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 2016  novembre 17 Giovedì calendario

IL GRAN PASTICCIO DELLE CINQUE REGIONI A STATUTO SPECIALE

Le Regioni a Statuto speciale rappresentano il maggior cortocircuito della riforma costituzionale. Intanto perché mentre le Regioni ordinarie vengono espropriate dei loro poteri, quelle a Statuto speciale non vengono minimamente toccate: così si allarga ancora di più la forbice tra i due regimi, in maniera incomprensibile. Ma c’è un altro guaio che riguarda le Regioni “privilegiate” e i loro Statuti: tutti e cinque (Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Sicilia e Sardegna) prevedono l’incompatibilità tra l’ufficio di consigliere regionale e quello di parlamentare. Peccato che il nuovo Senato, se dovesse passare il Sì, dovrebbe essere composto proprio da consiglieri regionali. Un incredibile paradosso: i consiglieri regionali dovrebbero sedere in Parlamento proprio in ragione del loro status ma per 5 Regioni su 20 questo non sarebbe possibile.

La questione è stata sollevata dal senatore leghista Roberto Calderoli che in Aula, il 3 novembre scorso, ha spiegato che “gli statuti delle Regioni speciali possono essere modificati solo con una legge costituzionale e solo dopo un’intesa con la Regione stessa”. Tutto vero, tanto che la “falla” è stata ammessa anche dalla senatrice Anna Finocchiaro, relatrice e sostenitrice della legge Renzi-Boschi: “Per le Regioni interessate occorrerà una modifica degli Statuti, che avverrà con legge costituzionale su intesa con le Regioni stesse”.

Secondo Felice Casson, senatore della minoranza Pd, “gli statuti delle Regioni speciali prevedono, tutti, che le modifiche siano approvate con le procedure previste per le leggi costituzionali. Però i progetti di modifica che nascano da provvedimenti governativi o parlamentari, devono svolgersi d’intesa con lo Stato centrale ed essere comunicati al Consiglio regionale che esprime il suo parere entro due mesi. Per la legge Renzi-Boschi questo non è stato ancora fatto. Ora, nei cinque Statuti speciali è espressamente prevista l’incompatibilità tra l’ufficio di parlamentare e quello di consigliere regionale e per il Trentino-Alto Adige anche in relazione alle due Province autonome. Significa che il consigliere di una di queste Regioni non potrà mai andare in Senato, perché l’incompatibilità verrebbe immediatamente rilevata. Se dovesse vincere il Sì, il Senato sarebbe incompleto, perché mancherebbe dei rappresentanti di questi Regioni”.

La tesi del senatore Casson è sostenuta anche da alcuni costituzionalisti. “La domanda è: può la Renzi-Boschi modificare gli statuti speciali?”, ha scritto il professor Massimo Villone sul manifesto venerdì scorso. “In apparenza sì, perché è legge costituzionale come gli statuti speciali, e dunque – essendo successiva – entrando in vigore con la vittoria del Sì li modificherebbe cancellando l’incompatibilità. Ma non è così. Perché pur essendo gli statuti speciali una legge costituzionale come la Renzi-Boschi, sono modificabili solo con un procedimento particolare, che aggiunge a quello previsto dall’articolo 138 della Costituzione il parere obbligatorio del consiglio regionale ed esclude il referendum nazionale nel caso di approvazione delle modifiche”. In più esiste il principio di specialità, per cui la legge generale posteriore non deroga quella speciale. Dunque oltre alla legge elettorale nazionale per il Senato, andranno fatte anche cinque leggi costituzionali per l’adeguamento dei rispettivi statuti.

Domanda: “Ma chi la fa?”. Si risponde Casson: “Il Parlamento attuale, in almeno un anno. Nell’attesa il nuovo Senato non potrebbe entrare in funzione. La legislatura finisce nel 2018: il tempo tecnico c’è. Ma dobbiamo sperare che ci sia in Parlamento una maggioranza tale da assicurare il passaggio di leggi costituzionali, che prescrivono la maggioranza assoluta. Non dimentichiamo che oltre alla legge nazionale per le elezioni del Senato, andranno fatte anche quelle delle singole Regioni ordine perché è una legislazione concorrente”.

Di diversa opinione il professor Alessandro Pace, emerito alla Sapienza e presidente del Comitato per il No: “Una volta che la legge di revisione dovesse essere approvata dal referendum del 4 dicembre, le sue disposizioni entrerebbero a far parte della Costituzione. La quale secondo il principio della gerarchia delle fonti è sovra-ordinata a tutte le altre leggi. Si pone certo un problema politico. Mi chiedo: Debora Serracchiani, governatore del Friuli e vicepresidente del Pd tiferà per il governo o per il Friuli? È l’ennesimo pasticcio di questa pessima riforma”.