Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 22/11/2016, 22 novembre 2016
MIRACOLO GASP, CHE IMPORTA QUANTO DURERÀ
“Siamo tutti quanti coi piedi per terra, ma l’entusiasmo è incredibile”. Così parlò Gian Piero Gasperini dopo la vittoria 2-1 con la Roma. Nelle ultime sette giornate nessuno ha fatto più punti della sua Atalanta: addirittura 19, sei vittorie e un pareggio. Persino la Juve ne ha fatto uno in meno.
Ora l’Atalanta è quarta, a un punto dal secondo posto. Quando qualcuno l’ha definito ieri “la vera anti-Juve”, il Gasp ha sorriso. Magari ha pure ripensato a quando nella Juventus ci giocava, anche se “solo” nelle giovanili, a fianco di Paolo Rossi e Sergio Brio. Poi il prestito alla Reggiana e una carriera buona ma non straordinaria. Palermo, Cavese, Pistoiese, Salernitana e Vis Pesaro.
Nato a Grugliasco – provincia torinese – il 26 gennaio 1958, Gasperini sta vivendo le sue settimane d’oro. Non le uniche, ma probabilmente le più scintillanti. E forse anche le più inattese, perché il suo inizio a Bergamo era stato pressoché disastroso. Qualcuno già parlava di esonero, e se avesse allenato a Palermo – cosa peraltro accaduta – Zamparini lo avrebbe fatto.
Del resto, quando gli capitò di tornare nella città che gli aveva forse più sorriso da calciatore, Gasp era riuscito a ottenere – primo caso nella storia – una clausola anti-esonero. Che infatti arrivò, ma se non altro insieme a un sacco di soldi. Stagione 2012/13: il momento peggiore di un professionista poco gradito ai media, o quantomeno mai troppo sponsorizzato. Nella precedente stagione si era trovato sopra quella polveriera chiamata panchina dell’Inter, da cui era stato anzitempo allontanato dopo un rovescio col Novara.
La partita passò alla storia perché Massimo Moratti riuscì a litigare con un tifoso – momento di comicità rara – e perché Gasperini fu il primo tecnico interista a essere cacciato senza aver vinto neanche una mezza partita. Una brutta botta per un ottimo allenatore, che aveva fatto per anni benissimo al Genoa ma che pure lì si era visto esonerato. Incline al 3-4-3 e ritenuto un sergente di ferro, Gasperini non poteva che ripartire dalle sue ceneri. Ovvero, e ancora, dal Genoa.
Lì è tornato a macinare gioco e schemi, lì è riuscito a trarre il massimo da giocatori che paiono giocare bene solo con lui (Bertolacci) e da profili che fino a quel momento sembravano solo meteore (Niang, Suso). L’Atalanta è il contesto ideale, per un tecnico che sa lanciare anzitutto i giovani. E poche società hanno il vivaio dell’Atalanta. Superate le fatiche iniziali, ci si trova adesso di fronte al paradosso – neanche troppo sorprendente – di un allenatore che opera in provincia e ciò nonostante si lamenta con il tecnico della Nazionale perché gli prende troppi giocatori (sette) per i suoi stage.
Ma Ventura non può fare altro: se l’Italia vuole ripartire, non può non farlo da quelle rare realtà in cui si crede ancora nel calcio giovanile italiano (Atalanta, Sassuolo e Milan su tutti). Non è dato sapere quanto il miracolo Gasp durerà, ma in fondo neanche è troppo importante scoprirlo: è già bello così.