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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

FUTURO LOCATELLI: «CON ME E DONNARUMMA 10 ANNI DI GRANDE MILAN» – Il ragazzo della porta accanto

FUTURO LOCATELLI: «CON ME E DONNARUMMA 10 ANNI DI GRANDE MILAN» – Il ragazzo della porta accanto. Cioè: il calciatore della porta accanto. La definizione gli piace, dice che lo rispecchia. Poi, è chiaro, non tutti i ragazzi che abitano alla porta accanto fanno i calciatori. E, in particolar modo, non tutti giocano titolari in Serie A. Specialmente a 18 anni. Tecnicamente Manuel Locatelli non può essere il ragazzo della porta accanto perché abita nel convitto del Milan e non in un condominio, ma idealmente ha il profilo perfetto: faccia pulita, sguardo buono, parlantina sveglia e educata. Quello che ti può bussare per chiedere lo zucchero o quello a cui puoi bussare se hai un’emergenza di babysitting dell’ultimo momento. Niente tatuaggi. Niente orecchini. FOTOCOPIA Manuel è un altro giovanissimo rossonero appena entrato nel tritatutto della popolarità ed è una storia che sembra fotocopiata da quella di Donnarumma, di cui è un grande amico. Dinamiche simili: famiglie intelligenti e protettive – senza esagerare – alle spalle, primi calci nei luoghi d’origine, la trafila nel settore giovanile rossonero, e lo stesso modo di prendere la vita e la professione. Entusiasmo e realismo ben dosati per non perdere di vista la concretezza. Non è semplice quando nell’arco di un mese diventi titolare nel Milan, segni i primi due gol in A e hai un cognome che inizia a gironzolare nella testa del c.t. della Nazionale. Ieri Ventura l’ha chiamato per lo stage di lunedì prossimo. E ora arriva il suo primo derby da «grande». Una frase-simbolo per inquadrare Manuel? «Mi piace il divertimento, è ovvio, ma con moderazione». Ecco. Locatelli, come si fa a restare aderenti alla realtà? «Grazie alla famiglia. Sono loro a farmi restare umile. Mio papà lavora in banca, mia mamma è casalinga, una figura fondamentale. Mio fratello gioca a Inveruno, in D. Da piccoli eravamo inseparabili, in oratorio se non ero in squadra con lui non giocavo. E poi c’è mia sorella, che è laureata in russo. Mi manda messaggi così belli che mi fanno piangere. E mi ripete sempre di stare coi piedi per terra». E’ difficile, vero? «Le dirò, io mi sento ancora come i ragazzi della mia generazione di Galbiate, il paese in cui sono cresciuto. Se alla mia età iniziassi a pensare a soldi e ingaggi non andrei da nessuna parte». Moderazione potrebbe essere la sua parola chiave? «In molti aspetti della vita direi di sì. Ad esempio i social. Basta pensare a cosa è successo a Montolivo. Io sto attento a come li uso, non esagero mai perché possono anche nuocere». Sono i suggerimenti che dà ai ragazzi più giovani con cui è in convitto? «Ma certo. Mi chiedono foto e consigli. Dico sempre che se uno è forte, prima o poi l’occasione arriverà. Il convitto è in una posizione fantastica perché ha la vista su San Siro. E quindi a loro basta affacciarsi per guardare il posto in cui un giorno potrebbero arrivare. Perché San Siro è lo stadio dei sogni». Nel suo caso è uno stadio assolutamente reale. «Quando entro al Meazza ancora non realizzo bene quel che sta succedendo. Durante il viaggio, se mi sento agitato, mi calmo pensando alla mia famiglia, a quando giocavo al parco con mio fratello. Magari mi riguardo qualche foto». Ma non sarebbe ora che lei lasciasse il convitto? Non la attira una casa tutta per lei? «A dire il vero là ci sto proprio bene. Con i tutor ho un ottimo rapporto, sono in una camera singola, ci sono tutti gli altri ragazzi. Diciamo che... appena mi sveglio con la patente magari faccio il grande salto (sorriso imbarazzato, ndr). Eh sì, non l’ho ancora presa, su questo mi sono un po’ impigrito». L’importante è che non succeda in campo. In cosa deve migliorare maggiormente? «Fisicamente, e nella gestione della palla. In Primavera è più facile, in prima squadra è tutta un’altra cosa. Il mio obiettivo è dimostrare che in questo Milan ci posso stare». Quando si rivede le capita di pensare che non sia così? «Diciamo che a volte capita che mi vada a rivedere i due gol perché ancora non ci credo. E mi vengono i brividi». Se lei fosse l’allenatore di se stesso, avrebbe avuto lo stesso coraggio di Montella? «Lui ha visto che “andavo” in allenamento. Lo dico senza essere presuntuoso: la scommessa l’avrei fatta anch’io. E comunque la sua gestione è stata oculata. Prima mi ha fatto entrare un po’ di volte dalla panchina, poi l’infortunio di Montolivo ha accelerato il processo. Ma è stata una gradualità importante». Quando lei entrava a gara in corso, Montolivo doveva spostarsi di posizione: non si sentiva un po’ in imbarazzo? «No perché erano semplici dinamiche di gioco. E poi non sono tipo da timori reverenziali. Riccardo è una guida, un esempio, uno dei miei modelli, come Pirlo». Montella che cosa le dice in particolare? «Di fare quello che so, di giocare semplice come in allenamento. E di stare tranquillo». E’ una parola. A Galliani nel pensare a lei è scappato il nome di Rivera, mentre Berlusconi l’ha definita il nuovo Pirlo. «Accostamenti bellissimi. Berlusconi mi ha stupito molto. Quando ero ancora in Primavera si fermò da me e mi disse: “Mi hanno raccontato che sei molto forte...”. All’inizio era tutto un sogno, ma ora che sto iniziando a realizzare quel che accade, so anche di aver commesso degli errori. Con la Juve, per esempio. Tutti hanno parlato del mio gol, ma ho perso qualche brutto pallone. Sono cose che mi vado a rivedere per capire dove ho sbagliato». Ventura l’ha appena chiamato per il prossimo stage. «Sono felice, ma facciamo un passo alla volta. Sto giocando con l’Under 19 e va benissimo così. Da Ventura non mi aspetto nulla, penso al presente e a restare coi piedi per terra». Lei è nato l’8 gennaio 1998. Lo sa che è lo stesso giorno di un Milan-Inter 5-0 di Coppa Italia? «Confido che sia di buon auspicio. All’Inter ho già fatto un gol, quando ero nei Giovanissimi. Stop di petto e tiro da fuori area». Chi toglierebbe ai nerazzurri? «Icardi, perché vede la porta benissimo. Questa Inter è difficile da studiare perché ha cambiato tecnico. Ma la questione in realtà è una sola: la partita dobbiamo farla noi. E Montella è bravissimo a preparare questo tipo di sfide». Uno degli slogan di questo derby è «Milan italiano contro Inter forestiera». Le piace? «Il progetto giovani e italiani è molto bello e bisogna dire grazie a Berlusconi e Galliani. Il segreto del nostro settore giovanile è nelle persone. Loro sono i massimi dirigenti, poi ci sono figure fondamentali come Filippo Galli e De Vecchi, un allenatore che mi ha insegnato tanto». Lei, Donnarumma, Calabria, Romagnoli, De Sciglio: che cosa le dicono questi nomi messi insieme? «Che con noi il Milan ha un bel progetto per i prossimi dieci anni. Sta venendo fuori qualcosa di importante». I prossimi nomi da tener d’occhio in Primavera? «Scommetto su Vido, Cutrone, Zanellato e El Hilali». Lei e Donnarumma avete diversi punti in comune. «Ci siamo conosciuti negli Allievi, siamo amici veri. Lui è un fenomeno. Insieme lavoriamo e scherziamo sempre ed è vero, abbiamo tanti punti di contatto. Ma non sulla musica: quando attacca con le sue canzoni napoletane io mi metto le cuffie...». Eh, sono sacrifici. Ma ci parli di quelli veri, che lei cita spesso. «Quando andavo alle superiori la vita era complicata. Mangiavo in auto prima di andare al campo e la sera studiavo sul pullmino mentre tornavo a casa. Se non hai la testa, è durissima. Ad ogni modo mi va bene il mio 64 con cui sono uscito da ragioneria (ride, ndr)». Se non fosse diventato calciatore che cosa avrebbe fatto? «Ho una passione per i polizieschi, quindi l’investigatore privato». Ah, però. E ora che è calciatore, quali sono gli obiettivi? «Personalmente, continuare così. Come squadra, tornare in Europa». Semplice, come il ragazzo della porta accanto.