Susanna Novelli, Il Tempo 18/11/2016, 18 novembre 2016
UN FIUME DI ETERNE PROMESSE E MARINO VOLEVA PURE ASFALTARLO
Alla fine ci sono cascati anche loro. I «rivoluzionari» grillini, quelli che tutto cambiano perché nulla va, lo hanno detto: «Il Tevere sarà navigabile». Un cavallo di battaglia di tutte le campagne elettorali dal 1993 ad oggi, solo per limitarci all’introduzione dell’elezione diretta del sindaco. Del grande progetto di accostare il «Biondo Fiume» alla Senna di Parigi o al Tamigi di Londra, che ha riempito i cassetti di tutti i sindaci e di decine di associazioni, si ha traccia nelle linee guida del 1994 realizzate dalla giunta di Francesco Rutelli. Negli anni a seguire un vivo dibattito urbanistico, ambientalistico e culturale riempì pagine di giornali, riviste specializzate e stimolò l’attenzione persino di esperti internazionali.
Acoglierne i primi frutti fu però il sindaco Walter Veltroni che nel 2003 inaugurò l’avvenuta pulizia delle banchine e i primi battelli che tornarono a navigare sul Tevere. «Oggi scriviamo una pagina di storia che i cittadini aspettavano da anni», diceva Veltroni festeggiando così il Natale di Roma del 2003. L’idea era quella di utilizzare i battelli del Tevere anche come trasporto pubblico con fermate nelle banchine della tratta centrale, quella dalla Tiberina a Duca d’Aosta. Tutti, a quel punto, ci credevano. Persino l’Atac stava progettando un sistema di bigliettazione unica che comprendesse oltre agli autobus e alla metropolitana, anche i battelli.
Un sogno svanito nel giro di poco. Non solo i conflitti di interesse tra le varie autorità competenti sul fiume ma anche le licenze dei battelli e un servizio che, a conti fatti, costava troppo e non “stuzzicava” più di tanto i romani, pressoché ignari della parziale “rinascita” del Tevere, nel frattempo divenuto dimora preferita di migliaia di clandestini. Così il «Biondo Fiume» si presentò all’avvento del primo sindaco di centrodestra in Campidoglio come una grande e lunghissima favela brasiliana. Gianni Alemanno e la sua giunta promisero subito la bonifica del Tevere e l’avvio di uno studio per renderlo navigabile. L’allora assessore all’Ambiente, Fabio De Lillo, realizzò un progetto legato alle Olimpiadi del 2016 in cui il Tevere era protagonista. Previsti persino degli ascensori nelle tratte più centrali.
Ma al di là delle buone intenzioni il nocciolo della questione è da sempre lo stesso. In una città in emergenza perenne la bonifica del Tevere e la sua completa fruibilità hanno un costo che la Capitale non può permettersi. Non lo ha potuto fare negli anni Novanta, quando tra Mondiali e Giubileo si ebbero finanziamenti oramai impensabili. La cifra, indicativa, la diede il sindaco dem Ignazio Marino, a un anno dalla sua elezione in Campidoglio. Conti e date, sembrava tutto pronto, era il luglio 2014. «Renderemo il Tevere navigabile dall’anno prossimo, spero entro il 2015», diceva il chirurgo dem. apostrofando anche il film cult di Carlo Verdone in cui si suggeriva di «asfaltarlo». Qualcosa insomma, pensava Marino, con questo fiume dobbiamo fare.
E l’intento, come tutti i suoi predecessori, era persino buono: pulizia degli argini, dragaggio del fiume, riqualificazione attraverso punti ristoro, bar e piste ciclabili. Il costo? Cento milioni di euro. Da chiedere all’Unione Europea. Anche in questo caso, il progetto è stato riposto nel cassetto. Fino all’ultima campagna elettorale dove tutti i candidati in programma avevano la voce «Tevere navigabile». Quasi un karma, o un portafortuna chissà. Il candidato «lampo» di Forza Italia Guido Bertolaso arrivò a promettere di «farsi il bagno nel Tevere». Adesso anche i grillini, quelli che non vogliono sprechi, quelli che hanno rinunciato alle Olimpiadi e che si ritrovano con un piano investimenti triennale degno di un paesino di provincia: neanche 500milioni di euro. In tre anni.
Difficile dunque trovare quello stesso entusiasmo espresso ieri dall’assessore capitolino all’Ambiente, Paola Muraro. E come un vecchio, saggio avo il Tevere è lì, guarda e subisce ma è sempre l’arteria pulsante di una Città eterna che poco se ne cura, è vero, ma «guai a chi lo tocca». In tutti i sensi.