Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 15 Martedì calendario

AGCOMICHE

Il titolo qui sopra l’ho già usato mezza dozzina di volte in 15 anni per uno degli enti più inutili, anzi dannosi, d’Italia. Molto più del Cnel. Mi riferisco all’Agcom, presunta autorità indipendente per le comunicazioni, che passa il tempo a censurare le notizie sgradite al premier di turno. Nel 2001 sanzionò la Rai perché Santoro, al Raggio verde, aveva osato parlare dei rapporti fra mafia e Dell’Utri dopo l’intervista del sottoscritto al Satyricon di Luttazzi, dunque – non si sa bene come né perché – aveva violato la par condicio. I due programmi erano andati in onda prima delle elezioni, ma il noto tribunale dei partiti attese di conoscerne il vincitore, cioè B., prima di fulminare Santoro. E così fornì alla Rai le munizioni giuridiche per chiudergli il programma, in ossequio all’editto bulgaro.

Nel 2007, con diversa formazione, la combriccola dei presunti garanti tornò a multare la Rai per Annozero, reo di leso contraddittorio per aver raccontato i casi De Magistris e Forleo. Tale è l’abitudine dei partiti di usare l’Agcom come bavaglio, che nel 2010 la Procura di Trani scoprì i traffici di B. con alcuni commissari, tra cui il fedelissimo Giancarlo Innocenzi, ex dirigente Fininvest e poi suo sottosegretario, perché l’insigne consesso fornisse alla Rai di Mauro Masi i pretesti legali (le solite multe per violata par condicio) per “chiudere tutto”: cioè Annozero e possibilmente pure Ballarò. Roba che perfino Masi sbottò: “Roba da Zimbabwe”. Ora la scena si ripete tale e quale: cambia solo il beneficiario all’incasso, Matteo Renzi. Come se non bastasse l’invasione degli UltraSì a reti unificate, l’altra sera era in programma un servizio delle Iene sull’ennesima balla del premier. Il quale si era solennemente impegnato in tv, proprio con loro, a rinnovare nel primo Consiglio dei ministri il “nomenclatore tariffario”, la lista dei supporti rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale per i disabili: cosa che poi, naturalmente, si è ben guardato dal fare. Le Iene, che avevano trasmesso la promessa, dovevano informare i cittadini che era una frottola. Ma l’Agcom, con agile mossa, le ha vivamente diffidate dal provarci, sempre in nome della par condicio.

Ora, la par condicio non è una categoria dello spirito da tirare in ballo quando fa comodo al padrone: è una norma di legge che deve garantire parità di accesso in tv a tutti i soggetti coinvolti in una competizione elettorale, nel nostro caso il referendum del 4 dicembre. Ma non c’entra nulla con le notizie. Da mesi tutto ciò che fanno Renzi e il suo governo è finalizzato ad attirare o comprare voti per il Sì.

Dunque ogni loro apparizione in tv dovrebbe rientrare nei tempi riservati al Sì ed essere bilanciata da una pari presenza del No. L’Agcom però usa un pallottoliere tutto suo, ignoto ai più, che scomputa dai tempi referendari tutta la propaganda renziana in cui non compare la parola Sì. Così nei programmi tv risulta un perfetto equilibrio fra Sì e No, quando non uno squilibrio per il No, anche se parlano quasi solo Matteo & C. Ora l’Agcom si supera e mette in conto al No il servizio delle Iene sulle balle socio-sanitarie del premier, che col referendum costituzionale c’entra come i cavoli a merenda. E Mediaset, che diversamente da B. fa campagna per il Sì grazie al renziano Confalonieri, anziché infischiarsene di quella palese violazione della libertà di informazione, si autocensura e ritira il servizio.
Se questi gaglioffi fossero attivi negli Usa, le tv americane non avrebbero potuto dire in tutta la campagna elettorale una sola parola sugli scandali di Hillary e Trump, i quali avrebbero parlato da soli di quanto sono bravi e belli.

E così domenica sera su Italia1 l’ennesima prova del ballismo del bullo non è andata in onda. Intanto il bullo ballista pontificava in prima serata su Rai3, chez Fazio, senza che l’Agcom trovasse nulla da obiettare sulla palese impar condicio. Il tutto in contemporanea con le Iene, che non potevano parlare di lui mentre lui parlava di sé. E naturalmente raccontava un’altra carrettata di balle. Giusto per dovere di cronaca, aggiungiamo che l’Agcom è presieduta dal professor Angelo Marcello Cardani, scelto nel lontano 2012 – un’altra èra glaciale – dal governo Monti nel pescoso laghetto della Bocconi. Lo affiancano, nell’intrepida difesa della libera informazione dalle notizie sgradite al potere, quattro commissari di provata fede partitica: Antonio Martusciello (ex manager di Publitalia, ex deputato di FI ed ex sottosegretario del governo B.), Antonio Preto (già capogabinetto del forzista Tajani e consulente-coautore di Brunetta: praticamente un luminare), Antonio Nicita (“vicino” a Orfini e Cuperlo, ma anche a Franceschini e Letta jr., ma senza offesa) e tal Francesco Posteraro (ex vicesegretario della Camera e soprattutto amico di Casini). Un pidino (in rappresentanza di un partito del 30%), due berlusconiani (per un partito del 10%) e un casiniano (per un partito estinto). E naturalmente nessuno assimilabile ai 5Stelle. Questo circoletto di simpatici dinosauri venuti dal Pleistocene e nominati con decreto del penultimo presidente della Repubblica (l’allora monarca Giorgio I di Borbone), in un’Italia che non esiste più, dovrebbe garantire il pluralismo e pure difenderci (le pazze risate) dai conflitti d’interessi.

Il presidente Mattarella ci scuserà se gli rivolgiamo un’altra, inutile supplica. Ma, siccome l’Agcomiche opera sotto la sua alta egida, faccia il favore: dia un colpo di telefono all’allegra brigata (possibilmente ore pasti, che poi lorsignori riposano) e la sciolga. Meglio una partita senz’arbitro che con l’arbitro Moreno. Così magari il pubblico capisce.