Roselina Salemi, D, la Repubblica 12/11/2016, 12 novembre 2016
IN PUNTA DI PENNA
Sembrava proprio finita. La scrittura a mano? Una curiosità. La calligrafia? Poco importante. Anche i medici, da sempre accusati di scarabocchiare ricette incomprensibili, oggi stampano prescrizioni immacolate poggiando il dito sul touchscreen, e basta calunnie («scrivi come un dottore», cioè malissimo). Le lettere d’amore sono diventate like e superlike, volano via chat o e-mail, se compromettenti si autodistruggono su Snapchat. Finita, finita: siamo entrati in un mondo che non può vivere senza Nutella, ma senza scrittura sì.
Eppure non è del tutto vero. Ogni fenomeno produce i suoi bravi anticorpi. L’eccesso di connessione e messaggistica ha provocato richieste di digital detox, anche estreme. Il fascino della manualità, diventata esotica, sta portando alla riscoperta del segno da parte dei Millennial, e sulla domandona: “La scrittura a mano ha un futuro?” la Società Calligrafica Italiana ha costruito un convegno internazionale (Milano, Archivio di stato, 25-26 novembre) chiamando a raccolta le sue star. C’è Ewan Clayton, calligrafo inglese di fama planetaria, rimasto chiuso in un monastero per cinque anni («amanuense del XX secolo», si definisce) e catapultato nello Xerox Parc a Palo Alto, dove sono state inventate le finestre di Windows. Di suo possiamo leggere Il filo d’oro. Storia della scrittura (Bollati Boringhieri). C’è Brody Neuenschwander, text artist americano che ha collaborato al visionario film di Peter Greenaway L’Ultima Tempesta: al centro, i 24 volumi della biblioteca di Prospero, compendio dello scibile umano e fonte di poteri magici. E c’è Angela Webb, presidente della National Handwriting Association, che si batte perché la scrittura a mano non sparisca dalle scuole.
Non si tratta di egocentrici passatisti che difendono l’indifendibile, come i detrattori dei libri stampati da Gutemberg, convinti che l’allora nuova tecnologia avesse un che di demoniaco. Clayton è ottimista: «Le tecniche vanno e vengono. Ciò che oggi ci sembra all’avanguardia domani sarà superato. Le generazioni future non smetteranno mai di provare piacere nello scrivere. E negli scritti cercheranno sempre la bellezza».
Cacciata dalla porta principale, la scrittura rientra da ogni minuscola finestra. Si esprime in forme minimaliste, ma il messaggio è chiaro: c’è voglia di qualcosa di meno artificiale. Alle sfilate, le buste degli inviti e i posti assegnati sono spesso scritti a mano: per fashion show che esaltano l’unicità e l’artigianalità. Ricettario, Guest book, Notes to do list, Set inviti e Segnaposti di Fabriano Boutique piacciono anche alle padrone di casa più digitali. Il mestiere del “pittore di insegne” sta conoscendo un revival e ci sono severi corsi per imparare (signpainting).
A Genova l’ottantenne Alberto Berra, che realizza insegne rigorosamente a mano, si è visto offrire più lavoro di quanto si aspettasse. Così com’è sorpresa dall’imprevisto successo Silvia Tosi, designer milanese, autrice degli Short love message e degli ormai famosi quadri Voglio per te, diventati un must per lauree, compleanni e anniversari: le racconti le caratteristiche della persona (hobby, sogni, desideri, lavoro) e lei li trasferisce su tela con grafia rotonda, infantile, intercalata da minuscoli, coloratissimi disegni. E per quanto buffo e scarsamente calligrafico sia, il manuale-romanzo di Amalia Andrade, trent’anni, colombiana, strano diario con frasi a stampatello e schizzi ironici, è andato a ruba: Come sopravvivere al mal d’amore. Guida di automedicazione per cuori infranti (Fabbri) nasce da lacrime, penne e pennarelli.
Anna Biasetton, dal 2010 presidente dell’Associazione Calligrafica Italiana, che ha collaborato con stilisti (Martino Midali) e registi come Giuseppe Tornatore (suoi i titoli di La leggenda del pianista sull’Oceano) difende la scrittura a mano, a cominciare dalla lista della spesa. «Serve a ritagliarsi tempo interiore. E perché vogliamo l’autografo della star? È una prova di autenticità. È un legame. Nell’ultimo film di Woody Allen, Cafè Society, la protagonista offre come regalo d’anniversario al fidanzato, che ha già una moglie, una lettera d’amore di Rodolfo Valentino. E non dimentichiamo che chi prende appunti durante una lezione ricorda più e meglio di chi registra, filma o fotografa: mentre scrive, abbrevia, sintetizza, estrae i concetti principali. Certo, ti devi allenare, devi investire tempo, ma non si può andare sempre di corsa. L’atto di scrivere è complesso, ma aiuta a pensare».
Ne è convinta Joyce Carol Oates, meravigliosa autrice di Blonde: «Perché il fatto che io usi la penna vi sembra così strano?», chiede. «Fino a poco fa lo facevano tutti. Scrivere non è altro che la conseguenza del pensare, pianificare e sognare. Questo è il processo in cui si traduce la scrittura, mentre l’altro è solo un modo per registrarla». Anche le sceneggiature di Quentin Tarantino vengono fuori da pagine e pagine riempite con una grafia tortuosa ma ordinata: è un rituale, e non potrebbe farne a meno.
In maniera quasi poetica, Giovanni de Faccio (è italiano ma vive in Austria, dove insegna Calligrafia e type-design alla New Design University a St. Pölten) considera la scrittura «un ponte tra la mente e il cuore». Disegna caratteri digitali, il più noto dei quali è il Rialto df, ma al di là del suo livello di specializzazione consiglia di non perdere la manualità. I giovani – sono tutti d’accordo – scrivono malissimo. E scoprono con terrore l’importanza di una grafia ordinata e chiara solo di fronte a un esame di Stato (avvocato, notaio, magistrato). A Milano, il boom dei corsi per migliorare la grafia non sarà dovuto agli oltre 4mila aspiranti avvocati che si sono presentati per l’abilitazione lo scorso dicembre? Chissà quanti si sono vergognati dei loro scarabocchi…
Alla scuola e ai suoi contenuti tiene molto Anna Ronchi, docente e socia fondatrice di Aci. «La scrittura», spiega, «è un atto fisico, non solo intellettuale. È il frutto di un movimento, che coinvolge dita, braccio e spalla. Possiede una dimensione artigianale a cui hanno lavorato moltissimi uomini per favorire la trasmissione di conoscenza. Attraverso le lettere passano suoni e significati. Sviluppare le capacità manuali aiuta anche quelle cognitive. Ci sono ormai molti bambini con disgrafia: hanno difficoltà a scrivere ed esprimersi, problemi piscomotori. Perché succede? Si impara a scrivere in fretta, con quattro tipi di lettere contemporaneamente, maiuscolo e minuscolo, stampatello e corsivo. È troppo. La controprova? Quando migliora la scrittura, anche la semplice leggibilità, migliora la resa scolastica. Dopo le tastiere, il touchscreen è stato il colpo di grazia, eppure le neuroscienze dimostrano che l’apprendimento della scrittura favorisce l’organizzazione mentale».
Forse è per l’obbligo della calligrafia che i cinesi sono più portati al calcolo matematico. Il designer Xie Haiping (che ha sfilato a Milano all’interno dell’evento Fashion Shenzhen, all’ultima Settimana della Moda) ha mandato in passerella fanciulle vestite di pannelli impalpabili coperti da fascinosi ideogrammi: un modo per rivendicare la tradizione. E noi? «Stiamo marginalizzando il gesto dello scrivere, ma forse, proprio per questo, è nata una nuova curiosità», sostiene Ronchi. «Nell’ultimo anno, trecento persone hanno frequentato i 20 corsi dell’Aci. L’età media si è abbassata. Molti ventenni si sono avvicinati alla calligrafia. Vogliono riscoprirla. Oppure imparare a lasciare una bella firma». Utile, nel caso diventassero famosi.