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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

NELLA DISNEYLAND CINESE DELLA BOMBA ATOMICA


CHONGQING. Il biglietto per la Guerra Fredda costa 70 yuan, anzi qui sarebbe meglio dire renminbi, che è il suo nome ufficiale e significa appunto “moneta del popolo”: perché tutto, in questo posto, doveva parlare del popolo, per il popolo e in nome del popolo. Anche l’ultima lampadina, anche l’ultimo cavo che oggi spunta ormai senza vita dietro l’ennesima galleria, e si arriccia proprio davanti alla scritta sul muro dove continua a sventolare la lingua mai perduta dei tazebao: “Bisogna essere pronti alla guerra”.
Eccome no. Più pronti di così non si può, qui all’816 Underground Project, l’ex segretissima base nucleare concepita in tutta fretta quando la Cina ruppe con la Russia e Mosca ritirò il proprio sostegno atomico, e oggi trasformata in una incredibile attrazione. Venti chilometri di gallerie, 12 piani scavati nella roccia, 79.6 metri di profondità, la volta più grande alta 31.2 metri, 18 anfratti, un labirinto di 130 tra strade, cunicoli e tunnel. Una dimostrazione di forza e potenza militare tenuta nascosta per decenni quassù a Jinzi, sulle montagne sopra Chongqing, riva orientale del Wu Jiang, distretto di Fuling. Un segreto oggi evidentemente sorpassato, prima ancora che dalla storia, dalla tecnologia: perché non è che la Cina abbia smesso di costruire basi nucleari, anzi, Pechino è l’unico dei cinque aderenti al Trattato di non proliferazione che non ha specificato quanto si impegna a non proliferare davvero al di là del generico “shì”. Però oggi fa quasi tenerezza questo mostro dismesso che Zhou Enlai diede ordine di costruire per stupire il Cremlino e ora accoglie nelle sue vene i turisti iniettati sui pullmini stile parco dei divertimenti: perché che cos’è, questa, se non una Disneyland della bomba atomica?
Un parco pensato dal Dottor Stranamore. La gente si inerpica fin quassù, un’ora di treno da Chongqing, la vera metropoli della Cina, 30 milioni di abitanti, poi almeno un’altra mezz’ora di auto o di bus, su per i tornanti dove superi camion e trattori, e la sagoma dell’816 spunta lì sulla curva a sinistra, uno slargo per parcheggiare e un casermone con ai fianchi due murales stile Cina anni Sessanta, quelli che oggi Shepard Fairey, l’autore del più celebre poster di Barack Obama, copia e rivende a migliaia di dollari. Le famiglie fanno la fila scansando un paio di bastardini che abbaiano all’ingresso, le soldatesse in divisa organizzano i gruppi e tengono a bada i bambini scalpitanti, poi il gruppo-vacanze si perde nella bocca del mostro: ed è subito Guerra Fredda. La prima caverna sembra la location di un deejay un po’ folle, è lunga 104 metri e larga quanto un campo di calcio, sul muro i neon cambiano continuamente colore come in un capolavoro di Dan Flavin, mago delle luci, finché lì nell’angolo – sorpresa – spunta la riproduzione dell’A2923, la prima atomica che la Cina fece esplodere il 14 giugno 1965, con tanto di sabbia del deserto intorno e sfondo simil cartapesta. Sembra il set di Capricorn One, il film con Elliott Gould dove il finto sbarco su Marte era costruito appunto in uno studio cinematografico, solo che l’ordigno di qui esplose davvero, non era un film, ed ora è in bella vista come un trofeo nazionale. Mamme e nonni si fanno i selfie con bomba, ma bisogna muoversi in fretta, la guida spinge su per le gallerie: ecco la caverna del reattore, ecco finalmente la sala macchine e tutti i bottoncini del cervellone da schiacciare, sembrano anche questi fintissimi e invece è vintage vissutissimo, è vero anche quel telefono nero grande come un ferro da stiro ancora inchiodato al muro, chissà che allarme e sbattere di tacchi quando squillava. Due ore di cammino, salite e discese, a ogni piano una scritta rossa, “Un milione di cittadini, un milione di soldati”; “Ogni campo di contadino è un accampamento”; “Far brillare la rivoluzione, aumentare la capacità di produzione”. Alla fine dell’ennesima galleria, un paio di cannoncini avvolti nel telo militare: era o non era questa la base di 60mila soldati? Là dove c’era la piscina di raffreddamento, ora c’è una sala attrezzata a cinema: dovrebbero proiettare materiali didattici, ma visto che il gruppone è già passato i guardiani non si accorgono che dietro arranca ancora qualcuno e si sparano Arma Letale, a tutto volume, sul grande schermo incastonato nella roccia.
Dice Cao Xianli che è arrivata fin qui perché davvero «questo è l’orgoglio del nostro Paese». Lei è venuta da Guangzhou quando ha saputo che a inizio ottobre avrebbero aperto al pubblico il sito, adesso aspetta il bus 109 che la riporta giù a Fuling: «La cosa che mi ha colpito di più» racconta «è l’aria fresca che si respira nelle gallerie». Fresca certamente vista la profondità, pulita chi può dirlo davvero? I cinesi giurano che non c’è pericolo: il superbunker fu abbandonato nell’84, prima che nella fabbrica della morte si avviasse la produzione del fatidico plutonio-239. La Guerra Fredda era ormai scongelata, l’Orso russo stava perdendo gli artigli, di lì a cinque anni sarebbe caduto anche il Muro, e la Cina di Deng Xiaoping aveva avviato quell’“apertura” che l’avrebbe trasformata nella seconda potenza economica del mondo. Il segreto militare sulla base è caduto nel 2002 e da allora l’816 è diventato un work in progress dell’industria non più bellica ma turistica: solo un terzo del labirinto è aperto al pubblico, i lavori non si fermano, quante gallerie ancora da mettere in sicurezza e illuminare.
Il tunnel che porta all’uscita è il trionfo dell’“orgoglio” che commuove la signorina Cao: una specie di muro degli eroi. Il diploma elementare di Zhang Jagiang, classe 1971. Il Libretto Rosso custodito da Tian Hongbin. L’album fotografico e parallelo di Li Jiankang e Chen Huaiwen, dalla scuola al servizio militare, ricordate la sigla di Attenti a quei due? Le uniformi di Yu Yilin e Ha Shanglin, complete di berretto e calzini siglati. Sono i soldati dell’Esercito popolare di Liberazione che hanno fatto grande questo posto: dove tutto doveva parlare del popolo, per il popolo e in nome del popolo. O no? Xu Jawen guarda l’ingresso dove si intruppano le famigliuole: «Ho 60 anni e il mio numero di matricola era 8432, io lì dentro ci ho passato quattro anni della mia vita, e meno male che adesso è chiuso: troppa fatica, poco riposo, il cibo orribile». E allora perché è tornato nel ventre della Balena? «Sono in giro con amici, in gita giù a Chongqing, arrivo da Pechino, veniamo qui per le terme: però io li ho accompagnati soltanto, lì dentro non ci torno più».
Il biglietto per la Guerra Fredda costerà anche 70 yuan ma chi potrà mai ripagare, cinquant’anni e troppi bunker dopo, il sacrificio dei soldati del dottor Stranamore?