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 2016  novembre 17 Giovedì calendario

REPUBBLICA, L’INGEGNERE E QUELL’AIUTINO DI TATARELLA

Da oggi è in libreria “La Repubblica tradita”, di Giovanni Valentini, edito da Paper First. In 142 pagine, Valentini – uno dei fondatori del quotidiano di Eugenio Scalfari, ex direttore de “L’Espresso” e già vicedirettore di “Repubblica” – analizza le vicende della maxifusione tra il giornale ora diretto da Mario Calabresi, “La Stampa” e “Il Secolo XIX”. Raccontando “i conflitti d’interessi e i restroscena”, “l’ascesa e il declino” di “Repubblica” che “è diventato un gruppo di potere”. Pubblichiamo una parte del capitolo dedicato a Carlo De Benedetti e intitolato: “L’Ingegnere impuro”.

La vicenda più importante che documenta l’intreccio tra gli affari di De Benedetti e la sua attività editoriale è quella della licenza Omnitel, di cui sono stato personalmente testimone nel 1994. La sera della domenica in cui Carlo Azeglio Ciampi lasciò Palazzo Chigi subito dopo le elezioni, a urne chiuse, il governo assegnò all’Ingegnere questa cospicua “dote”, senza la quale l’Olivetti sarebbe rimasta una “scatola vuota”. E ciò, di conseguenza, avrebbe messo a repentaglio anche la sopravvivenza del Gruppo L’Espresso. Conoscendo il rigore e la correttezza del presidente Ciampi e dei suoi più fidati collaboratori, come Antonio Maccanico e Andrea Manzella, tutto lascia presumere che la decisione fu assunta sulla base di elementi obiettivi e di valutazioni concrete. Ma poco dopo s’insediò il primo governo Berlusconi e De Benedetti corse il grosso rischio di perdere tutto. Il fatto è che L’Espresso diretto da Claudio Rinaldi aveva pubblicato un’anticipazione tratta da un libro di Giovanni Ruggeri, Gli affari del Presidente, in cui si raccontava l’oscura storia di villa San Martino, ad Arcore: la magione era appartenuta alla marchesa Anna Maria Casati Stampa e poi diventò la residenza di Berlusconi. In forza dei suoi rapporti professionali con lui, il mediatore dell’operazione era stato l’avvocato Cesare Previti, ma la trattativa si concluse con il controverso scambio di titoli azionari di società non quotate in Borsa per un valore di gran lunga inferiore a quello di mercato.

Quandouscì il settimanale con questa ricostruzione, Previti – appena nominato ministro della Difesa – andò su tutte le furie. Sventolando minacciosamente una copia del giornale, irruppe a Palazzo Chigi in una riunione del Consiglio dei ministri, presieduta dal vicepresidente Giuseppe Tatarella che era anche ministro delle Poste e Telecomunicazioni. “Questi devono passare sul mio cadavere, ma la licenza Omnitel se la possono dimenticare!”, inveì Previti. In quel momento, lavoravo come inviato a Repubblica e conoscevo bene “Pinuccio”, barese come me. Sebbene fossimo sempre stati su posizioni politiche opposte, esisteva fra di noi un rapporto di stima reciproca e di amicizia personale. Scalfari mi aveva incaricato perciò di tenere un contatto con lui, per stabilire un canale di comunicazione con la maggioranza di governo. E così scrissi un’inchiesta a puntate sulla “Nuova Destra”, dedicandone una alla “destra sociale” di cui Tatarella era considerato il maggior esponente. Quell’inchiesta fu per me l’inizio di una tortura durata alcuni mesi. Avendo “scoperto” il mio rapporto con Tatarella, da quel momento De Benedetti cominciò a tempestarmi di telefonate un giorno sì e l’altro pure, per chiedermi di convincere il ministro ad assegnargli in via definitiva la licenza Omnitel. Non potevo aspettarmi nulla da un editore che, qualche anno prima, mi aveva rimosso senza preavviso dalla direzione dell’Espresso per insediare un suo fedelissimo come Rinaldi.

Ne informaicomunque Scalfari e, d’accordo con lui, più per amor di patria che per altro, andai a parlare con Pinuccio: eravamo tutti consapevoli che, senza quell’assegnazione, l’Olivetti avrebbe rischiato il fallimento e l’intero gruppo avrebbe potuto risentirne. La licenza Omnitel appariva in quel momento un salvagente per tenerlo a galla, una bombola d’ossigeno per l’Ingegnere e anche per noi. A quattr’occhi, Tatarella mi raccontò la “scenata” che gli aveva fatto Previti e mi annunciò che sarebbe stato molto difficile superare la sua opposizione. Replicai che il governo Berlusconi non poteva esordire consumando una vendetta “politica” nei confronti dell’Ingegnere, a meno che non vi fossero ragioni tecniche ed effettive per revocare la scelta di Ciampi. E Pinucciosi riservò di approfondire la questione nel merito, anche per verificare gli umori del bellicoso ministro.

Alla fine,dopo alcune settimane di laboriosi contatti preparatori, invitai a colazione De Benedetti e Tatarella per mettere l’uno di fronte all’altro, in modo che potessero chiarire direttamente la questione fra di loro. Nel corso di quella conversazione conviviale, il “ministro dell’armonia” si comportò da galantuomo qual era, riconobbe che l’assegnazione della licenza Omnitel all’Olivetti era legittima e rassicurò l’Ingegnere sull’esito della pratica. Non passò di mano in quella trattativa neppure un cellulare o una scheda telefonica. In compenso il giorno dopo arrivò un mazzo di fiori a mia moglie, la padrona di casa, con un biglietto da visita di De Benedetti e un “Grazie” scritto a mano: lo conserviamo ancora come una reliquia di San Nicola. Memore del proverbio “non fare del bene se non sei preparato all’ingratitudine”, sapevo perfettamente che quello era il massimo per un uomo umanamente arido e avaro come l’Ingegnere.

Moltianni dopo, nel novembre del 2014, rimasi colpito tuttavia da una sua intervista al Corriere della Sera in cui dichiarava per la prima volta che a suo tempo “Omnitel fu venduta a Mannesmann per 14.500 miliardi di lire”: per esteso, in cifre, l’astronomica somma si scrive 14.500.000.000.000, con l’aggiunta di nove zeri. Non resistetti perciò alla tentazione di scrivergli un’email per congratularmi retrospettivamente con lui. Ma, ricco di mezzi e povero di spirito com’è, lui non colse affatto l’ironia e mi rispose con un ringraziamento di circostanza (…).