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 2016  novembre 19 Sabato calendario

UNICREDIT DIVENTA FRANCESE, IL GOVERNO FA FINTA DI NIENTE

La confusione che regna sotto il cielo del sistema bancario italiano è riassunta nei titoli dedicati martedì scorso alle traversie di Unicredit da Corriere della Sera (“Nozze con SocGen? La Borsa ci crede”) e Repubblica: “Unicredit francese, la Borsa non ci crede”. In realtà la Borsa non crede più a niente, salvo che all’evidenza dei fatti: il sistema bancario italiano non è più governato. Tra Palazzo Chigi, ministero dell’Economia e Banca d’Italia si è costituito un triangolo della distrazione (ed è ancora la migliore delle ipotesi).

Vediamo i fatti. L’amministratore delegato di Unicredit Jean-Pierre Mustier ha ufficiosamente sdoganato la notizia che la banca milanese ha bisogno di almeno 13 miliardi di aumento di capitale: quando lo scrisse Carlo Di Foggia sul Fatto del 4 ottobre scorso i suoi portavoce finsero di fremere di indignazione. In realtà il buco patrimoniale di Unicredit è attorno ai 20 miliardi, e dovrà essere in parte colmato vendendo un po’ di gioielleria: tutto ma non l’8,56 per cento di Mediobanca che vale il ruolo chiave di primo azionista della merchant bank fondata da Enrico Cuccia.

Mediobanca è il primo azionista delle Assicurazioni Generali con il 13,2 per cento. Le Generali, convertendo le obbligazioni subordinate di Mps che chissà perché hanno in pancia, diventerebbero azioniste di Rocca Salimbeni con circa il 7 per cento (oggi il primo azionista è il governo italiano con il 4 per cento). Mps, se non andrà a gambe all’aria entro l’anno come i suoi attuali vertici non sembrano in grado di impedire – si troverà nell’azionariato sia Generali sia la compagnia di assicurazioni francese Axa, già socia e partner industriale di Mps.

Lunedì 14 novembre alle 8 di mattina l’agenzia Ansa ha fatto uscire un’insolita indiscrezione che val la pena di riportare : “C’è forse Société Générale nel futuro di Unicredit. L’ipotesi di una fusione per dare vita a un grande gruppo italo-francese di respiro europeo, secondo diverse fonti, sta circolando con insistenza negli ambienti finanziari, di pari passo con i rumors apparsi nel fine settimana su un aumento di capitale di grande taglia, superiore ai 10 miliardi di euro, per la banca di Piazza Gae Aulenti”. Sono i rumours fatti apposta per essere smentiti. Prima di parlare di fusione, Unicredit deve trovare i 13 miliardi di cui sopra. Siccome oggi vale in Borsa 12 miliardi, dovrebbe chiedere di raddoppiare l’investimento ad azionisti che stanno letteralmente con le pezze al sedere, in primis le mitiche fondazioni bancarie.

È quindi più che verosimile che Mustier faccia lo stesso tentativo condotto in questi giorni dal suo omologo in Mps Marco Morelli: cercare investitori forti disponibili a sottoscrivere importanti tranche dell’aumento di capitale. Société Générale, presieduta dal fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, è già pronta. Oggi vale tre volte Unicredit, di cui da anni è considerata complementare. Mustier viene da Société Générale.

L’ha dovuta lasciare nel 2009, mentre era lanciato verso il vertice, dopo una sanzione per insider trading, e dopo che un suo uomo, il celebre Jérôme Kerviel, fu arrestato per aver fatto spericolate operazioni finanziarie che avevano provocato un danno da 5 miliardi a SocGen. Dal 30 giugno scorso, quando Mustier è stato nominato al posto di Federico Ghizzoni (l’uomo che non si è accorto di sedere su una voragine da 20 miliardi, a meno che la voragine non sia un’invenzione di Mustier funzionale a disegni inconfessabili), Société Générale ha guadagnato in Borsa circa il 30 per cento.

Investendo un po’ di miliardi in Unicredit diventerebbe padrona di Mediobanca (dove il secondo azionista è un altro francese, Vincent Bollorè) e quindi delle Generali, che hanno un altro amministratore delegato francese, Philippe Donnet, che con Mustier ha forti legami personali, e di cui Société Générale si è già presa l’estate scorsa il 4,2 per cento

Se Unicredit, Mediobanca e Generali diventeranno francesi come Telecom Italia, la banca Intesa Sanpaolo e l’Eni resteranno gli unici due soggetti finanziari di stazza internazionale a proprietà italiana. Purtroppo non sappiamo se questo scenario – in sè non necessariamente scandaloso – piaccia a Matteo Renzi o semplicemente lo trovi spaesato e impotente. Sicuramente non lo aiutano i pessimi rapporti con il presidente francese François Hollande, incrinati un anno fa quando l’Eliseo chiamò all’azione militare contro l’Isis e Renzi replicò beffardo: “L’Italia non partecipa. Le iniziative spot servono e non servono”. Stato dei rapporti ideale per chi vorrà servirsi alla bancarella del capitalismo italiano in svendita.