Andrea Marcenaro, Panorama 10/11/2016, 10 novembre 2016
LA TRATTATIVA? C’ERA, MA TRA PM E CIANCIMINO
Era difficile trovare qualcosa che risultasse più indigesto dell’olio di palma. Mai disperare, invece. Le 500 pagine di motivazioni depositate all’inizio di novembre, con cui il gup di Palermo, Marina Petruzzella, ha bocciato, irriso e fatto a pezzi l’impianto accusatorio che doveva inchiodare l’ex ministro democristiano Calogero Mannino (già assolto il 3 novembre 2015) al ruolo di regista della famosa trattativa Stato-mafia, ha provocato un’epidemia di gastriti. Numerose le vittime del morbo: l’ex pm Antonio Ingroia, ora avvocato, iniziatore principe dell’inchiesta; il pm Nino Di Matteo, erede nobile di Ingroia stesso; più i pm Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, quest’ultimo procuratore aggiunto. Letteralmente devastato dal morbo, l’ex pentitissimo Massimo Ciancimino, figlio del mafioso Vito, colonna della pubblica accusa e osannato per anni come «icona dell’antimafia» dal dottor Ingroia, poi dal dottor Di Matteo, laddove marchiato come «grossolano manipolatore», più altro di scarsamente commendevole, nelle motivazioni della sentenza.
Vittime di ulcera, numerosi giornaloni, dal Corriere della Sera a Repubblica. Entusiasti dell’inchiesta e suoi solerti propagandisti nei primi, lunghi anni, poi più prudenti dall’ottobre 2014, quando si spaventarono per il ridicolo coinvolgimento del Quirinale, finché frettolosi come leprotti nell’informare, ora, i lettori sui motivi con cui la giudice Petruzzella stava bollando di fatto l’intera faccenda come una boiata pazzesca, costata milioni, tempi biblici, latitanza di prove e sprechi da capelli bianchi. Del Fatto di Marco Travaglio, inutile parlare: messo a terra da un cazzotto devastante, vaga per il ring proclamandosi vincitore. Michele Santoro, uomo navigato, è invece sgattaiolato fuori portata di quelle telecamere delle quali gli piacque un tempo di abusare. Ma il migliore è rimasto Ingroia: «Ancora una volta la mia fiducia nella giustizia italiana viene colpita duramente. Denoto che questa sentenza non è frutto di un giudizio, ma di una somma di pregiudizi. Il caso più clamoroso è quello relativo alla grossolana manipolazione del papello Riina (eseguita, secondo le risultanze ufficiali, da Ciancimino junior, ndr)». Perle raccolte in un’intervista su Antimafia del 4 novembre scorso che nemmeno Totò, francamente. Dev’essere anche colpa dell’età, che inficia la memoria.
All’evidenza, l’ex pm non ricorda più molte cose. Il signor Franco, per dirne una. Era, il signor Franco, l’asso nella manica del suo pupillo, Ciancimino. Il pilastro dell’inchiesta. Mister Trattativa. L’uomo dei Servizi che tutto vedeva e che tutto agiva, nell’ombra, per conto dello Stato filomafioso. Solo che vallo a capire, chi fosse questo signor Franco (talora chiamato, buon peso, signor Carlo). «È lui!» garantì a Ingroia il superteste guardando una foto dove, Lui, era vicino a Gianni Letta e Bruno Vespa. Si trattava di un dirigente di una casa automobilistica che cadde dalle nuvole. «No, è lui!». Era un ex console israeliano che non sapeva nemmeno di che cosa si stesse parlando. Il signor Franco è stato poi, di volta in volta, un pensionato altoatesino, un barista dei Parioli, il segretario generale del Quirinale, finché: «Uno che non posso dire». Ecco, era questa l’ammiraglia dell’inchiesta del secolo che l’ultimo nocchiero, povero e ambizioso dottor Di Matteo, non poteva non portare sugli scogli.