Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 16 Mercoledì calendario

BOSSETTI CHOC: «NON MI ACCUSERÒ MAI»


Bergamo, novembre
C’è stato qualcuno che, prima della condanna all’ergastolo, ha suggerito a Massimo Bossetti di autoaccusarsi dell’omicidio di Yara tirando in ballo come complice un’altra persona? Perché lo avrebbe fatto? Ed è vero che, in tal caso, sarebbe stato in qualche modo prospettato un dimezzamento della pena? Sono domande, inquietanti, che circolano da qualche tempo nell’entourage della difesa dell’imputato.
Il primo a parlarne, in una delle ultime udienze del processo, era stato Paolo Camporini, uno dei difensori di Bossetti. «È vero che le hanno chiesto di accusare un morto?», chiese l’avvocato a Bossetti. In aula calò il gelo. Bossetti non rispose. Nessuno fece domande. E l’avvocato a fine udienza aggiunse: «È una carta che ci giocheremo in Appello, a Brescia».
Una rivelazione che non compare tuttavia nelle 258 pagine dell’atto di impugnazione in Appello contro la sentenza di primo grado depositate dai difensori sabato scorso, ma che ora troverebbe una conferma esplicita in un passaggio delle sei pagine di una lettera struggente inviata da Bossetti alla mamma Ester e alla sorella Laura, passaggio che Oggi è in grado di pubblicare in esclusiva.
«Ormai la vita mia è solo una sofferenza ma non intendo per niente mollare», scrive Bossetti dal carcere. «Troppo male ho ricevuto nella mia vita e sarebbe da stupidi mollare adesso, intendo soffrire ancor di più se vogliono farmi questo, e morire anche di crepacuore se non riuscirò più a uscire, ma vi assicuro che mai e poi mai mi autoaccuserò di qualcosa che mai ho fatto e che assolutamente mai potevo fare in vita mia... Laura, il tempo che ci vorrà non me ne frega niente, l’importante è che tu ti renda conto un giorno, che tuo fratello non ti ha mai mentito...».
La sensazione è che Paolo Camporini e Claudio Salvagni, i difensori di Bossetti, abbiano fra le mani una carta segreta che evitano di rivelare perché sanno che il destino di Massimo Bossetti e la verità sull’omicidio di Yara passano per la cruna di un ago. Può restringersi inesorabilmente verso una nuova condanna o dilatarsi fino a sconvolgere un’inchiesta durata quattro anni e una sentenza di condanna all’ergastolo.
Anche perché a Oggi risulta che quella carta segreta non sia solo una sensazione. Ci sarebbe ben altro. Esiste una registrazione?
Intanto, il ricorso inoltrato dagli avvocati ha un primo, vero obiettivo: indurre la Corte d’Assise d’Appello a riaprire l’istruttoria dibattimentale. Quindi a rifare il processo.

MANCA IL MOVENTE
«Almeno nelle parti nelle quali ci è stato impedito di intervenire», dicono, «a cominciare dalla perizia sul Dna trovato sugli slip di Yara. Una traccia decisiva per la condanna esaminata solo dai consulenti dell’Accusa. A noi è stato chiesto un atto di fede, dovete credere. Non abbiamo mai potuto vedere neppure gli indumenti di Yara. Una perizia disposta dalla Corte diventa fondamentale per fugare gli enormi dubbi».
Perché? «Un Dna pasticciato e controverso, indizi inesistenti o confusi, omissioni e buchi nelle indagini, testimoni non ascoltati o reticenti, altri che hanno mentito ai Carabinieri e in aula, altri ancora sui quali siamo stati stoppati nei momenti cruciali, piste alternative e indagini difensive sempre respinte. Non c’è una persona, una telefonata, un messaggio, un pettegolezzo che dimostrino che Yara e Bossetti si conoscessero. Come si fa a sostenere che la ragazza è salita sul furgone di sua volontà? Può averlo fatto solo se a offrirle un passaggio in quella serataccia è stato qualcuno di cui si fidava. Un vicino di casa o un amico di famiglia. Infatti l’Accusa ha ammesso di non conoscere la dinamica e il movente dell’omicidio. Ma nel dubbio non si condanna. Per questo chiediamo ai giudici dell’Appello di ripartire da una sola certezza: Yara è stata uccisa. Ma da chi? Dove? Quando? Perché?».