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 2016  novembre 23 Mercoledì calendario

IL PREMIER SI PRENDE PURE IL FISCO: AL VERTICE CI SARÀ UN RENZIANO

Matteo Renzi ha deciso di stringere la sua personale presa anche sull’Agenzia delle Entrate, non rinnovando l’incarico all’attuale direttore, Rossella Orlandi, in scadenza a giugno. Il predestinato a sostituirla è il renziano amministratore delegato e presidente di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, nominato nell’estate del 2015 e lodato quotidianamente dal premier. Salvo sconvolgimenti – tipo la sconfitta al referendum costituzionale – il ricambio avverrà in formato soft a luglio, quando nascerà la nuova “Agenzia delle Entrate-riscossione”, cioè la vecchia Equitalia ma con un nuovo nome, come stabilito dal decreto fiscale. Nelle intenzioni di Palazzo Chigi la Orlandi dovrebbe approdare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli come successore di Giuseppe Peleggi, il cui mandato scadrà a febbraio. Un compito non facile: dalle Dogane passano circa 80 miliardi l’anno, ma l’agenzia è sconvolta dalle inchieste su due concorsi pubblici che – secondo le accuse dei pm – sarebbero stati truccati. In un filone risulta indagato anche il capo della segreteria di Peleggi, Paolo Raimondi.

Fin qui le intenzioni. Il Tesoro sta a guardare perché diviso al proprio interno, con il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti (Sc-Ala) che più volte ha attaccato la Orlandi, debolmente difesa dal ministro Pier Carlo Padoan, non più in grado di contraddire il premier. Le tempistiche della “rottamazione” di facciata di Equitalia, spiega una fonte del Tesoro, sono state calibrate: la Orlandi scade a giugno, il nuovo ente di riscossione nascerà a luglio, e il commissario scelto da Renzi per traghettare il tutto è proprio Ruffini. L’ente sarà presieduto dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, e il 20 novembre scorso l’avvocato tributarista è stato nominato presidente di Equitalia.

Sono lontani i tempi in cui la Orlandi – tecnico accreditato di una ferrea competenza, classe 1956, toscana, prima donna al vertice dell’Agenzia, carriera tutta interna cresciuta alla scuola di Massimo Romano e Vincenzo Visco – partecipava alla Leopolda e chiamava il premier “Matteo” ricalcandone gli slogan (“il fisco deve cambiare verso”). Era ottobre 2014, Renzi l’aveva nominata a giugno ma col tempo le ha tolto qualsiasi copertura e non l’ha difesa dagli attacchi di questi due anni. Un cambio su tutta la linea: il premier è passato – erano le primarie Pd del 2012 contro Pier Luigi Bersani – da proporre di “abbassare la soglia del contante da mille a 500 euro” e “recuperare 30-36 miliardi dall’evasione fiscale, che vale 120 miliardi” ad alzare la soglia e approvare condoni. Dopo averne accolto i primi suggerimenti, ha poi rotto totalmente con Visco.

Il ricambio è nell’aria da tempo, messo per iscritto nella legge delega di riforma della Pa (agosto 2015) che affida a Palazzo Chigi la vigilanza sull’Agenzia. Il decreto attuativo non è mai arrivato ma poco importa: sarà la Presidenza del Consiglio a scrivere lo statuto e le regole di riscossione della nuova Equitalia, il contrario di quello che Fmi e Ocse hanno suggerito di fare. Già nell’ottobre del 2015 la Orlandi fu a un passo dalle dimissioni: per ore rimase in attesa di una smentita di Padoan all’invito a mezzo stampa del sottosegretario Zanetti di togliere il disturbo se avesse continuato a denunciare la “paralisi del fisco”. A marzo la Consulta aveva fatto decadere 800 dirigenti (su 1.100) perché nominati senza concorso, un problema di tutte le agenzie. Una storia che si trascina dal 2011 e prorogata da tutti i governi, Renzi compreso. Per mesi i tentativi dell’Agenzia di sanare la situazione vengono rispediti al mittente grazie alle pressioni di Zanetti e una parte dei vertici del Tesoro. Alla fine viene imposto di fare un concorso pubblico entro dicembre 2016, nell’attesa i dirigenti vengono mantenuti con posizioni temporanee, ora prorogate fino a settembre 2017: l’Agenzia ha infatti scelto di andare avanti con due vecchi concorsi, poi bloccati dai giudici amministrativi. Padoan alla fine la difese, Zanetti venne promosso viceministro. Nonostante il caos, l’Agenzia ha affrontato carichi di lavoro enormi con la voluntary disclosure, l’emersione dei capitali nascosti all’estero.

Il punto di non ritorno, però, pare avvenuto a gennaio 2015, quando nel decreto fiscale venne infilata la norma “salva Berlusconi” che salvava chi evadeva e frodava il Fisco sotto il 3% del reddito dichiarato. Nella genesi c’è tutto lo spericolato cambio di passo renziano sul Fisco: il testo viene studiato al Tesoro da una commissione con l’aiuto dell’Agenzia. Poi va a Palazzo Chigi e succede di tutto, oltre al 3% entrano altre norme esplosive. I tecnici scrivono a Palazzo Chigi. L’allarme finisce sui giornali, Renzi non gradisce e imputa all’Agenzia un protagonismo che non esiste visto che viene sempre interpellata sulle nuove norme. Quella volta non succede e non sarà l’ultima. Poi le scelte sul contante acuiscono le distanze.

Il resto è storia di oggi, con il governo – alla disperata ricerca di entrate e voti – che finge di chiudere Equitalia, si rimangia il condono forfettario sul contante, rifà la voluntary ma soprattutto avvia la rottamazione delle cartelle esattoriali, poi estesa perfino al 2016: un condono preventivo. Renzi è passato a sbandierare il 730 precompilato o “il record di recupero dell’evasione” senza mai citare l’Agenzia. Elogi continui solo per Ruffini, leopoldino nel 2010 e tecnico stimato. La “rivoluzione” del Fisco non si conosce. Prima c’è la voce più consona alle inclinazioni del premier: la nomina di un nuovo vertice.