Luca Mercalli, Il Fatto Quotidiano 11/11/2016, 11 novembre 2016
IL DUELLO INFINITO TRA SCIENZA E BALLE CLIMATICHE
Lunedì Paolo Mieli ha scritto un editoriale sul Corriere dove ancora una volta mette in dubbio la scienza del clima, riportando in particolare soliti luoghi comuni “narrativi”, triti e ritriti, ormai destituiti di ogni fondamento scientifico, come la “Groenlandia verde” di Erik il Rosso, la coltura della vite in Inghilterra “tra il 21 e il 50 d.C”, l’arresto dell’aumento della temperatura “alle soglie del nuovo millennio” e tante altre facezie di questo genere. Vedere il classico di Stefano Caserini (2008) A qualcuno piace caldo – Errori e leggende sul clima che cambia.
Ricevo dunque una telefonata dalla redazione di Radio Anch’io, Rai Radio1, per partecipare martedì a una puntata con il compito di “fare chiarezza” sul tema. Alle 9 collegamento in diretta. Dico la mia sullo stato dell’aumento termico globale (circa un grado Celsius nell’ultimo secolo), vengo corretto dal professor Franco Prodi (eh, eh, birichino, è un pochino meno, zero virgola otto!), ok, hai la febbre a 37,8 invece che a 38, ma stai di merda lo stesso. Cerco insieme al prof Carlo Carraro, che è componente dell’Ipcc – pure lui esausto – di spiegare la gigantesca posta in gioco nell’occuparsi di crisi ambientale, combatto contro un messaggio di un ascoltatore che sostiene che i ghiacciai alpini nel Medioevo non esistessero (ma non ho nemmeno il tempo di precisare che la prova schiacciante che non è vero ce la offre l’uomo dei ghiacci, Otzi, intatto dopo 5300 anni perché mai uscito dal ghiacciaio del Similaun prima del 1991) e poi il giornale radio chiude la prima parte.
Riprendiamo. Intervento degli ascoltatori: “Io son geologo, mi ricordo che quando studiavo nel 1978 sul libro c’era scritto che il clima non si può prevedere, troppi fattori, ma poi con sicurezza li elenca attribuendo solo a questi i cambiamenti ciclici delle glaciazioni e degli interglaciali: ‘Inclinazione dell’asse terrestre, precessione degli equinozi, variazioni energia solare…’”, e via liscio per minuti preziosi di trasmissione, dove sempre più a chi ascolta vengono confuse le idee.
Siamo completamente fuori strada! Vorrei interrompere queste considerazioni contrarie a ogni seria prassi di comunicazione scientifica, dire che i cicli climatici astronomici sono compresi e studiati, ce lo confermano i carotaggi antartici del 2005, non del 1978 (quando già si parlava di riscaldamento globale, si vede che il libro di testo su cui quel geologo ha studiato non era molto aggiornato…), vorrei dire che oggi il problema è che le 400 parti per milione di CO2 in atmosfera non hanno eguali di sicuro negli ultimi 800.000 anni e che la questione è la sovrapposizione dell’attività umana sull’andamento naturale del clima, un fatto sancito con la definizione di “Antropocene” un paio di mesi fa, non per niente proprio dagli stessi geologi riuniti in Sudafrica…
Ma niente, lui continua a spararle grosse (ma chi è?) e io – regolarmente invitato in trasmissione con appuntamento e impegno di un’ora del mio tempo in agenda – non posso far nulla per fermare quella piena torrentizia di detriti cognitivi che intorbida ogni possibilità da parte dell’ascoltatore di farsi un’idea aggiornata e autorevole della moderna ricerca sul clima. Accidenti, io faccio proprio il paleoclimatologo!
A questo punto, frustrato, avvilito, infuriato, deluso butto giù il telefono. Mi dichiaro sconfitto, come ricercatore e comunicatore. Mi sento come al dibattito sulla terra piatta: avete mai provato ad appoggiare la bolla d’aria sul tavolo? È perfettamente orizzontale, non pende da nessuna parte. Quindi la terra dev’essere per forza piatta! Dài, corriamo in radio e in tv ad annunciare la scoperta! E invitiamo anche il geologo a difendere l’ipotesi della terra tonda!
Ora sono stanco, la mia energia vitale è stata risucchiata, il mio senso d’impotenza mi induce alla rassegnazione, e poi mi fa male anche un pochino il braccio sinistro. Ah, già, ho letto proprio ieri di una ricerca che correla gli attacchi di rabbia al rischio d’infarto: ora so che entro domani ho il 10% in più di probabilità di schiattare. Ma ne vale la pena?