Gianluca Gasparini, SportWeek 12/11/2016, 12 novembre 2016
HO IN TESTA DUE PILOTI– [Marc Marquez] Domani a Valencia si conclude il Mondiale 2016 della MotoGP
HO IN TESTA DUE PILOTI– [Marc Marquez] Domani a Valencia si conclude il Mondiale 2016 della MotoGP. Ha già un campione, un pilota di 23 anni al suo terzo titolo nella classe regina e quinto in totale. Un fuoriclasse, senza dubbio. Che quest’anno, per vincere, ha dovuto violentare la sua natura trasformandosi da arrembante sempre e comunque a ragioniere. C’è riuscito benissimo. Anche se lui, Marc Marquez, ne resta tuttora stupito. Non pensava che finisse così, vero? «Onestamente no, perché prima di iniziare il campionato stavamo soffrendo molto con la moto. Non mi sentivo nella posizione dolce (usa proprio questo termine; ndr) per vincere il Mondiale. Invece l’inizio in Qatar non è stato male, e lì facciamo sempre fatica, poi nelle gare seguenti gli altri hanno fatto qualche errore e mi son trovato davanti a gestire il vantaggio. Pensavo di dover correre l’intero anno in rimonta e invece si è ribaltato tutto». E di correre in modo riflessivo chiudendo spesso il gas l’aveva pensato? «Questo sì, è ciò che mi ero ripromesso di fare: provare a gestirmi un po’, per non ripetere lo stesso errore del 2015. Lì avevo spinto troppo all’inizio, lasciato per strada molti punti e in sostanza perso il campionato. Perché poi cercando di recuperare rischi di più, cadi e il divario aumenta ulteriormente». Come ha fatto a forzarsi tanto? Quanto ha lottato contro l’istinto? «In corsa non ti parli ma pensi tanto. Il mio spirito, il mio stile, è quello di spingere sempre al massimo ma nella mia testa adesso ci sono due Marc: uno dice di rischiare e attaccare, l’altro di stare più calmo. Quest’anno ha vinto il secondo però ci sono stati momenti, come a Silverstone, in cui il primo si è ribellato e gli è scappato di andare a tutta... L’importante è stare in piedi, arrivare e fare punti». Lei è così impetuoso anche nella vita? «Dipende. Se è per spendere soldi sono un po’ più riflessivo... (ride). Ma normalmente se decido che una cosa è da fare allora si fa, sono veloce. Poi se si rivela un errore o no si vedrà e faremo i conti, ma io sono fatto così». Cosa cerca nelle persone che le stanno vicino? «La qualità cui do più valore è la sincerità. Anche in squadra. Che poi si porta dietro il feeling grazie al quale la gente è libera di parlarti: se fai un errore possono venire da te a dirti che hai sbagliato. Se tieni le distanze non hanno il coraggio o la confidenza nel riferirti cosa non va. E perché funzioni si deve creare un misto tra lavoro e amicizia. I miei uomini devono potermi dire: “questo male male e questo male”. Io magari mi incazzo ma devo capirlo e accettarlo». Com’è cambiato negli ultimi 4 anni, da quando è arrivato in MotoGP? «Come pilota cerchi sempre di progredire nella tecnica, impari a gestire le gare in modo diverso, a migliorare nella messa a punto. Ecco, dove cresci di più è sulla ricerca dell’assetto giusto, lì fai grandi progressi con il tempo. Fuori pista credo che il periodo che va dai 19 ai 23 anni rappresenti l’età in cui impari tanto perché a 19 credi di essere grande e invece non lo sei, ora sento di esserlo un po’ di più». Cosa le piace di lei e cosa no? «Mi piace una caratteristica inconscia che fa parte di me: guardo sempre al lato positivo della situazione. La testa è fatta a suo modo e non puoi sempre controllarla, ma io non vado mai a dormire pensando a cosa è andato male o a cosa ho sbagliato. Imparo anche dagli errori e penso subito al futuro. Cosa cambierei? A volte ho il difetto di fidarmi molto presto delle persone che conosco e la vita mi ha insegnato a stare un po’ più attento. Due giorni e siamo già amici non è una gran mossa». Metta in ordine le seguenti attività: mangiare, dormire, fare sesso, giocare con i videogame, andare in moto. «Primo mangiare, se non mangio divento nervoso, e mi piace anche tanto. Dopo il sesso, prima di dormire. La moto? Ah, ma c’era anche andare in moto? Dai, rifacciamo: andare in moto, mangiare, sesso, dormire e per ultimo ci metto i videogame». Che errore non rifarebbe? «Sono tanti. Quando ho esordito nel Mondiale l’ho fatto con la Ktm, ho faticato due anni e quando ho cambiato ho iniziato a vincere. Non è stata una scelta giusta ma era quello che sentivo. Tra le regole della mia vita c’è che l’ultima decisione la prendo io. Così se va male non mi posso arrabbiare con nessuno». Un giorno bello e uno brutto nella sua vita. «Uno dei più belli, finora, è stata la domenica di Valencia nel 2014. Non perché ho vinto la gara con il Mondiale già conquistato ma perché quel giorno ha portato a casa il titolo anche mio fratello. Il più brutto fin qui è stata la morte di mia nonna quest’anno, il giorno del GP al Mugello, l’ho saputo dopo la corsa. È stata la prima grande perdita in famiglia». Quando ha capito di essere un campione? «Non l’ho pensato mai, appena credi di essere il più forte ti rilassi e non va bene. C’è sempre qualcuno che in un punto è più forte di te. Quando ho vinto il primo titolo in 125 non credevo di essere forte, quando ho vinto quello in Moto2 già mi vedevo un po’ più all’altezza, poi quando sono arrivato in MotoGP e ho visto che potevo lottare alla pari con Lorenzo, Valentino e Pedrosa mi sono detto “dai, allora ci puoi stare”. Ma non ho mai pensato di essere meglio degli altri». Se fosse il responsabile della Honda cosa raccomanderebbe a Marquez? «Eh, difficile... Quello che mi dice sempre Nakamoto (responsabile team; ndr) è “See you on the podium”, ci vediamo sul podio. Significa che non devi vincere per forza, conta fare punti pesanti. E quest’anno me lo ha ricordato spesso: “Visto che quando ti dicevo di andare più tranquillo e pensare al campionato avevo ragione?”». Se invece fosse un team principal in MotoGP, che due piloti vorrebbe? «Uno è chiaro: Valentino. È forte, ha esperienza, mette la moto a punto benissimo. L’altro... L’altro Marquez: giovane, veloce, anche lui può puntare al Mondiale e ha molti anni davanti. Sulla carta è un team perfetto». Quali campioni del passato vorrebbe riportare in pista a lottare con voi? «Il più vicino è Stoner, non ho mai corso contro di lui ma mi piaceva come guidava. Poi Doohan, un altro che mi ha impressionato. E infine il mio manager Emilio (Alzamora, ex pilota con un titolo in 125 all’attivo; ndr): mi dice sempre che era più forte di me in staccata e così, se viene in pista con noi, lo vediamo...». Cosa le ha insegnato ciò che è successo a fine 2015? «Il modo in cui è finito tutto mi ha fatto dare ancora più importanza al mio gruppo: amici, famiglia, squadra. Ho toccato con mano che per la gente quando vai forte sei il più bello e il più bravo mentre quando fatichi si dimenticano subito di ciò che hai fatto e sono pronti ad attaccarti. Ho imparato a dar valore a chi mi circonda e a godermi ciò che ottengo».