Rossana Linguini, Gente 15/11/2016, 15 novembre 2016
SIGNORE E SIGNORI, COMINCIA IL TRUMP SHOW
[Donald Trump]
PRIMA PUNTATA
Le bandierine blu dei democratici sventolavano ancora a migliaia al quartier generale del Javits Center di Manhattan quando pochi isolati più in là Donald Trump, smessi i panni del candidato arrogante, offensivo e razzista, indossava quelli di «presidente di ogni americano». Dal salone delle feste dell’Hilton Midtown, dove i suoi sostenitori lo stavano aspettando per il Victory party, il nuovo e inaspettato leader del mondo libero si scusa per il ritardo. Si congratula con Hillary Clinton, la grande sconfitta, tende la mano ai democratici, promette buoni rapporti con l’estero, giustizia verso tutti i popoli e le nazioni, crescita economica raddoppiata.
Intanto, sulle note della colonna sonora del film Air Force One, le Borse di mezzo mondo sprofondano mentre il 45° presidente degli Stati Uniti d’America ringrazia uno per uno i membri della sua numerosa famiglia. La moglie Melania, i figli Tiffany, Donald Jr., Eric, Barron. Soprattutto, il tycoon settantenne ringrazia la primogenita Ivanka, al suo fianco anche il 16 giugno del 2015, quando dalla Trump Tower annunciò di voler «make America great again», fare di nuovo grande l’America. E i bianchi della classe media e bassa, spaventati da immigrazione e terrorismo internazionale, arrabbiati e delusi da quell’establishment che nessuno avrebbe potuto rappresentare meglio della sua avversaria appena battuta, ci hanno creduto.
Ora il mondo si chiede con apprensione quanto il presidente Trump somiglierà al candidato Trump, sebbene la sua vita turbolenta e dissacrante sia nella professione sia nelle relazioni sentimentali possa fornire più di qualche indizio. Scavezzacollo e disubbidiente Donald Trump lo è stato fin da piccolo, ragione per cui suo padre Fred, figlio di immigrati tedeschi, scomparso nel 1999, e sua madre Mary Anne MacLeod, arrivata negli Stati Uniti dalla Scozia e morta nel 2000, decisero che un po’ di rigore non gli avrebbe potuto far male. Così quel discolo di Donald, quarto di cinque figli, Fred jr., Maryanne ed Elizabeth, e Robert, l’ultimo, dopo un percorso scolastico costellato di punizioni e richiami disciplinari, a 13 anni venne spedito dai genitori all’Accademia militare di New York.
Non servì a granché, tuttavia, se è vero che a vent’anni, studente della prestigiosa Fordham University, Donald fu costretto di nuovo a salutare professori e compagni per trasferirsi alla meno blasonata Wharton School of the University of Pennsylvania, dove concluse gli studi e si laureò in economia e finanza.
Era il 1968, adesso il giovane Trump, che già aveva cominciato a bazzicare la società immobiliare di famiglia, la cui attività era focalizzata sull’affitto di case a Brooklyn, Queens e Staten Island, poteva cominciare a fare sul serio. La società, gestita abilmente da papà Fred, si chiamava Elizabeth Trump & Son. Elizabeth, come la nonna paterna, fatto che non impedì a suo nipote, quando nel 1971 prese il controllo dell’azienda di famiglia, di cambiarne la denominazione con una più roboante: The Trump Organization. Già. Che l’understatement non fosse nel Dna del neo-presidente americano dovrebbe ormai essere abbastanza chiaro a tutti, e quel business immobiliare creato dal padre non gli bastava. Quel che Donald voleva era sfondare a Manhattan e, indovinate?, ci riuscì. Cominciò con la ristrutturazione di un albergo sulla 42esima strada per arrivare a gestire più di 14 mila appartamenti sparsi in ogni angolo di New York. Si diede al business dei casinò, primo tra tutti il sfarzoso Taj Mahal di Atlantic City, nel New Jersey, che nel 1991 lo porterà al fallimento: ma niente paura, nella sua impetuosa e quasi quarantennale carriera di costruttore attraverserà altri tre crac. Uscendone sempre indenne. Poi, è il 1979, comincia a costruire la Trump Tower, che sarà inaugurata quattro anni dopo: un grattacielo di 58 piani sulla Fifth Avenue che ospita uffici, negozi e appartamenti. Un edificio che ancora oggi che è stato “doppiato” dalla Trump World Tower, 72 lussuosissimi piani davanti al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, resta emblema dell’impero del magnate e ospita la sede operativa della Trump Organization, oltre che, fino a ora, l’attico al 66mo piano con vista su Central Park in cui vivono Donald, la moglie Melania e il figlio Barron.
Allora Trump finì nella bufera, accusato di aver utilizzato per i lavori di costruzione operai non in regola. Un’attitudine che, per l’ex sindaco e procuratore italo-americano Rudy Giuliani, è «capacità unica di riformare un sistema fiscale ingiusto che non funziona e premia solo i più ricchi». Donald negli affari è intraprendente e disinvolto, proprio come con le donne, oggetto del maggior numero di gaffe e dichiarazioni inaccettabili di questa campagna elettorale nasty, cattiva. Tutta colpa di mamma Mary, raccontò lui, «così incredibile e dannatamente intelligente che nessuna può essere come lei, come mia mamma». E sì che lui l’ha cercata quella giusta, narrano le cronache. Il New York Times ha stilato una lunga sequela di sue bugie e gaffes nei confronti del genere femminile, oltre che una vera e propria lista delle donne che assicurano di aver subito da lui attenzioni non richieste e tutt’altro che gradite. I suoi ex compagni d’università ancora lo ricordano come un lady’s man, un tombeur de femmes. Un donnaiolo, insomma.
Fino a quando non incontrò Ivana Maria Zelnikovà, modella ceca di Zlin, fredda città della Moravia, che sbarcò negli States per fare carriera e invece trovò Donald. Fu colpo di fulmine, si sposarono nel 1977 e divorziarono 15 anni e tre figli dopo: Donald jr., Ivanka ed Eric. Appariscente e trash, mondana e ambiziosa, chissà cosa darebbe per essere con Donald alla Casa Bianca. Invece le cose finirono piuttosto male, per colpa degli affari, disse lui. «Il mio più grosso errore è stato lasciare che gestisse uno dei miei casinò e il Plaza hotel. A casa, anziché parlare di questioni leggere, voleva parlare d’affari». Il divorzio arrivò nel 1992, lei lo accusò di stupro, ma poi ritrattò. «L’ho chiamato stupro, ma non vorrei che le mie parole fossero interpretate in senso letterale o criminale».
In ogni caso non le toccò ricominciare da zero, ma dai 20 milioni di dollari, dalla rendita annua da 350 mila dollari, dai gioielli e dagli immobili avuti dall’ex marito. Da allora Ivana, che ancora oggi è coinvolta in una battaglia legale con Donald per la possibilità di continuare a sfruttare il cognome Trump per i propri affari, si è risposata due volte, con l’imprenditore Riccardo Mazzucchelli e con il giovane ex naufrago dell’Isola dei famosi Rossano Rubicondi, entrambi italiani. Altri due matrimoni, proprio come Donald. Ma di questo vi racconteremo sul prossimo numero.
Rossana Linguini
(1 – continua)