Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 13 Domenica calendario

“IN SUDAMERICA LE SCHEDE LE COMPRANO PER 50 DOLLARI”

Cinquanta dollari per ogni scheda elettorale. Passavano delle persone, strada per strada, e chiedevano di comprare le schede degli italiani all’estero”. Oscar De Bona, presidente dei bellunesi nel mondo ed ex assessore ai flussi migratori della Regione Veneto, racconta quello che gli hanno riferito tanti suoi associati: la compravendita di schede elettorali.

Riferisce De Bona: “Succede in Brasile, dove soltanto i veneti sono decine di migliaia e a volte rappresentano la maggioranza della popolazione di intere cittadine. Ma abbiamo avuto segnalazioni anche dall’Argentina. E perfino dalla Svizzera, pur se in Europa il fenomeno è meno rilevante perché c’è più controllo”.

In Veneto se ne parla da anni. Ogni volta che si vota arrivano segnalazioni da parenti e amici emigrati lontano. Denunciano procedure approssimative, pasticci, quando non veri e propri tentativi di brogli. Ma stavolta qualcuno ha presentato un ricorso. A firmarlo Pier Michele Cellini, italiano iscritto all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), e Antonio Guadagnini, consigliere regionale di SiamoVeneto (indipendentista).

L’atto di citazione tiene conto proprio dei racconti e delle denunce di tanti veneti nel mondo: “Abbiamo raccolto molte testimonianze di gente che ci ha riferito irregolarità. Ormai è chiaro: il sistema di voto degli italiani all’estero così com’è congegnato non va bene. È un colabrodo, non fornisce le minime garanzie contro brogli ed errori. L’articolo 48 della Costituzione dice che il voto deve essere personale, uguale, libero e segreto”, sostiene Guadagnini, “ma per i residenti all’estero nessuna di queste caratteristiche viene garantita”. Spiegazione: “Non è ‘personale’, in quanto non c’è alcun controllo durante l’esercizio del voto, e di conseguenza una persona può votare al posto di un’altra. Non è ‘uguale’ poiché votare all’interno di un seggio non è la stessa cosa che votare in un luogo scelto a piacere dopo aver ricevuto la scheda per posta. Non è ‘libero’, in quanto la garanzia della libertà di voto si concretizza nell’assicurazione di poter esercitare tale diritto senza subire pressioni o minacce, fisiche o psicologiche. Garanzia che il voto per corrispondenza non fornisce”. E infine, concludono gli autori del ricorso, “il voto degli italiani all’estero non è ‘segreto’, in quanto solo un seggio può garantire la segretezza del voto”.

Secondo il ricorso, la disciplina che regola il voto per posta deve essere dichiarata incostituzionale. Ma se proprio dovesse essere considerata conforme alla Carta, allora la possibilità di votare per corrispondenza dovrebbe essere estesa a tutti i cittadini, “come accade in Germania, dove ogni cittadino può scegliere il voto per corrispondenza”.

Come ricordano Guadagnini e Cellini il voto degli italiani fuori dai confini può essere decisivo, “soprattutto per questo referendum, visto che sarà ammesso anche il voto dei residenti temporanei all’estero, cioè quelli fuoriusciti da almeno tre mesi”. In numeri: gli italiani all’estero con diritto di voto all’ultimo referendum – quello sulle trivellazioni – erano 3.951.448, ma per la consultazione del prossimo 4 dicembre si è già toccata quota 4,1 milioni. La maggior parte in Europa (2,1 milioni) e Sud America (1,3). In pratica parliamo di circa l’8% dell’intero corpo elettorale (circa 51 milioni di aventi diritto al voto). Anche ponendo, come è avvenuto alle ultime consultazioni, che voti solo il 30 per cento di chi ha diritto tra i residenti all’estero, siamo sempre attorno al milione e trecentomila persone. “Ho presentato ricorso – spiega Cellini, veneto che vive in Slovacchia – non perché io sia per il “sì” oppure per il “no”. Ideologia e idee politiche non c’entrano. Già in occasione dell’ultimo referendum non mi hanno convinto per niente le modalità di voto per noi italiani all’estero. Insomma, devi mettere il tuo voto in una scheda e spedirla. Ma non sai chi la aprirà, chi controllerà, chi garantirà la tua manifestazione di volontà. Non sai niente. E falsificare, commettere brogli potrebbe essere facilissimo”, spiega Cellini.

Conclude De Bona: “Ci ricordiamo degli italiani all’estero soltanto quando c’è in gioco una posta molto alta come la riforma della Costituzione”. E Guadagnini aggiunge: “Dare voce agli italiani che sono dovuti andare via non significa soltanto dargli in mano una scheda e poi magari farne chissà che cosa. Dobbiamo rispettare davvero la loro volontà di cittadini”.