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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

LA MEMORIA DEL MONDO? SU CERAMICA


Ogni giorno creiamo una quantità di dati pari al contenuto della memoria di cinque milioni di laptop o di 150 milioni di iPhone. Sono più dati di quanti ne siano stati prodotti dagli albori dell’umanità fino al 2003. Nel minuto che impiegherete a leggere metà di questa pagina 204 milioni di messaggi email verranno inviati nel mondo, oltre 500 ore di nuovi video saranno caricate su YouTube, 2,4 milioni di utenti di Facebook avranno condiviso qualcosa. Nel 2013 la quantità di dati al mondo era pari a 4,4 mila miliardi di gigabyte, nel 2020 si prevede che saranno dieci volte tanto: ogni anno produciamo il 40 per cento in più di informazione rispetto all’anno precedente.
Di tutti questi dati, tra cento o mille anni, resterà poco o nulla. Perché la conservazione dell’informazione digitale dipende dalle fragilissime memorie dei computer, e i supporti per archiviare invecchiano rapidamente. Floppy disk, musicassette e videocassette sono già relitti della storia. Da qualche tempo uno dei padri di internet, Vinton Cerf, oggi vicepresidente di Google, ammonisce: via via che i sistemi operativi dei computer diventano più sofisticati, crescono i documenti memorizzati con tecnologie datate che diventano inaccessibili. Dati persi per sempre in quello che Cerf definisce “un buco nero”: paradossalmente, proprio la propensione al futuro che ci fa abbracciare con entusiasmo le nuove tecnologie potrebbe far apparire, agli occhi dei posteri, il Ventunesimo secolo come un nuovo Medioevo.
Non è detto però che l’oblio digitale debba trascinare con sé l’intera cultura umana, si è detto Martin Kunze, ceramista e artista di Gmunden, in Austria, che è riuscito a suscitare la curiosità del mondo scientifico con un progetto visionario: il nostro lontanissimo passato ci offre la chiave per trasmettere al futuro qualche traccia della civiltà odierna. Le tavolette usate dai sumeri hanno di fatto superato pressoché indenni i millenni e possono raccontarci ancora oggi come viveva chi le incise. «Per questo ho pensato di creare un moderno archivio di tavolette, dove conservare testi che aiuteranno gli archeologi di un lontano domani a capire chi eravamo» racconta Kunze. «Molti oggi, magari spinti dalle suggestioni della fantascienza, cercano di vedere avanti nel futuro, io invece ho preso a cuore la domanda inversa: “Come ci vedrà il futuro?”. E ho chiamato l’archivio Memory of Mankind, memoria del genere umano».
Tutto il contenuto dell’archivio è in forma analogica e non digitale, ed è quindi leggibile con il solo ausilio di una lente molto potente. «Si tratta di tavolette di venti centimetri per venti. Ce ne sono con testi leggibili direttamente e altre che chiamo “microfilm in ceramica”: grazie a un laser ultrapreciso, su una sola tavoletta si possono incidere infatti testi pari fino a duemila pagine di libro. Dopo la cottura, le tavolette possono resistere a temperature fino a 1.200 gradi, agenti chimici, radiazioni». Se tutto questo non bastasse, a difesa di questa originale capsula temporale, ci sarà anche tanta solidissima roccia. «L’archivio attraverserà i millenni al riparo di raggi ultravioletti, acqua, sabbia, vento, nelle profondità di una montagna nei pressi del borgo di Hallstatt, nel Salzkammergut, la regione austriaca che prende il nome dalle miniere di sale. E proprio una miniera di sale è la sede scelta per l’archivio: anche se la montagna dovesse franare, il sale, grazie alle sue proprietà plastiche, si adatterebbe alla forma delle casse con le tavolette, senza schiacciarle» spiega Kunze. «Il peso della montagna intanto fa sì che i cunicoli dell’ex miniera si restringano di due centimetri all’anno. È un processo lento, ma prima che sia passato un secolo la miniera sarà completamente sigillata. E questa è una garanzia perché il pericolo maggiore per l’archivio non sono l’usura del tempo e i fenomeni naturali, ma il saccheggio da parte di un’eventuale civiltà barbara di un mondo post-atomico».
Ma se l’archivio sarà sepolto, come potranno trovarlo gli archeologi del futuro? «Ho prodotto dei medaglioni, sempre in ceramica, di sei centimetri di diametro, che distribuisco a chiunque voglia partecipare al progetto (che è in crowdfunding, www.memory-of-mankind.com, ndr): se ad aderire saranno centomila persone, avremo centomila medaglioni sparsi per il mondo. Ognuno di questi conterrà indicazioni precise per arrivare al “tesoro”, ma in una forma comprensibile solo a una civiltà di livello tecnologico pari o superiore a quello che avevamo noi negli anni Ottanta». Sicuro che chi recupererà le tavolette ne capirà il contenuto? «Insieme ad antropologi e archeologi, come Cornelius Holtorf della Linnaeus University svedese e Claudia Theune-Vogt dell’Università di Vienna, stiamo realizzando una “stele di Rosetta” che affianchi a immagini di oggetti di uso comune le scritte con i loro nomi in diverse lingue. Un “dizionario visivo” che consentirà di decifrare testi. In più le tavolette conterranno dizionari e grammatiche delle lingue più diffuse».
La sfida di farsi capire dagli uomini del futuro ha attratto verso il progetto Memory of Mankind anche l’interesse dell’industria nucleare, che non ha il problema di tramandare la cultura ma qualcosa di altrettanto importante: «Segnalare in modo chiaro a chi abiterà la Terra i luoghi dove sono sotterrate le scorie nucleari, che saranno pericolose ancora a lungo. Per questo Claudio Pescatore, dell’Agenzia per l’energia nucleare dell’Ocse, è entrato nel nostro comitato scientifico».
Il comitato – che oltre a Pescatore, Holtorf e Theune-Vogt comprende Sofie Tunbrant, dell’Agenzia svedese per la gestione dei combustibili e delle scorie nucleari, e il giornalista scientifico americano Jon Lomberg – oggi è impegnato soprattutto in quella che rimane la sfida più ardua e ambiziosa: come selezionare ciò che è degno di essere tramandato ai posteri? «La nostra idea è preservare un’immagine obiettiva e non troppo filtrata del nostro tempo. Per questo vogliamo progettare un sistema per rifornire l’archivio in modo automatico: per esempio abbiamo invitato i giornali, le riviste scientifiche e le università più importanti del mondo a mandarci gli editoriali quotidiani, gli articoli e le tesi premiate». Benché automatica e filtrata, una selezione è necessaria: «Oggi le informazioni rilevanti sono un ago nel pagliaio» dice Kunze. «Se su Google fai una ricerca sull’allunaggio, di sei milioni di risultati cinque sono pagine complottiste secondo le quali non siamo mai stati sulla Luna. Si stima che fino a noi oggi sia giunto un millesimo di tutti i testi scritti dall’umanità, e ci è bastato per ricostruire la Storia. Il millesimo che noi tramanderemo ai posteri dovrà essere filtrato dalle sciocchezze, oppure l’immagine della nostra civiltà sarà del tutto distorta».
Il progetto è aperto ai contributi: attraverso il sito chiunque può candidarsi come redattore per la selezione di testi degni di nota. Ma tutti possono inviare anche un breve scritto di 500 caratteri da eternare. Si può acquistare un’intera tavoletta e personalizzarla con testo o immagini a piacere: il denaro finanzierà l’intero progetto, una copia della tavoletta sarà spedita al sostenitore e un’altra conservata nell’archivio. Dove, insieme alle altre, si sottrarrà ai danni del tempo e al rischio, bizzarro ma possibile, della cancellazione per motivi ecologici. «Oggi internet produce il 3 per cento delle emissioni globali di CO2. Se il tasso di crescita del digitale rimarrà quello attuale, il volume dei dati tra dieci anni sarà 50 volte quello di oggi. Un bel peso per il Pianeta. Così magari si penserà di alleviarlo grazie ad algoritmi capaci di eliminare le informazioni dopo un certo numero di anni. Con il rischio di avere una “umanità snapchat”, che vive in un eterno, immemore presente».
Giuliano Aluffi