Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 19 Sabato calendario

CHE COMPLOTTO!


«Il sistema ha inventato molte mode per farci fare pochi figli e sostituirci con gli africani, che come schiavi vanno meglio», osserva Lino su Facebook, e cita: «L’omosessualità, l’aborto e l’amore esagerato per gli animali da compagnia». Eugenio, un altro convinto di non lasciarsi ingannare, scrive: «Non sapevo dell’approdo di Bob Dylan al sionismo. Adesso capisco anche il perché dell’Oscar, la stessa cosa che è avvenuta con Benigni». Sarebbe un Nobel, quello che ha vinto Dylan, ma non si può sempre essere puntigliosi. E di politica estera, ne abbiamo? «Non dimentichiamo che l’Isis è una creatura di Hillary Clinton», segnala Giorgio, uno che non si fa raggirare dai tipi del New World Order, quell’elite massonica del Gruppo Bilderberg, gli Illuminati insomma, dai, quelli che governano il mondo.
Li avrete sicuramente incontrati Lino, Eugenio e Giorgio, per strada o sui social network. A colpi di allusioni e di click, alimentano uno dei fenomeni più inquietanti dei nostri tempi: il complottismo. Si dirà: esistono da sempre. È vero, ma il problema è che ora sono ovunque, e i partiti e i media li stanno sdoganando. Ecco allora un importante giornale scrivere che i filmati di al Qaeda sono “un prodotto del Pentagono”, ecco la senatrice del M5S Enza Blundo sostenere che il governo ha declassato la magnitudo del terremoto di Norcia così da non dover risarcire le vittime.
Siamo abituati a politici che danno la colpa di ogni cosa all’Europa o agli immigrati, ma questo è un salto di qualità. Il complottismo è passato da strumento di propaganda a forma mentis, e sta diventando dominante. Come è stato possibile? Anzitutto c’è una ragione tecnologica: i social network gli danno una voce e una visibilità mai raggiunta prima. Quali meccanismi scattano davanti alla tastiera? «Uno è il pregiudizio di conferma», ci spiega Walter Quattrociocchi, 36 anni, direttore del CssLab all’Imt, la School of Advanced Studies di Lucca: «Davanti a una quantità di informazioni ormai spropositata, ci affidiamo a quelle che confermano ciò che già crediamo. Alla nostra stessa narrazione». Così si trova il coraggio per sostenere in pubblico le opinioni più improbabili, si creano comunità solidali chiuse in echo chambers. Ne nasce una polarizzazione spesso violenta, «simile a quella di cui scrisse anche Karl Popper, tra quanti si schierano a favore
delle istituzioni e chi invece, sublimando la superstizione religiosa in quest’epoca secolarizzata, crede nei complotti. Non capisco i meccanismi troppo complessi che mi circondano? Allora cerco teorie che tengano tutto insieme», dice Quattrociocchi, forte di una sua ricerca che ha attirato l’attenzione anche del New York Times e che ha esposto nel libro Misinformation scritto con Antonella Vicini e appena uscito per Franco Angeli. «Il problema però è un altro, è l’approccio lacunoso, per partito preso e polarizzante dei grandi media, che spesso riproduce in altra forma questa mentalità».
Il lato tecnologico, dunque. E poi quello scolastico, visto che, secondo uno studio appena pubblicato dall’Ocse, i giovani diplomati di oggi sono meno preparati dei loro predecessori. Infine c’è il versante politico.

I movimenti populisti stanno costruendo il loro successo anche sull’orgogliosa rivendicazione dei peggiori argomenti dell’uomo qualunque. In Usa il neopresidente Trump è stato complottista su vaccini, Isis e cambiamento climatico. In Europa ci sono cospirazionisti al governo in Polonia e Ungheria. In Italia c’è il M5S, che strizza l’occhio alle bufale di internet e si fa vanto dell’aver portato in Parlamento “cittadini comuni”, tra i quali c’è anche chi crede che gli americani ci nascondono l’esistenza delle sirene. Siamo d’altronde entrati in quella che l’Economist chiama l’epoca post-truth, post-verità. Vale tutto, e i politici non se ne vergognano più.
Ma qual è il nesso tra populisti e complottisti? «Entrambi diffidano delle affermazioni di “chi sta in alto”. Le verità ufficiali e politicamente corrette sono indigeribili per loro e li inducono automaticamente al sospetto», ci spiega Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze e autore per il Mulino di Italia populista: «Si tratta di uno dei tanti effetti della perdita di credibilità della classe politica e intellettuale. Le teorie della cospirazione crescono per colpa di internet, ma anche perché la politica contemporanea ci ha abituato a non poche manipolazioni e falsificazioni».
Ma perché si diventa complottisti? Secondo gli studi, perché si ha bisogno di una teoria semplice che ci sappia spiegare ciò che è complesso, perché non si ha controllo sulla propria vita, non si ha fiducia negli altri o perlomeno nelle élite. Avete presente quando ci sembra di riconoscere un volto in una nuvola? È un caso di pareidolia, di illusione subcosciente con cui riconduciamo a forme note oggetti o profili dalla forma casuale. Lo stesso succede con gli eventi: siamo sempre alla ricerca di schemi con cui dare un senso a ciò che non capiamo.
Sulla rivista Aeon, il filosofo Quassim Cassam ha scritto infine che il problema dei complottisti non è solo la loro psicologia, ma il loro modo di ragionare, il loro “carattere intellettuale”. Fa l’esempio del giovane Oliver, un credulone senza umiltà, che «non ha cura nel pensiero, capisce poco la differenza tra prove autentiche e supposizione infondata». È qui che scuola, mass media e politica possono e devono intervenire, anche perché i cospirazionisti e più in generale i faziosi e i distributori di menzogne minano quella fiducia verso gli altri e verso gli esperti su cui si fonda la società. «La soluzione è destrutturare, combattere i dogmi», dice Quattrociocchi.
Ecco allora che in Francia c’è chi chiede di istituire a scuola delle ore di “spirito critico”, mentre su internet si diffondono i siti di fact checking, che smascherano le bugie dei politici. Combattere il fenomeno proprio lì dove più scorre il sangue, sulla Rete: c’è chi ci prova, come Paolo Attivissimo, giornalista della Radio Svizzera e cacciatore di bufale per il suo blog Il Disinformatico. «La crescita del complottismo si spiega anche con i molti programmi televisivi e gli articoli sui giornali che alimentano tesi pseudoscientifiche con il chiaro intento di lucrare sul sensazionalismo. Tv e giornali sono pericolosissimi», ci dice Attivissimo, che se pensa a degli “sdoganatori” parla di Voyager o dei servizi de Le Iene sul metodo Stamina, e a certi falsi documentari su alieni e sirene.
Qualcun altro punta sulla satira. In tv si distingue Maurizio Crozza, sul web c’è Protesi di complotto, che su Facebook ha100mila follower (dalla sua pagina abbiamo tratto gli esempi citati all’inizio): «Non credo si possa tracciare un profilo del complottista medio. C’è di tutto», ci dice il fondatore, un ragazzo di 35 anni che vuole rimanere anonimo. «Una volta mi è capitato che un complottista abbastanza noto mi abbia scritto, disperato, chiedendo di passare dalla mia parte. Credeva davvero che lavorassi per il Nuovo Ordine Mondiale e fossi pagato a peso d’oro».
Però c’è anche un’altra cosa da fare, e non scontata. La suggerisce lo psicologo americano Rob Brotherton nel suo ultimo libro, Suspicious Minds. Tutti, secondo Brotherton, siamo complottisti, cerchiamo ovunque un disegno. Ovviamente c’è differenza tra la pericolosità di chi nega l’utilità dei vaccini e chi pensa che il tale attore di Hollywood sia in fondo in fondo omosessuale. Ma tutti abbiamo pregiudizi “di intenzionalità” (ogni cosa succede perché l’ha voluta qualcuno), di “proporzionalità” (grandi eventi accadono per grandi cause, JFK non può essere stato ucciso “solo” da un uomo) e di “conferma” («Visto, te l’avevo detto!»).
Secondo uno studio di Joseph E. Uscinski e Joseph M. Parent, il complottismo sarebbe in realtà trasversale quanto a età, istruzione e tendenze politiche. Quindi una cosa da fare è questa, secondo Brotherton: ammettere che tutti siamo coinvolti, in qualche modo. Chi è immune dalla scorciatoia che lo psicologo Daniel Kahneman chiama cognitive ease, la tendenza a evitare i fatti che costringerebbero il nostro cervello a faticare di più? Chi non ha mai visto complotti di amici, vicini e colleghi ai propri danni? «Nessuno di noi è privo di vizi intellettuali», scrive Quassim Cassam, «riconoscerlo è il segno di una mente sana».