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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

QUEL MISTERIOSO COLLOQUIO DI AMMISSIONE A OXFORD


LONDRA. «Che cosa rende politico il messaggio di un romanzo o di un dramma teatrale?». Oppure: «In che cosa consiste esattamente dare la colpa di qualcosa a qualcuno?». Se le due domande in questione vi sembrano astruse, non preoccupatevi: lo sono. In effetti non esiste una risposta esatta ai due quesiti, o perlomeno non esiste una sola risposta. Gli interrogativi in questione fanno parte di mezza dozzina di quiz pubblicati nei giorni scorsi dall’università di Oxford per dare agli studenti che si candidano all’iscrizione un’idea di cosa aspettarsi nel famoso «colloquio di ammissione». E servono, piuttosto che a rivelare il grado di conoscenza dei candidati in un campo o nell’altro, a dimostrare come ragionano. Per permettere ai docenti di capire, in sostanza, se sono “materiale da Oxford”.
Dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna è il Paese al mondo con il maggior numero di università fra le migliori 200 del mondo, secondo le classifiche pubblicate annualmente dagli specialisti. Nell’ultima graduatoria, Oxford è balzata addirittura al primo posto, superando Harvard, Stanford e tutte le altre famose università americane. È un’eccellenza di lunga durata: l’anno precedente era in seconda posizione ed è sempre stata fra le top 5. Un primato che la distingue internazionalmente, insieme a quello di essere la seconda più antica d’Europa (la prima, per pochi anni, è italiana: Bologna). Ma un altro segno di distinzione è il “colloquio di ammissione”. In genere, per iscriversi, bastano il curriculum, i voti, al massimo un essay. Oxford, insieme alla sua gemella rivale Cambridge (non per nulla vengono chiamate Oxbridge, come una cosa sola) è l’unica a mettere un secondo ostacolo sulla strada di chi vuole studiare nei suoi college: il colloquio, appunto. Passata la prima selezione, i finalisti, diciamo così, vengono chiamati a un incontro con alcuni professori della facoltà prescelta. Un test entrato nella leggenda: sono stati scritti libri per raccontarlo. Per facilitare il compito – si fa per dire – ora l’università pubblica qualche esempio.
Ci sono anche le domande scientifiche. Come questa: «Immaginate una scala appoggiata a una parete. La parte di mezzo della scala è di un colore differente, visibile se la si guarda di lato. Che forma lascia la parte di mezzo, quando la scala cade a terra?». Sembrano i surreali indovinelli matematici che Cochi e Renato facevano in tivù tanti anni fa (in realtà in questo caso una risposta c’è ed ha a che fare con il teorema di Pitagora). «Vogliamo vedere la mente al lavoro» spiega Marcus du Sautoy, docente di scienze matematiche ad Oxford. Lui stesso non ha dimenticato la prima domanda che gli fece il professore di turno al suo colloquio d’ammissione, una ventina d’anni or sono: «Può cambiare la lampadina di questa stanza?». Credeva che ci fosse dietro una storiella del genere «quanti matematici sono necessari per cambiare una lampadina», ma il professore aveva davvero bisogno d’aiuto per cambiare quella del suo ufficio. Du Sautoy la cambiò, rispose bene alle altre domande e ottenne il posto.
Ogni anno, diecimila studenti sono invitati al colloquio a Oxford e tremila di loro sono ammessi all’università. «Crede in qualcosa di assoluto?» si sentì chiedere nel 1964 Edwina Currie, futura ministra conservatrice. «No, eccetto che allo zero assoluto» rispose. Fu ammessa anche lei.