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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

IL SILENZIO DI PADRE AMATUCCI: “FEDE E CHIESA TROPPO LONTANE” – Prima di diventare Padre Federico Amatucci e disegnare un carattere nelle pieghe dei silenzi, Gianluca Guidi aveva altri segreti: “Da ragazzo ero pazzo di Patsy Kensit e seppi che sarebbe venuta a Milano

IL SILENZIO DI PADRE AMATUCCI: “FEDE E CHIESA TROPPO LONTANE” – Prima di diventare Padre Federico Amatucci e disegnare un carattere nelle pieghe dei silenzi, Gianluca Guidi aveva altri segreti: “Da ragazzo ero pazzo di Patsy Kensit e seppi che sarebbe venuta a Milano. Prenotai una stanza all’Hotel Doria con l’intenzione di incontrarla. Aveva affittato un intero piano. Uscii dall’ascensore e due energumeni mi consigliarono di tornare da dove ero venuto e di non rompere i coglioni”. Gli ha riservato un trattamento diverso Paolo Sorrentino, offrendogli il ruolo di un prete che è ombra del Silvio Orlando Segretario di Stato e depositario dei tanti spifferi che soffiano nelle stanze del Papa solo al comando immaginato dal regista: “Sorrentino mi ha chiamato per un provino e io l’ho affrontato perché i provini nel mio mestiere si fanno e quando ti convoca un Premio Oscar non discuti. Ho rivisto un ciak dopo tanto tempo. Dall’ultima volta erano passati più di 15 anni”. Ispettore Giuliani in Linda e il brigadiere con Nino Manfredi e poi, il nulla: “Con la tv e con il cinema ho avuto un rapporto praticamente inesistente. Non mi sono mai domandato ossessivamente il perché e quindi non mi aspettavo niente, tantomeno da Sorrentino”. Invece, è arrivato tutto: “Paolo si è preso il suo tempo per decidere e poi, mentre ero in candida attesa, mi ha fatto sapere che ero stato scelto”. Con le ultime due puntate in onda stasera sulla rete di Murdoch, la serie Sky prodotta da Wildside mette da parte ottimi ascolti e critiche e si prepara alla seconda stagione: “La lavorazione è stata intensa, anche se recitare non è andare in miniera e tutto sommato c’è chi ha faticato molto più di me. Sorrentino ci dava solo stralci del copione. Le nostre scene e niente più. Io parlo poco e avevo solo qualche pagina, Silvio Orlando andava in giro con la Treccani”. Tra qualche mese il figlio di Lauretta Masiero e Giorgio Guidi in arte Johnny Dorelli, compirà 50 anni. Più della metà, dopo una folgorazione giovanile, li ha trascorsi sul palco: “Sono in giro da 32 anni e quando il teatro privato era ancora una cosa vera e non un mondo in stato di totale abbandono depredato e fatto affondare non so quanto consapevolmente da classi politiche e governi di qualsiasi colore e natura, partivo per la tournée in ottobre e tornavo a fine aprile”. Se si escludono alcune realtà meritorie: “E qualche ente pubblico giustamente sostenuto dallo Stato come il Piccolo di Milano” il teatro è percepito – osserva Guidi – “come un ambito un po’ inutile negli occhi di chi lo guarda e uno spazio irrilevante persino per alcuni dei teatranti stessi. Lasciare al caso la gestione del sistema o peggio, pensare come sostiene qualcuno che con la cultura non si mangi è un errore di miopia tipico di chi alla cultura ha sostituito i numeri senza saper far bene i conti”. Non li fecero tornare neanche i genitori di Gianluca Guidi: “Severi, ma non troppo” quando lo iscrissero prima al Liceo Classico e poi alla facoltà di Economia e Commercio: “Se il loro sogno era di farmi diventare capitano d’industria si sbagliavano. Di quegli studi non mi importava niente e in quanto all’abilità nei conti, io avrei fatto fallire anche la Chrysler”. L’unica vera aspirazione, dice: “Sarebbe stata quella di diventare direttore d’orchestra classico. Frequentai anche il Conservatorio, ma ero fuori tempo massimo e l’utopia è rimasta tale”. Padre Amatucci parla poco, proprio come l’attore che lo incarna: “A volte, il più delle volte, non ho niente da dire”, è ateo: “Nonostante abbia fatto battesimo, comunione e cresima, nel tempo ho capito che esisteva una certa distanza tra quel che si diceva e quel che si praticava”, vede in qualunque religione un germe di estremismo e non ama le affermazioni dogmatiche: “Ho assistito al rito armeno, una delle cose più meravigliose che abbia visto nella mia vita. Sul mistero della fede a un certo punto viene tirato una sorta di sipario e dietro ai veli, al fedele è lasciata una propria libera interpretazione dell’evento divino. Un atteggiamento, credo, di enorme spiritualità in cui chi ascolta non ha l’impressione di dover solo annuire reprimendo le proprie riflessioni”. A scuola, quando da altri altari e altre cattedre, da figlio di due celebrità, Gianluca era speciale e diverso al tempo stesso, l’unico santo a cui appellarsi era l’autocontrollo: “Ho capito in fretta che era più utile capire cosa desideravo fare, piuttosto che pensare a quello che gli altri dicevano di me”. Della sua vita, del suo matrimonio, dei due figli avuti senza più attenderli quando proprio come nei film del padre, pensava a comprare una barca, trasferirsi fuori città ed evadere, è più che felice: “La vita è un fiume che scorre, magari non sempre in modo tranquillo, ma scorre”. Il bilancio, da qualunque parte Gianluca Guidi lo scruti, è positivo: “Ho avuto una carriera lenta e dalla laboriosa costruzione. Ho fatto cose belle e meno belle, ho dato tanto e altrettanto mi sono visto togliere, ma non mi sono mai sentito destabilizzato da un grande successo o da un tonfo epocale, sono abbastanza disincantato e in qualsiasi caso non morirò in scena. Non ci penso proprio. C’è un tempo per tutto, anche per la morte. Si muore in silenzio, a casa propria. Anche perché, ammesso che il sacro fuoco dell’arte esiste – e io credo si tratti di una stronzata – a un certo punto si estinguerà. Dopo il ritiro, mi terrò una chiave per il cassetto delle possibilità irrealistiche. Se chiamerà Spielberg, la userò. Ma non credo che accadrà. Non credo proprio”.