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 2016  novembre 18 Venerdì calendario

IL PANETTONE SI INSEGNA ALL’UNIVERSIT


Le scoprì a Londra, nel 1990, mentre girava fra le bancarelle al mercatino di Portobello: “bread token”, ovvero “monete del pane”, un antico sistema di solidarietà e assistenza ai più poveri, a quelli che non potevano assicurarsi neppure il minimo di sussistenza. Monete nel senso di cerchietti metallici che permettevano di acquistare il pane garantendo al fornaio che il corrispettivo in denaro sarebbe stato coperto da una confraternita, una parrocchia, un qualunque ente benefico. Un’usanza che parte dagli antichi romani, fiorita poi nell’800 quando le “monete del pane” venivano coniate da enti di beneficenza, spesso con un forellino al centro per infilarci un filo e raccoglierle assieme.

Casa e bottega. Da quando le ha scoperte, Dario Loison ha cominciato a farne collezione. Tanto per non dimenticare cosa c’è all’origine del suo mestiere e della fortunata azienda che ha messo in piedi. Panettoni di lusso: Loison, oggi, è sinonimo di questo, con variazioni fantasiose ma sempre con ingredienti di assoluta qualità. La strada per arrivarci non è strada breve, però.

Ad esser pignoli, del resto, Dario rappresenta la terza generazione. Ma la rivoluzione che ha imposto entrando in ditta, gli assicura a buon diritto di parlare da vero fondatore. Il primo forno-pasticceria Loison, infatti, nasce nel 1938, a Motta di Costabissara, nei dintorni di Vicenza. Lo crea Tranquillo Loison, il nonno di Dario. Tranquillo era nato a Monticello Conte Otto, poi si era trasferito a Bastia di Rovolon ed era arrivato a Motta sei anni prima. Nel ’38 rileva un forno e comincia a fare pane e dolci: «Ovviamente i dolci erano quelli tradizionali, non c’erano paste, si facevano le focacce... si faceva il marzapane con gli avanzi del pane: si metteva il pane a bagno nel latte, poi i fichi con un po’ d’uvetta», ha raccontato il figlio Alessandro, nato nel 1932, che durante la guerra, undicenne, comincia a lavorare al forno, insieme alla madre, mentre il padre è sotto le armi. Sono tempi duri. Continua Alessandro: «La giornata iniziava al mattino alle tre, per fare il pane... Perché alla mattina la gente andava a lavorare e ci voleva già il pane», continua Alessandro. A quei tempi, in fondo, anche il pane era un prodotto di lusso: «Allora i contadini facevano un sacco di pane da venticinque chili, “ben cotto” si chiamava, perché ben cotto durava tanto... perché i contadini allora mangiavano tanta polenta, il pane lo mangiavano la domenica». Nel dopoguerra, i Loison ingaggiano un lungo contenzioso con gli uffici competenti per poter vendere anche altri generi alimentari oltre a “pasta, riso e cereali”. Ma il loro destino è nella pasticceria e tocca ad Alessandro passare definitivamente nella parte del produttore avvicinandosi al capoluogo e costruendo, a Costabissara, un capannone laboratorio nel 1969. «Un’impresa da tipico Veneto laborioso», ricorda oggi Dario, classe 1962: «Tutto casa e bottega. Abitavamo accanto al piccolo stabilimento. E per garantire i turni, allora, alcuni dipendenti dormivano in una specie di cuccette sopra ai forni». Vivendoci accanto, il ragazzo viene subito coinvolto nell’impresa. Presto, però, nascono problemi di convivenza col padre. Sulle decisioni lavorative non concordano quasi mai. Sia che si tratti dell’ampiezza del catalogo (troppo vasto, secondo il giovane), sia che si tratti dei costi affrontati: «Io avevo una formazione amministrativa: studiavo i conti, non tornava mai niente. L’azienda andava per abbrivio, non aveva più forze, né di motore, né di vento che spingessero», ricostruisce Dario.

Successo oltreconfine. Finisce che va a lavorare altrove, si occupa di attrezzature per il settore conciario (e l’esperienza gli tornerà utile quando rientra nel mondo della pasticceria, trasferendo dal mondo delle concerie la macchina che ruota le botticelle per insaporire bene le uvette): «E non è l’unica fra le soluzioni che abbiamo inventato da soli». Passano gli anni. Nel ’92, Dario torna a casa, nel senso della ditta Loison: «La situazione era ancora insoddisfacente: 70% di produzione tradizionale (plumcake, ciambelle, zuppe inglesi, millefoglie, torte nuziali, di tutto di più...), 30% di natalizia, zero export. Ormai, avevo due soldi da parte: dopo poco, mi sono comprato l’azienda di mio padre. In settembre di quell’anno ho cominciato a fatturare io: finalmente potevo decidere autonomamente».
Così, in meno di una decina d’anni, l’azienda viene rivoltata da capo a piedi. E arriva al break even: il 2000 è il primo anno con utili. Comunque, la logica dell’operazione è chiarissima fin dai primissimi passi: puntare assolutamente sulla qualità. E, intanto, la gamma dei prodotti viene ridotta: soltanto biscotteria e, soprattutto, lievitati da ricorrenza (cioè panettoni, pandori, veneziane, colombe e focacce pasquali). Ovviamente, Dario è orgoglioso del successo: «Fra tutti i dolci, il panettone è uno dei più complessi da realizzare bene». E lo dice anche in veneto: «Fasso tuto mi». Non è completamente vero: per dire, Sonia Pilla, sua moglie, cura il raffinato design delle confezioni. Di sicuro, parlano le cifre: da 1,5 miliardi di lire di fatturato nel 1992 (con 15 dipendenti), la Loison è passata, oggi, a 8 milioni di euro, con 28 dipendenti e il 50% del fatturato all’estero in 50 Paesi. Un fenomeno che è diventato un “case history” per i corsi universitari di economia, con già una quarantina di tesi dedicate alla ditta. Del resto, Dario medesimo tiene ogni anno un corso all’università di Verona, sotto il titolo “Come il piccolo può fare le cose in grande: artigianato e tradizione oggi”. Per quanto riguarda l’azienda (Dario tiene a precisare che non ci vive più accanto: «Sono venuto via, abito a Vicenza»), gli obiettivi sono sempre nuovi. Ora è sotto esame la possibilità di estendere il consumo di panettone all’intero anno: «Francia e Brasile lo fanno da sempre. L’Italia è il Paese più riluttante a mangiare il panettone lontano dal Natale». Guardando fuor dai confini, peraltro, ci sono anche produzioni su misura per i mercati esteri: ad esempio, per la Svizzera, con burro e cioccolato rigorosamente elvetici.
Il museo – anzi, “Museum Loison”, annesso alla ditta – conserva antichi macchinari, testi più o meno rari sulla storia della panificazione e della pasticceria: ogni anno lo visitano migliaia di persone ma funziona anche da centro di formazione per giovani apprendisti del settore. Si trova lì anche un quadernino del nonno Tranquillo, con le minuziose ricette del tempo che fu. Per esempio quella di un alquanto misterioso – almeno oggi... – “pane triestino” dove compaiono lievito di birra, burro, zucchero, vaniglia, zafferano e un pizzico di sale, oltre, naturalmente, a farina e acqua.