Guido Santevecchi, IoDonna 12/11/2016, 12 novembre 2016
IN CINA SI SCATENA LA GUERRA DELLE LANCETTE
Ci dicono che i migliori esempi di case tradizionali uigure si trovano qui a Kashgar. La città è situata là dove il deserto di Taklamakan incontra le montagne di Tianshan. Per più di mille anni è stata un’oasi vitale lungo l’antica Via della Seta, Marco Polo la visitò nel XII secolo...». Han Bin, inviato speciale della Cctv, la televisione statale di Pechino, parla e si muove come un esploratore mentre guida la telecamera di un documentario sullo Xinjiang, la provincia cinese il cui nome significa Nuovo Territorio. Lo Xinjiang è la regione più occidentale della Repubblica popolare e Kashgar con i suoi 400 mila abitanti è la sua città più a Ovest, più vicina a Teheran (2.200 chilometri) che a Pechino (4.360): ci vogliono sette ore di aereo per arrivarci dalla capitale cinese, facendo prima scalo a Urumqi.
La scansione del tempo. Questa è una delle prime stranezze della vita a Kashgar: adesso, in autunno, il sole sorge alle 9.30, nel cuore dell’inverno l’alba arriva alle 10.15, in estate il tramonto è alle 22.30. È l’effetto della mancanza di fusi orari all’interno dell’Impero cinese, una decisione presa da Mao Zedong nel 1949 quando c’era bisogno di riaffermare l’autorità del governo centrale: per il bene dell’unità nazionale tutti i cittadini si sono “sintonizzati” sull’ora di Pechino. Oggi a Kashgar possono succedere cose curiose a uno straniero non addentro alle questioni locali: si fissa un appuntamento alle quattro del pomeriggio con un funzionario dell’amministrazione pubblica, di solito un cinese di etnia han (il 90 per cento della popolazione della Repubblica). Tutto a posto, sono puntuali da queste parti. Il giorno dopo altro incontro, anche questo alle quattro, con un residente uiguro (minoranza musulmana, ma maggioranza nello Xinjiang). E se avete fatto i conti con l’orologio regolato a Pechino li avrete sbagliati.
Perché la gente del posto, per necessità e per punto d’onore, ha spostato il proprio modo di vivere due ore indietro. Nell’elenco dei motivi di tensione tra han e uiguri quello dell’ora nazionale e di quella alternativa locale può far sorridere, a noi ricorda la rivalità tra don Camillo e Peppone, convinto che “l’ora di Mosca” fosse quella giusta. Ma nello Xinjiang e a Kashgar c’è poco da scherzare. Scorre il sangue e si è creato un movimento terrorista sempre più affascinato dai qaedisti di Al Nusra e dai combattenti dello Stato Islamico. Kashgar è anche più vicina a Damasco che a Pechino.
Lo Xinjiang è il Far West della Cina, lo spaccato della storia di un impero con molti popoli, una visione di progresso economico pianificata dal centro, un processo di integrazione che ha creato anche rancori e violenza. Un Far West con poche industrie dove più di un milione di abitanti delle campagne su un totale di una ventina sono ancora catalogati sotto la soglia di povertà. Una provincia alla quale Pechino ha dato lo stato di Zona speciale economica nel 2010 per convogliare investimenti e progetti di infrastrutture. L’idea è di rimettere Kashgar al centro della Nuova Via della Seta che il presidente Xi Jinping sta cercando di lanciare.
Un’idea sensata, ma che per Kashgar ha significato anche l’arrivo dei bulldozer che hanno spianato migliaia di case nel centro storico. Erano fatiscenti, estremamente vulnerabili ai terremoti e a rischio di incendi devastanti. Ma erano appunto la storia e il cuore della città. Oggi fa tristezza vedere pareti dipinte con colori pastello tra i resti sventrati di quello che era il soggiorno di una casupola. Certo, alla gente “ricollocata” è stato offerto un nuovo alloggio. E certo, il bazar è sempre pieno di fascino, come il mercato settimanale di pecore e cavalli; la tomba di Abakh Khoja, del XVII secolo, è uno degli edifici islamici meglio preservati dell’Asia centrale, bella la moschea Id Kah; imperdibile la zona di Gaotai, la meglio preservata con le sue stradine strette, le scalinate, le case tirate su con mattoni di terracotta e fango: sembra una casbah mediterranea.
Ma il restauro conservativo non è nella cultura cinese, come dimostra lo scandalo della cementificazione di vaste porzioni della Grande Muraglia. In tutto, si calcola che i due terzi delle vecchie costruzioni di Kashgar siano stati sostituiti da edifici nuovi, a volte copiati in modo improbabile sul modello di quelli antichi. Nei vicoli di Gaotai bande di ragazzini si rincorrono con pistole giocattolo. Fanno tenerezza, ma ricordano in qualche modo che in questo Far West si combatte una lotta senza quartiere. Cento morti nei disordini del capoluogo Urumqi del 2009. E poi uno stillicidio di attacchi terroristici condotti da uiguri che sono arrivati a colpire in piazza Tienanmen con un’auto carica di benzina nel 2013. E la carneficina della stazione di Kunming, dove nel 2014 un gruppo di assalitori ha ucciso a coltellate 29 persone e ne ha ferito 140. Il governo di Pechino accusa di tutto questo orrore il Movimento del Turkestan Islamico, gruppo uiguro dello Xinjiang.
L’inviato speciale Han Bin è un giornalista serio. È venuto a Kashgar per documentare la modernizzazione positiva del gioiello della civiltà uigura. Ma dà voce anche a un abitante di Gaotai, un allevatore di piccioni, che resiste nella sua casetta di fango e mattoni «perché andare in un quartiere moderno sarebbe come mettere un uccello in gabbia per sempre».