Marisa Poli, La Gazzetta dello Sport 12/11/2016, 12 novembre 2016
RAZZOLI: «RIPARTO DA ME STESSO» – Cento chilometri a nord della città di Babbo Natale e del Circolo Polare Artico, 294 giorni dopo il crac al ginocchio sinistro (si ruppe il crociato dopo qualche porta della gara di Kitzbuehel), Giuliano Razzoli riaccende i motori
RAZZOLI: «RIPARTO DA ME STESSO» – Cento chilometri a nord della città di Babbo Natale e del Circolo Polare Artico, 294 giorni dopo il crac al ginocchio sinistro (si ruppe il crociato dopo qualche porta della gara di Kitzbuehel), Giuliano Razzoli riaccende i motori. In marcia meno lanciata di quanto sperasse, perché quindici giorni fa in Val Senales un’inforcata in allenamento lo ha spaventato, procurandogli una dolorosa contusione ossea allo stesso ginocchio. «Il palo ha picchiato sullo sci, ho inforcato con il piede interno carico, poteva davvero finire male. E’ stato un bel test, vuol dire che il ginocchio sta bene — sorride —. Ma ne avrei volentieri fatto a meno». Come sta? «Mi sto rimettendo, stavo iniziando a andare forte in allenamento. Mi sono riposato, ora ho ancora un pochino di dolore ma sono migliorato molto». Sotto le luci artificiali di Levi non ha mai brillato... «Diciamo pure che ho fatto sempre un po’ male qui. Il motivo principale è che non sono mai stato in condizione a novembre e alla fine le piste si adattano al tuo stato di forma. Se stai bene, vai forte dappertutto, se no, fai fatica dappertutto, anche sui pendii che in teoria dovrebbero essere favorevoli. Ma l’ultima volta qui, due anni fa, non andò poi così male. Con il pettorale numero 28 finii dodicesimo». Ha cambiato qualcosa nella sciata dopo lo stop di gennaio? «Diciamo che ho avuto tutto il tempo per tornare con calma, per fare le cose per bene. Ho sciato in progressione, ho cominciato in campo libero, poi con gli esercizi e poi i pali semplici. Ho potuto curare di più la precisione, la compostezza, la bellezza della sciata, se posso dirlo. Spero di trasformare tutto questo in una buona prestazione, che il cronometro mi premi». Questa paura per l’infortunio le ha lasciato il tempo di scrivere. «Sì, è uscito il mio libro “Vai Razzo. Veloce e feroce”, che era il messaggio che mi mandò Alberto Tomba prima dello slalom olimpico di Vancouver 2010 nel quale conquistai la medaglia d’oro. L’ho visto tra le mani di qualche compagno di squadra, mi hanno detto che in tanti si riconoscono in quello che ho scritto». Gli slalomisti azzurri sono più che esperti. Il più giovane dei 4 che partono tra i primi trenta è Stefano Gross, che ha compiuto 30 anni a settembre. La media è di quasi 34 anni. C’è da preoccuparsi? «Lo slalom ha regalato belle soddisfazioni negli ultimi anni. E direi che noi siamo vecchietti duri a morire. Scherzi a parte, c’è un buco di dieci anni dopo me, Moelgg, Gross e Thaler. Di mezzo c’è solo Tonetti, poi Sala che è del ‘95. Quest’estate ho visto qualcosa di buono nei ragazzi della squadra B, ma ci vorrà tempo. Il livello dello slalom maschile è pazzesco, i primi 10 sono fortissimi, è davvero difficile emergere». Negli ultimi allenamenti come andava? «Mah, eravamo lì. Non c’è stato modo di fare confronti con i colleghi delle altre altre nazioni però, abbiamo solo visto Hirscher, che come al solito andava come un treno». Ha avuto modo di studiare qualcuno, di rubare qualcosa agli avversari? «Ho cercato soprattutto di migliorare me stesso. Ognuno ha la propria tecnica, se copi, ti snaturi. Parti già da secondo. Certo, qualche spunto si prende, e se devo guardare, chiaramente i modelli sono Hirscher, Kristoffersen, Neureuther. Ovvero i migliori in questa specialità. Saranno ancora loro quelli da battere». Che cosa pensa del caso Kristoffersen, il detentore della Coppa di slalom che non è stato convocato a Levi dalla sua federazione dopo i problemi nati a causa di uno sponsor personale? «E’ difficile valutare da fuori senza sapere come stanno veramente le cose, ma penso che il suo sia un segnale molto forte. E’ nelle condizioni di poterselo permettere e può essere l’unico modo per far valere le sue ragioni». Come va con il nuovo responsabile delle discipline tecniche Steve Locher? «Noi slalomisti l’abbiamo visto poco, perché è stato in Sudamerica con i gigantisti e il nostro tecnico di riferimento è stato più Stefano Costazza. Nelle poche volte che l’ho incrociato, Locher mi è sembrato già integrato». Da questo inizio in Lapponia cosa si accontenterebbe di raccogliere? «Vorrei tornare a casa con qualche punticino. Sarebbe già tanto visto che sono tornato soltanto in questi giorni a sciare tra i pali. E’ andata bene, ma non sono certo al massimo come prima dell’ultimo infortunio. Ci sarà da lottare».