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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

UN MILIARDO DI ANNI PER LASCIARE LA TERRA


L’alfa e l’omega, l’inizio e la fine. Se ne occupano da millenni religione e filosofia. Ma adesso anche la scienza può dire la sua e rispondere alle domande fondamentali dell’umanità. Come è cominciato tutto? Quando finirà il nostro mondo? «Tra un miliardo di anni» risponde a quest’ultimo quesito Paolo De Bernardis, professore di Astrofisica e cosmologia osservativa all’Università La Sapienza di Roma. In principio fu il Big Bang, la grande esplosione che quasi 14 miliardi di anni fa diede vita allo spazio, al tempo e alla materia. De Bernardis l’ha studiato a lungo, realizzando con l’esperimento Boomerang e con il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea, la prima mappa dell’Universo primordiale. Registrando la radiazione cosmica di fondo, quel mare di microonde che rappresentano ciò che resta del Big Bang, gli astrofisici sono riusciti a “vedere” cosa c’era subito dopo l’inizio.
Ora provano a immaginare il futuro, tra pianeti che ribollono, stelle che si spengono e l’Universo che muore di freddo dopo aver arrestato la sua espansione. De Bernardis lo fa in Solo un miliardo di anni? (Il Mulino, pp. 147, euro 13), scritto in modo brillante e con un obiettivo nemmeno troppo nascosto: affrontare un tema pop come la fine del mondo per raccontare in modo rigoroso cosa gli astrofisici hanno capito del Cosmo.
Dunque, professor De Bernardis, ci rimane solo un miliardo di anni?
«Nel titolo ci ho messo un punto interrogativo, non è detto. Tuttavia, se ci si chiede per quanto tempo sulla Terra esisteranno condizioni compatibili con la vita, la fisica ci dà questa risposta».
Cosa accadrà al nostro pianeta?
«Sarà troppo caldo perché ci si possa restare. La causa va cercata nell’evoluzione del Sole. Dai modelli che abbiamo, sappiamo che tra un miliardo di anni la nostra stella avrà una luminosità del 10 per cento più alta rispetto a oggi. Quanto basta per rendere impossibile la presenza di acqua allo stato liquido sulla Terra. Gli oceani evaporeranno e l’aumento del vapore nell’atmosfera farà crescere l’effetto serra. Si prevede che questo processo porterà la temperatura a superare i mille gradi».
È un processo inevitabile?
«Purtroppo sì. Ci sono cause antropiche per la fine della vita sulla Terra che potremo evitare se corriamo ai ripari. Persino alcune cause astronomiche possono essere disinnescate: per esempio si può immaginare di deviare l’orbita di eventuali asteroidi in rotta di collisione con la Terra. L’evoluzione del Sole invece non si può modificare in alcun modo. Ma la buona notizia è che abbiamo abbastanza tempo per cercare una soluzione».
Per esempio?
«Lasciare la Terra e migrare su altri pianeti del Sistema solare, a cominciare da Marte, che è più lontano dal Sole e che potrebbe conservare più a lungo una temperatura adatta alla vita».
Si parla molto di colonizzazione del Pianeta rosso. Lo ha fatto anche il presidente americano uscente Barack Obama. Ma davvero portare su Marte migliaia di esseri umani in pochi decenni non è fantascienza?
«Non è impossibile, ma certo è straordinariamente difficile. È un’impresa senza paragoni per il genere umano e che impegnerà più generazioni. Dal
punto di vista tecnico si può fare: negli anni Sessanta c’era una tecnologia nemmeno paragonabile a quella odierna, eppure siamo andati sulla Luna. Dovremo imparare a schermare il vento solare e i raggi cosmici, particelle che possono essere letali per chi viaggia nello spazio, ma sono problemi risolvibili. Che poi colonizzare Marte sia possibile politicamente è un altro discorso. La politica si preoccupa più dell’immediato che dei progetti a lungo termine».
Ma anche Marte, al crescere della luminosità del Sole, prima o poi sarà del tutto inabitabile. E allora?
«C’è chi suggerisce di spingersi all’esterno del Sistema solare, verso le stelle più vicine a noi, ma questo è davvero molto speculativo. Se sapessimo viaggiare alla velocità della luce, per arrivare su Proxima Centauri impiegheremmo poco più di quattro anni. Ma, tanto per fare un esempio, la sonda Voyager che si sta allontanando dal Sistema solare ha una velocità di 17 chilometri al secondo: se fosse diretta su Proxima Centauri impiegherebbe 75 mila anni».
Eppure Stephen Hawking dice da tempo che il futuro dell’umanità è nello spazio e ha persino “sponsorizzato” un sistema di propulsione fatto di vele spinte da raggi laser. Anche qui, scienza o fantascienza?
«Quello che cita Stephen Hawking è un progetto serio: le vele spaziali sono state studiate a lungo e rappresentano una possibilità concreta per viaggiare nello spazio profondo».
Di recente sono stati scoperti pianeti che orbitano intorno a stelle a pochi anni luce da noi e che potrebbero avere le caratteristiche della Terra. Ma se ospitassero esseri intelligenti non dovremmo essercene accorti visto che un segnale impiega pochi anni per arrivare da loro a noi?
«Esistiamo come civiltà da qualche migliaio di anni e sappiamo gestire i segnali di onde elettromagnetiche da alcune decine. Se esiste una civiltà extraterrestre vicina dobbiamo chiederci: quando ha iniziato a inviarci segnali e per quanto tempo l’ha fatto? Certo, sarebbe davvero singolare trovare una società evolutasi in contemporanea con la nostra proprio intorno alla stella più vicina. Sono convinto che ci sia vita non a grande distanza, ma che sia intelligente e capace di comunicare è un altro discorso. Un insieme di condizioni rendono il tutto molto improbabile e danno forza alla domanda attribuita a Enrico Fermi: “Dove sono finiti tutti quanti?”. Forse ci sono, ma sono tutti troppo lontani».
Nel suo libro, oltre che della fine della Terra, si parla della fine dell’Universo. La fisica può provare a prevederla, ma dipende dalle “condizioni iniziali”. Per esempio la maggior parte delle teorie cosmologiche contempla che subito dopo il Big Bang si sia verificato un processo di inflazione, un’espansione rapidissima dello spazio-tempo. Eppure qualcuno comincia a metterla in dubbio. Sarà tutto da rifare?
«L’inflazione spiega bene cose che le teorie alternative non spiegano. Ma non per questo è necessariamente giusta: dovremo cercare le prove. Una possibilità è individuare le onde gravitazionali emesse al momento dell’inflazione, ma le attuali antenne come Ligo e Virgo non bastano. Così si potrebbe vedere l’effetto che l’inflazione ha provocato sulla radiazione cosmica di fondo, polarizzando le microonde. Noi stiamo lavorando proprio a questo: in un certo senso abbiamo messo gli occhiali Polaroid a telescopi montati su palloni che salgono fino alla stratosfera (tra 15 e 60 chilometri da Terra) o su satelliti nello spazio. A inizio ottobre abbiamo proposto all’Agenzia spaziale europea una nuova missione: un satellite che possa trovare le tracce del passaggio delle onde gravitazionali (e quindi dell’inflazione) nel fondo cosmico di microonde. Entro qualche mese sapremo se sarà accettata: si volerebbe nel 2029».
Se potesse scegliere che scoperta fare domani, cosa preferirebbe?
«Tutto quello che vediamo a ritroso nella storia dell’Universo si ferma davanti a una barriera: 380 mila anni dopo il Big Bang l’Universo divenne trasparente ai fotoni. Ma prima di quel momento era qualcosa di opaco, come una nebbia che diffonde la luce di una lampadina: vedi la luce ma è talmente distribuita che non riesci ad avere nessuna informazione utile su dov’è e com’è fatta la sorgente che la emette. Ecco, a me piacerebbe penetrare quella nebbia, andare a vedere cosa c’era nei primi 380 mila anni dopo il Big Bang».
Luca Fraioli