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 2016  novembre 23 Mercoledì calendario

TONGA, FIGI E SAMOA: FUCINE OVALI

La chiamano «polinesizzazione del rugby» e si traduce in un semplice numero: 18. È una stima, più che una statistica, ma è stata rilanciata da Reuters, Times e Bbc: il 18% dei rugbisti professionisti, nel mondo, sono originari delle isole Samoa, di Figi o di Tonga. Tre paesi minuscoli, sperduti nell’Oceano Pacifico, che insieme superano a malapena il milione di abitanti, forniscono quasi un quinto dei giocatori pro’. Atleti veloci, fantasiosi, scolpiti nel marmo e a buon mercato. Anche fossero meno — il sito della Pipa, l’associazione dei professionisti delle Pacific Islands, fornisce un 15% —, il dato resterebbe clamoroso.

VERSO L’EUROPA Eppure Figi è decima nel ranking e Samoa 14a. Tonga, che sabato a Padova sfiderà gli azzurri, è 15a. Sono nazionali di «tier 2», un gradino sotto l’élite. La dissonanza è presto spiegata: gran parte dei talenti fuggono via prima di entrare nelle selezioni locali, attratti dagli ingaggi pesanti dei mercati rugbistici più evoluti. E se in passato, a godere di questo immenso bacino erano soprattutto Australia e Nuova Zelanda, negli ultimi anni gli isolani hanno invaso l’Europa. Secondo una stima del ministero degli Esteri francese, a maggio 2016 nel Paese erano presenti 150 rugbisti figiani. Nel 2014, il Brive — club di Top 14 — ha aperto una propria academy alla Figi. Nella Premiership inglese i polinesiani sono 72.

LE NAZIONALI Negli ultimi anni, però, anche le nazionali hanno iniziato a riempirsi di isolani. Il meccanismo è quello della eleggibilità. Si prendono i giovani più talentuosi che non abbiano già esordito nelle selezioni locali, li si fa arrivare nel nuovo Paese e giocare con un club per almeno tre anni e il gioco è fatto, possono essere schierati con la nuova nazionale. Sabato a Parigi, in Francia-Australia, i Bleus avevano due ali figiane, Noa Nakaitaci e Virimi Vakatawa; i Wallabies schieravano il centro Tevita Kuridrani — cugino di Lote Tuqiri — e come ali Sefanaia Naivalu e Henry Speight, altri due figiani. Nell’Inghilterra che sabato ha battuto 58-15 le Figi (!) c’erano due tongani — Mako e Billy Vunipola, figli di Fe’ao, capitano dei rossi —, un samoano — Ben Te’o — e due figiani, Semesa Rokoduguni e Nathan Hughes.

TENTATIVO AZZURRO Anche l’Italia ci ha provato. Esaurito il filone argentino che aveva segnato gli anni Novanta e Duemila, nel 2012 il presidente della Fir, Alfredo Gavazzi, aveva lanciato l’idea di cercare talenti alle Figi, Tonga e Samoa. Una delegazione federale andò nelle isole per aprire un canale, ma non se ne fece nulla. Samuela Vunisa, numero 8 figiano, ha però percorso questa strada: arrivò a Calvisano nel 2011 e nel 2014, tre anni dopo, esordì in azzurro. Lui e a Manoa Vosawai, altro 3a linea figiano, sono i due «pacifici» ad aver vestito l’azzurro.

TOSTI E DEVOTI Ma perché sono così richiesti? L’oro delle Figi nel Seven a Rio 2016 è una risposta più che sufficiente. Eppure secondo Andrea Cavinato, che a Calvisano allenò Vunisa, Mafi, Ngauamo ed Ehea e che oggi al Petrarca ha Joey Afualo, il talento per il gioco al largo e l’eccezionale fisicità non sono le sole ragioni. «Sono dei puri, estremamente educati e sensibili, con una grande moralità. Possono apparire ingenui, in realtà trasmettono felicità e facilità nel gioco».

EMORRAGIA Il rugby mondiale vorrebbe frenare questa emorragia. Si parla di una franchigia polinesiana nel Super Rugby, si vorrebbe rendere più difficile il cambio di nazionalità o, per lo meno, permettere a chi si è affermato con le maglie più importanti di tornare in patria e chiudere la carriera con la propria nazionale. Dan Leo, ex capitano di Samoa, sostiene una delle tre potrebbe vincere il Mondiale, se potesse disporre dei suoi talenti. Vero. Ma purtroppo converrebbe a pochi.