VARIE 15/11/2016, 15 novembre 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - I MILITARI IN VIA PADOVA REPUBBLICA.IT PIERO COLAPRICO MILANO. Ogni città ha le sue cicatrici, via Padova sanguina dal 1999, quando i "nove morti in nove giorni" portarono Milano alla ribalta mondiale della cronaca nera
APPUNTI PER GAZZETTA - I MILITARI IN VIA PADOVA REPUBBLICA.IT PIERO COLAPRICO MILANO. Ogni città ha le sue cicatrici, via Padova sanguina dal 1999, quando i "nove morti in nove giorni" portarono Milano alla ribalta mondiale della cronaca nera. Tra i morti ammazzati, c’era Ezio Bartocci, uno stimato gioielliere, in via Padova si tennero fiaccolate contro l’immigrazione africana e albanese, finché l’allora sostituto procuratore Ilda Boccassini fece arrestare la banda. Erano tutti bianchi, italiani, capeggiati da un giovane olandese. Ma da allora, ciclicamente, questa strada - cicatrice, lunga quattro chilometri, attraversata dai ponti ferroviari, che finisce in un gomitolo di cavalcavia, "sanguina ", immersa com’è nelle polemiche politiche sulla sicurezza. È successo anche ieri, quando il sindaco Giuseppe Sala, parlando dell’agguato in piazzale Loreto, costato una vittima, pare nell’infinita battaglia tra spacciatori, ha chiesto di utilizzare in via Padova una parte dei soldati "disoccupati" dopo il Giubileo. Sono invece più che condivise nel quartiere le parole di Piero Leodi, rappresentante di uno dei tanti comitati che animano la strada, quello degli "Amici di via Idro": "Una persona che non conosce la nostra via, e legge quello che tanti dicono, crede che sia un Bronx. Invece qui - spiega - la malattia è seria, non è però il cancro, se posso usare la brutta metafora. Sa come si chiama il male di via Padova? Si chiama abbandono, perché qui nessun politico ha fatto niente di serio e duraturo, compresi Gabriele Albertini e Letizia Moratti". Passa una volante, il cronista conosce da tempo il capopattuglia, che riassume brutalmente così: "Se in questa strada caga un piccione, fa audience". Sottovaluta la situazione? Non pare, anzi conosce i bar di copertura dei gangster calabresi, sa anche dell’ultima retata, in via Mosso, con tre spacciatori portati via. È che tutti i dettagli più neri di questa "via da telegiornale " sono arci-noti e inalterati da decenni. A cominciare da quello più datato e citato, le case di via Arquà, che con via Clitumno e via Chavez, rappresentano letteralmente una linea d’ombra: nessuno che abita in questa parte di città ci passa volentieri. Sono vie desertificate, sulle quali si affacciano condomini che hanno bollette inevase della luce ormai superiori ai 400mila euro. Perciò le scale sono buie anche con la luna piena e i pianerottoli restano misteriosi. Gli inquilini, quasi tutti maschi, vanno su e giù di notte con le torce, come minatori. Gli estranei non sono graditi, si ritrovano lungamente scrutati. In queste "ca’ de ringhera", case di ringhiera, abitavano immigrati meridionali poveri, adesso arrivano da altre guerre e altre carestie gli immigrati del mondo, ancora più poveri: quando un "padrone di casa" prende il posto dell’altro, preferisce disfarsi dei mobili, e chiunque, guardando quei truciolati sfondati e quelle stoffe bucate, può farsi un’idea della miseria di queste strade. Letti, coperte, cuscini vanno in affitto a 15, 20 euro a notte, per decine e decine di persone, di fantasmi senza nome. Non pochi disperati di notte sciamano verso quella che qui, scherzando sul macabro, viene chiamata "la movida di via Mosso". Ora, la "movida" cosiddetta è, a Milano, quella dei Navigli, dei cocktail, della "nightlife" (vita di notte, notte di vita), del glamour, dei locali di moda. In questo angolo di via Padova, due transessuali - sia detto senza sessismo, è un dato di cronaca - smerciano piatti di carne e zuppe, li portano con un carrello del supermercato, sovraccarico di pentole, con una bombola di gas da campeggio a far da fornello. Nei giardinetti i clienti non mancano, poco lontano c’è un "bene sottratto alle mafie": sarebbe il caso di farci arrivare qualcuno della Procura e delle associazioni antimafia. Almeno per vedere. I cancelli sono stati aperti, là dentro di notte "c’è chi dorme, chi si droga, chi si vende", il prato spelacchiato è una discarica. Da mesi e mesi. Sempre uguale. Come racconta sfiduciato Paolo Pinardi, del giornale "Ilponte", prima su carta, ora on line: "Ormai abbiamo tante feste multietniche e dei convegni su via Padova ho perso il conto, ma, e lo dico da sinistra, sono spot, un intervento serio per mettere a posto la zona, come è accaduto a Torino con Porta Palazzo, recupero privato sotto regia pubblica, comunale, non c’è mai stato. Sarebbe bastato, noi che abitiamo in zona lo sappiamo bene". "Nel programma di Pisapia - aggiunge una signora che non vuole essere nominata - era prevista la segnaletica in più lingue, per dire di non lasciare le bottiglie dove capita, di non abbandonare le masserizie. È stato sindaco cinque anni, chi ha visto quei cartelli?". Sì, viene da dire, servirebbe davvero un bell’esercito: l’esercito della salvezza, però, e non dei fucili. CORRIERE.IT La linea, in quest’immondezzaio di fango e siringhe, spacciatori armati e cadaveri che camminano, è stata tracciata: dopo i blitz della settimana scorsa di carabinieri e polizia, che hanno stretto d’assedio il bosco della droga di Rogoredo, in via Sant’Arialdo, subito fuori dalla stazione dei Freccia Rossa, martedì mattina è ripartito il pressing delle forze dell’ordine. Poco dopo le 8 nel «boschetto dello spaccio» hanno fatto irruzione oltre cento uomini: 91 carabinieri, 60 agenti di polizia locale e 20 operatori dell’Amsa. Obiettivo: bonificare l’area dell’ex «supermarket della droga» che esasperava i residenti. La zona è stata tenuta sotto controllo durante l’operazione da un elicottero dei carabinieri. Decine di carabinieri e agenti della polizia locale hanno circondato la zona e battuto a palmo a palmo ogni cespuglio. Poi sono arrivate le ruspe: i mezzi del Comune raderanno al suolo le baracche abusive e bonificheranno l’area verde da rifiuti e sterpaglie. L’operazione «L’intervento di oggi al boschetto di Rogoredo è una delle tappe del programma condiviso al Tavolo dell’ordine e della Sicurezza pubblica presso la Prefettura», commenta l’assessore alla Sicurezza Carmela Rozza.« Puntiamo ad eliminare una piazza dell’eroina che esiste da più di 20 anni: un impegno preso dal primo giorno in cui ci siamo insediati». «Senza l’impegno del Comando provinciale dei Carabinieri - aggiunge l’assessore - e di tutte le forze dell’ordine che in queste settimane hanno organizzato interventi operativi nel boschetto di Rogoredo, non saremmo potuti arrivare a questo punto. Quello di oggi è l’ennesimo intervento, e non l’ultimo, per restituire quell’area alla città. Sono state tolte le barriere di protezione utilizzate dagli spacciatori, abbattute le baracche ed è iniziato il lavoro di bonifica dell’area dalle siringhe, che dovrà continuare nelle prossime settimane». «Ringrazio gli uomini della polizia locale e quelli dell’Amsa - conclude l’assessore - che hanno lavorato incessantemente fin dalle prime ore del mattino insieme ai carabinieri». I residenti «È un’ottima notizia», afferma il Presidente del Municipio 4, Paolo Guido Bassi. «Risponde a una richiesta forte arrivata dal territorio, che negli ultimi mesi ha visto i cittadini scendere in piazza più volte con presidi e manifestazioni pacifiche di denuncia e tutte le istituzioni impegnate a loro fianco per affrontare il problema. Ringrazio le Forze dell’Ordine e il corpo di Polizia locale per l’impegno profuso e anche gli operatori dell’informazione, che hanno sempre contribuito a tenere accesi i riflettori su questa emergenza. Ora - fa notare - è importante perseverare, mantenendo alta l’attenzione sul quartiere, lavorando subito sui progetti di riqualificazione dell’area». DARIA COLOMBO «Due le priorità del Paese: rimettere in sicurezza il territorio e riqualificare le periferie». La città di Milano «è leader in tanti ambiti» come la moda, il design, lo stile di vita, «ma anche nei diritti e questo significa esserlo in democrazia, che è forte quando i diritti vengono rispettati». Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini nel corso del convegno a Villa Scheibler. La presidente della Camera lunedì è stata in visita a Quarto Oggiaro, nella periferia milanese, accolta dal sindaco Giuseppe Sala, dalla vicesindaco Anna Scavuzzo e dal presidente del Municipio 8, Simone Zambelli. «Bisogna stabilire un rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini - ha aggiunto Boldrini -. Le istituzioni devono essere sempre più presenti nelle situazioni di difficoltà, contro quei personaggi che spacciano soluzioni facili, accattivanti ma false. Per far pace con le persone dobbiamo ricominciare dalle periferie. Io presiedo Montecitorio ma voglio stare in mezzo alla gente, nei luoghi dove le persone vivono. E nelle realtà urbane la gente vive in periferia». E dopo l’agguato di sabato sera in piazzale Loreto, è la sicurezza uno dei temi principali in agenda. «Nessuno di noi ha mai negato — ha detto il sindaco Sala — che nelle periferie della città, compresa quella di via Padova, esiste un problema sicurezza. Obiettivamente servono più persone». Annunciando, poi, che «terminato il Giubileo mi auguro, ed è questo il fronte su cui proverò a lavorare che parte dei militari impiegati lì vengano qua. È una via che sto considerando». shadow carousel Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler Laura Boldrini a Villa Scheibler PrevNext I Centri Milano donna Insieme con il sindaco Beppe Sala, Boldrini ha presentato un progetto del Comune dedicato alle donne: i Centri Milano donna. Boldrini, che ha invitato Quarto Oggiaro alla Camera, ha detto che in Italia «sono troppo poche le donne che lavorano: solo il 47%, percentuale che scende al 30% al Sud. Bisogna rilanciare il lavoro delle donne, perché una donna che lavora ha anche più possibilità di tirarsi fuori da contesti di violenza». E si è congratulata con il progetto presentato dalla delegata del sindaco alle pari opportunità Daria Colombo: creare a Milano 9 Centri Milano donna, uno per ogni municipio. «Noi dobbiamo sottolineare il valore di avere in ogni municipio una casa delle donne, è un segnale fortissimo di sensibilizzazione e lo trovo significativo anche a livello politico. Spero che faccia da apripista per le altre città», ha detto Boldrini. Il congedo di paternità «è un’altra cosa fondamentale» per incentivare il lavoro femminile in Italia, «l’uomo non dovrebbe essere esonerato dalla paternità. Due giorni di congedo di paternità sono troppo pochi». Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini a Quarto Oggiaro, quartiere periferico di Milano dove è stata in visita oggi. Donne e lavoro La presidente della Camera ha lodato anche un progetto sulle donne presentato dal sindaco Giuseppe Sala e dalla delegata del Comune alle Pari opportunità Daria Colombo. L’obiettivo è creare nei nove Municipi di Milano dei centri dedicati alle donne. Il primo centro sarà attivo nei prossimi mesi nel Municipio 8, nel quartiere Gallaratese, in via degli Appennini, dopo la consegna delle case. «Mi congratulo per questa scelta politica di mettere le donne al centro che non vuol dire fare un favore alle donne, ma anche alla società - ha detto la presidente della Camera -.In Italia solo il 47 per cento delle donne lavora, percentuale che scende al 30 per cento al sud. Tutti gli studi dimostrano che quando le donne lavorano aumenta la demografia e produttività del Paese, quando una donna lavora riesce con più facilità a uscire da un contesto violento». Il congedo di paternità «è un’altra cosa fondamentale» per incentivare il lavoro femminile in Italia. «L’uomo non dovrebbe essere esonerato dalla paternità — ha aggiunto —. Due giorni di congedo di paternità sono troppo pochi. L’emendamento che porta i giorni a cinque è stato approvato in commissione lavoro e si sta lavorando per portarli a 15. Non so se ci saranno le coperture, ma è giusto farlo», ha concluso. Il Municipio 8 «Abbiamo deciso - ha spiegato Colombo - di partire dal Municipio 8, che è il più popoloso di tutta la Lombardia dopo Milano città, e con l’assessore abbiamo individuato nelle case di via degli Appennini il luogo più indicato». In questi centri «il primo obiettivo è quello dell’orientamento». Saranno «centri che supporteranno le donne indirizzandole verso il percorso da fare per risolvere un problema. Questo primo passo dovrebbe essere seguito da iniziative culturali costruite a partire dai bisogni di ogni singolo municipio attraverso la collaborazione delle associazioni che già operano sul territorio. I nostri futuri centri potranno fungere da osservatorio per una raccolta dati che consenta all’amministrazione di raccogliere informazioni di ogni municipio. Oggi - ha concluso Colombo - Milano è considerata leader nei diritti e ci auguriamo che questo possa essere anche per quanto riguarda il ruolo delle donne, che la nostra città possa costituire un modello virtuoso per tutto il resto del Paese». Nel quartiere Dopo l’incontro con le associazioni, la presidente della Camera ha visitato, prima di andare a pranzo da una famiglia del quartiere, piazzetta Capuana, che era la piazza di spaccio della zona: oggi con la sede di alcune associazioni è luogo di ritrovo dei cittadini. In programma anche una visita al Punto luce di Save the Children. L’appello delle donne straniere «I nostri figli sono nati e cresciuti qua e ancora devono fare il rinnovo del permesso di soggiorno, si sentono diversi anche se sono italiani e vanno a scuola qui». Questo l’appello rivolto alla presidente della Camera lanciato da un gruppo di donne straniere durante la visita della Boldrini a Quarto Oggiaro. «La legge sulla cittadinanza ancora non è stata votata in via definitiva — ha spiegato —, è stata votata alla Camera, ma manca il Senato». «Siamo in attesa di sapere quando il Senato la calendarizzerà — ha aggiunto la presidente della Camera —, mi auguro che avvenga presto perché dare cittadinanza vuole dire includere e sentirsi parte di una comunità. Questa legge è una cosa utile a tutto il Paese. Mi auguro che quanto prima si riesca a finalizzarla». PINOTTI NOI ABBIAMO DEI RISCONTRI ESTREMAMENTE POSITIVI DEGLI INTERVENTI DELL’ESERCITO NELL’OPERAZIONE STRADE SICURE. NASCE DAI GOVERNI PRECEDENTI CON QS GOVERNO NÈ STATA PARTIC POTENZIATA ADESSO ABBIAMO 7050 MILITARI SUL TERRITORIO COORDINAMENTO MIN INTERNO L’INDIVIDUAZIONE PARLATO CON SALA MASSIMO DI DISPONIBILITA’ 1800 IMPIEGATI PER IL GIUBILEO DA DISLOCARE COLONNELLO I «Defender» dei soldati vanno avanti e indietro con una certa regolarità anche adesso, che tutto è tornato tranquillo. Ma non hanno fatto in tempo ad arrivare sabato scorso, quando Antonio Rafael Ramirez, 37 anni, dominicano irregolare è stato colpito da diverse coltellate tra l’inguine e il torace e da un colpo di pistola alla schiena in piazzale Loreto. Era l’ora dell’aperitivo e nella città dei grattacieli è scattato un campanello d’allarme che si è sentito lungo tutti i quattro chilometri di via Padova. La direttrice che collega la strada dello shopping a più alta densità commerciale d’Europa (corso Buenos Aires) con gli ultimi quartieri dormitorio di via Adriano, contesi agli accampamenti dei nomadi, sorti intorno alle propaggini del Naviglio Martesana ancora punteggiato di ville signorili di fine ’800. Laggiù in fondo, dove già s’intravedono le antenne Mediaset di Cologno Monzese. LEGGI ANCHE Sicurezza, Sala: “Servono i militari a Milano” Perché Ramirez, prima di cadere più morto che vivo, è scappato per una ventina di metri da un negozio di parrucchiere di via Padova dove era iniziata la rissa con i suoi due assassini, probabilmente connazionali, rompendo – forse – una tregua che durava da almeno il 2010, quando qualche centinaia di metri più indietro scoppiò una mezza rivolta dopo che alla fermata dell’autobus 54 era stato ucciso un ragazzo egiziano a coltellate. LEGGI ANCHE - “Più soldati per le periferie”. Sala chiede aiuto al governo Tregua talmente rispettata negli anni, da fare di quest’ultimo tratto di via Padova, insieme a un pezzo di viale Monza e viale Brianza un nuovo polo modaiolo, ribattezzato con l’acronimo di «NoLo», ovvero «Nord Loreto», quartiere immaginario popolato da agenzie di modelle (non a caso a poche centinaia di metri da qui, funzionava il quartier generale di Lele Mora), agenzie fotografiche e localini o localoni ricercati, dal ristorante cinese con il rapporto qualità prezzo migliore della città, alla palestra di pugilato Heracles, dove sul ring si alternano cazzotti e musica classica, campionati di scacchi e jazz e di fronte alla quale funziona a pieno ritmo una discoteca di salsa e merengue rigorosamente frequentata da latinos. I primi 500 metri di via Padova, dove sabato sera è avvenuto il fattaccio, in realtà sono stati da tempo conquistati dalla nuova Milano da bere che avanza, a macchia di leopardo, tra «apericene» e «sbatti» modaioli in quella che rimane pur sempre la strada dove è nata e vissuta una cantante di razza come Malika Ayane. I problemi cominciano nei tre chilometri rimanenti, dopo lo snodo fondamentale della via, il Trotter, antico sgambatoio per cavalli trasformato in parco con scuole per l’infanzia all’avanguardia, che separa la via Padova più «glamour» da quella più popolare e proletaria, punteggiata dai capannelli di bande di latinos e di maghrebini, dedite a piccole rapine o allo spaccio di droghe di ogni tipo. Qui, morfologia ed edilizia cambiano decisamente, sebbene non sia facile generalizzare in un quartiere storico di Milano, costruito sulle vestigia di antichi paesi (tra Gorla, Turro e Cimiano), dove tuttora resistono, all’avanzare dell’immigrazione di ogni tipo, anche tanti cittadini milanesi autoctoni, serviti da cinque supermercati che contendono la vendita di generi alimentari alle macellerie islamiche e i take away cinesi. In questo coacervo di contraddizioni, dove si affacciano barbieri mediorientali (di solito sul marciapiede destro della strada) e ristoranti sudamericani di pollo fritto (lato sinistro), negozi cinesi di riparazioni cellulari e perfino negozi italiani di abbigliamento e scarpe, locali in cui si suona jazz e, verso il fondo, dove si agitano spogliarelliste, si muovono incessanti pattuglie di polizia e jeep di soldati, che in verità non hanno mai abbandonato questa zona fin dai tempi in cui la Lega Nord, almeno una decina di anni fa, aprì una sezione (chiusa poi per assenza di militanti) proprio a metà della via, non distante dalla sede di ben due moschee, o meglio di centri culturali islamici, uno più moderato l’altro più radicale, ma comunque ben distanti dai fondamentalisti del centro islamico di via Quaranta, periferia Sud della città, dove davvero si assiste al tentativo di trapianto di un pezzo di islam a Milano. Via Padova è diversa: rimanda immagini di una città che non esiste più, fatta di gente seduta fuori dai bar e da cortili di ringhiera animati. Dove però non è il dialetto milanese a dominare ma l’ispanico e il maghrebino, con sporadiche puntate in mandarino. È il regno della criminalità diffusa, del fuggi fuggi alla vista delle divise. Ma anche di un quartiere più integrato di quel che si creda nel tessuto urbano di una città complessa come Milano. Niente a che vedere con zone ben più «calde», come Bonola (San Siro) e Lorenteggio dove si è spostato il racket delle case occupate e dove i soprusi non si contano; o alla nuova frontiera della droga, il parchetto di Rogoredo, attaccato alla fermata del metrò e alla stazione dei treni, dove si smercia droga 24 su 24, diventato il supermercato degli stupefacenti della Lombardia, con prezzi imbattibili. È qui che forse dovranno attestarsi i presidi dei militari invocati da Sala. GRIGNETTI SULLA LEGGE rancesco grignetti roma L’escalation di violenza che si registra a Milano non sorprende eccessivamente chi dalla Capitale osserva gli andamenti criminali. Assodato che nel giro di quattro anni il numero dei reati complessivi sta calando, e che gli omicidi, il reato in assoluto più grave e di maggiore portata simbolica, sono passati da 555 a 398 in quattro anni, resta il fatto che Milano è considerata la città al top per reati. Nel capoluogo lombardo, infatti, seconda solo a Rimini, i reati sono il doppio della media italiana con 7636 denunce per centomila abitanti (e la media nazionale è di 4430 per centomila abitanti). I numeri non ingannano. Se si considera l’indice dei 100mila abitanti, a Milano sono al secondo posto per delitti totali denunciati, terzi per borseggi, secondi per furti, secondi per rapine. Ai sociologi e criminologi il compito di interpretare. Probabilmente la ricchezza delle città del Nord attira maggiormente la criminalità predatoria. Fa impressione, però - e il Sole 24 ore ha fatto di recente un ottimo lavoro di analisi -, vedere che là dove c’è concentrazione di benessere, là si registrano anche i picchi nei furti in abitazione, borseggi, frodi informatiche, furti in esercizi commerciali. Il Sud è in testa solo per i furti di autovetture: una piaga che colpisce soprattutto la Puglia, sia nella provincia di Barletta-Andria-Trani, sia a Bari; e poi Catania, Foggia, Napoli. Contro i luoghi comuni che vogliono le città meridionali come maggiormente a rischio, gli ultimi dati consolidati (al 2015) vedono sì Napoli in testa per le rapine (195 per centomila abitanti, in calo del 9.9%), ma subito dopo Milano (123 per centomila abitanti) che supera così anche Catania (109) e Bari (105). Di contro, sono i piccoli centri a dare l’impressione ancora delle isole felici e a migliorare le medie nei confronti internazionali. A Belluno nel corso del 2015 si sono registrate appena 3 rapine per centomila abitanti; 7 a Sondrio, Isernia, Aosta; 9 a Potenza; 10 a Nuoro, Matera e Rieti. Se c’è qualche cosa che questo governo e questa maggioranza devono rimproverarsi, però, è che avevano annunciato con enfasi nella primavera scorsa un giro di vite contro ladri e rapinatori, inserendo un apposito ritocco alle pene nel ddl di riforma del processo penale, che però è ancora fermo al Senato. «La prossima sfida - diceva il ministro Alfano nel maggio scorso - è la sicurezza urbana. Faremo una legge e saremo durissimi contro ladri e rapinatori per aumentare anche la sicurezza percepita». Ecco, complici le divisioni su altri temi, quali i termini della prescrizione o le nuove misure sulla possibilità di pubblicare le intercettazioni, anche le norme che avrebbero dovuto frenare ladri e rapinatori sono rimaste nei cassetti del Parlamento. Era sempre il marzo scorso quando Alfano spiegava: «Vogliamo dotare di maggiori strumenti i sindaci, le forze dell’ordine e la magistratura». Annunciava, il ministro, che il Consiglio dei ministri avrebbe presto licenziato una legge sulla sicurezza urbana «per rendere le nostre città più sicure, anche rispetto al tema dei furti e delle rapine». Non s’è vista. Difficile dire quanto possa giocare la presenza degli immigrati in questa pressione della criminalità predatoria. A Milano è noto che bande di giovanissimi latino-americani hanno causato l’innalzarsi dei reati violenti. Come dimenticare il caso di quel capotreno a cui, nel giugno 2015, fu quasi amputato un braccio con un machete? La stessa lama fu sequestrata dalla Squadra Mobile alcuni mesi dopo e si scoprì che era stata utilizzata in altri ferimenti e in un omicidio. Quel machete era ormai conservato e passato di mano in mano come un feticcio dai latinos della banda «MS13».