano unite persino le banche americane, incautamente esposte verso le società energetiche, le quali peraltro dall’estrazione di petrolio e di gas non convenzionale non hanno mai tratto apprezzabili profitti.

Certi trionfalismi risultano esagerati quando si esaminano i numeri. Ipotizzando (ottimisticamente) che il gas in Louisiana sia venduto a 2,5 dollari (il prezzo attuale al Nymex sfiora i 3 dollari), i costi di liquefazione sono in media nell’ordine di 3 dollari per Mbtu (Cheniere fa pagare tra 2,5 e 3 dollari per Mbtu) a cui vanno aggiunti almeno 1,3 dollari per trasporto, rigassificazione e altro. Quindi il gas americano in Europa nella migliore delle ipotesi costerà non meno di 6 dollari per MBtu. Attualmente il prezzo all’importazione sul vecchio continente è di 4,3 dollari per Mbtu. Di sicuro esistono operatori disposti a pagare caro il gas Usa per diversificare l’approvvigionamento o perché (come in Portogallo) i gasdotti non assicurano tutto il fabbisogno. Ma si tratta di nicchie.

Al momento i produttori di gas americani faticano a smaltire la sovraproduzione che ha depresso i prezzi in molti casi al di sotto dei costi di produzione. Quindi sono disposti a venderlo dovunque sia possibile, soprattutto dopo che i prezzi dell’LNG in Asia sono crollati. Ma a ben vedere l’export dagli Usa non modificherà né l’assetto geopolitico in Europa, né il mercato mondiale del gas. Nel medio periodo, secondo Art Berman di Labyrinth Consulting, uno dei più lucidi analisti (spesso controcorrente), la produzione di gas in Usa è destinata a calare e i prezzi a risalire gradualmente (come del resto già avvenuto). Sul mercato europeo l’Iran e in prospettiva il Turkmenistan, per non parlare dei nuovi gasdotti dalla Russia, dilateranno ulteriormente l’offerta.

Dal 1 aprile al 9 settembre (secondo dati riportati da Bloomberg) sono passati da Sabine Pass solo 119 miliardi di piedi cubici di gas (mpc), circa 0.75 miliardi al giorno. Considerando che in agosto la produzione di gas negli Usa è stata di 77 miliardi di mpc al giorno, le esportazioni rappresentano circa l’1%. Col tempo è probabile che i volumi aumentino: questo mese 9 navi (il record dall’inaugurazione) sono salpate da Sabine Pass e l’anno venturo Cheniere conta di inaugurare un nuovo impianto di liquefazione. Tuttavia i molti altri terminali di cui si vagheggia la costruzione negli Usa difficilmente vedranno la luce del sole o la chiglia di un tanker.