Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 22/11/2016, 22 novembre 2016
COS’HA SCRITTO DAVVERO IL FINANCIAL TIMES E COSA I MEDIA ITALIANI
Referendum, sul Financial Times: Italia fuori dall’euro se vince il No”. Per tutto il giorno è stata questa la sintesi sul sito di Repubblica dell’articolo di Wolfgang Munchau. Una sintesi piuttosto lontana dal contenuto dell’editoriale, ma con l’avvicinarsi della data del voto cresce la sensibilità ai giudizi che arrivano dall’esterno del Paese. C’è un fondamento in questo: le aspettative sul Paese post-voto possono avere un ruolo decisivo nel determinare la scelta finale degli indecisi. Il Monte dei Paschi di Siena, per esempio, ha detto che l’esito dell’aumento di capitale vitale per la banca è in bilico perché gli investitori aspettano di capire cosa accadrà. Sottinteso: se vince il No ci sarà instabilità politica e dunque nessuno investirà.
Proprio per questa rilevanza, però, i giudizi degli osservatori internazionali oltre che letti vanno capiti e ponderati. Prendiamo il caso di Munchau. Anche senza infilarsi nella disputa tutta italiana se la rubrica settimanale del catastrofista Muchau rispecchi la linea del giornale più influente in Europa, vale la pena chiarire il suo ragionamento: la vittoria del No il 4 dicembre potrebbe mettere in moto “una sequenza di avvenimenti” che solleverebbero dubbi sulla permanenza dell’Italia nella moneta unica. “Le cause sottostanti di questa inquietante eventualità non hanno nulla a che fare con il referendum stesso”, premette Muchau prima di spiegare che il vero problema è la produttività, quanto si produce a parità di capitale e lavoro: dopo l’ingresso nell’euro, quella dell’Italia è scesa del 5 per cento, in Francia e Germania è salita del 10.
La sconfitta di Renzi potrebbe spingere gli investitori a pensare che è arrivato il momento in cui le debolezze strutturali dell’euro non possono più essere ignorate. E lo stesso potrebbe succedere in caso di vittoria di Marine Le Pen alle elezioni presidenziali del 2017 in Francia. Se l’aspettativa di una disgregazione diventa elevata, tutti si comporteranno di conseguenza e la disgregazione arriverà. Munchau non vede lo sfascio imminente, ma considera plausibile l’addio di un Paese: se esce l’Italia, l’euro forse può reggere, ma non senza la Francia. È un invito a votare Sì? “Se Renzi vincesse il referendum, non cambierebbe l’esito finale”, precisa Munchau nella sua newsletter Eurointelligence, chiosando l’articolo sul Financial Times.
Investitori e giornali finanziari hanno un criterio dominante di valutazione: la stabilità. Vogliono un governo con pieni poteri che faccia le riforme, temono i lunghi interludi pre-elettorali o gli esecutivi poco legittimati. A questo si aggiunge la narrazione semplificata del contagio: prima la Brexit, poi Donald Trump e ora cade l’Italia. Una versione della storia accreditata di recente da un lungo articolo del corrispondente James Politi, sempre sul Financial Times. E pure da un commentatore influente come Simon Nixon, sul Wall Street Journal, secondo cui la possibile sconfitta di Renzi farebbe ricordare ai mercati che l’Italia ha un debito al 135 per cento e che se a marzo la Bce di Mario Draghi ridurrà gli stimoli straordinari che tengono basso il costo del debito, la tenuta dei conti sarà a rischio. Problemi che si pongono ugualmente se vince il Sì. Ma gli investitori non sono sempre razionali, inseguono simboli, segnali per anticipare gli eventi invece che seguirli. Poco importa se, come osserva lo stesso Simon Nixon, “lo sforzo riformatore di Renzi si è comunque sgonfiato nell’ultimo anno e poche iniziative rilevanti sono attese prima delle elezioni del 2018”.
L’unico articolo rilevante uscito sul merito della riforma è apparso sempre sul Financial Times, a firma di Tony Barber, il 4 ottobre: “Le riforme costituzionali di Renzi, un ponte verso il nulla”. Barber, uno dei commentatori più autorevoli sulle cose europee, recepiva gran parte delle obiezioni del comitato del No.
Ma i report delle banche non discutono mai i singoli aspetti della riforma costituzionale, si limitano a una generica sintesi. L’eccezione è Erik Nielsen, il capo economista di Unicredit, che nella sua analisi tifa Sì ma invita i suoi clienti a concentrarsi sull’Italicum, più che sul referendum, perché può consegnare l’Italia al Movimento 5 Stelle, “la vittoria del No sarebbe una frenata per Renzi, ma non avrebbe niente in comune con i casi Brexit e Trump”.
I mercati e i loro interpreti votano Sì. Ma alla fine saranno gli italiani a dover convivere con la Costituzione che uscirà dal referendum.