Fabrizio D’Esposito, Il Fatto Quotidiano 21/11/2016, 21 novembre 2016
FENOMENOLOGIA DEL “QUO VADIS?”, ROMANZO DI UN NAZIONALISTA POLACCO
Se Quo vadis è diventata una delle espressioni più note universalmente, il merito è di uno scrittore polacco di nome Henryk Sienkiewicz, che sul finire dell’Ottocento pubblicò un romanzone destinare a diventare un classico senza tempo. Quo vadis, appunto, che nell’edizione originale è senza punto di domanda, ma nelle traduzioni italiane sì.
“Domine, quo vadis?”, “Signore dove vai?” è l’angoscioso interrogativo che san Pietro pose alla visione di Cristo che gli veniva incontro sull’Appia antica. Il principe degli apostoli era evaso dal carcere e stava scappando da Roma. Il Signore, interpellato, rispose: “Romam, ut iterum crucifigar”. “(Vado a) Roma, per essere crocifisso una seconda volta”. Così Pietro comprese che non poteva sottrarsi al martirio e tornò indietro. Sienkiewicz ne tirò fuori un’epopea cristiana nella corrottissima Roma imperiale con alcuni personaggi: Vinicio, Licia, Petronio, Eunice e Nerone.
Il libro è stato tradotto in cinquanta Paesi e ha avuto ben sei trasposizioni sul grande schermo, compresa quella più nota degli anni Cinquanta, candidata all’Oscar, un kolossal con Robert Taylor, Deborah Kerr e Peter Ustinov. In pratica, il romanzo di Sienkiewicz, che nel 1905 vinse il premio Nobel della letteratura per la sua opera omnia, nel corso di un secolo si è affermato come un fenomeno globale di massa che mescola amore, persecuzione cristiana, critica del tiranno depravato e senza morale, finanche il nazionalismo polacco. Tutti temi che sono stati trattati in un convegno la settimana scorsa, per inaugurare la mostra internazionale su Quo Vadis all’Istituto polacco di Roma, che sarà aperta fino al 5 gennaio del prossimo anno. Nel corso del dibattito, con vari docenti universitari della Sapienza, il principale ateneo della Capitale, è stato anche ricordato che il libro, appena uscito, venne accolto con grande preoccupazione dai gesuiti, che denunciarono la “procace” copertina, a causa di femminili gambe nude.
In Italia venne pubblicato per la prima volta nel 1897 sul Corriere di Napoli, a puntate come un romanzo d’appendice. Il Mattino di Matilde Serao lo aveva rifiutato.