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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

IL PRINCIPE NERO E IL MITO DELL’EROE


L’immaginario dei vinti che si ritrovarono nel Movimento sociale italiano ruotava intorno a una figura: L’Eroe. Dalla storia alla fantasy, la concezione eroica fu il perno del suo immaginario. Nelle sezioni del Msi, accanto al busto o alla foto del Duce, c’era quasi sempre il ritratto dell’eroe preferito o del caduto locale, a volte con un mazzo di fiori di plastica sotto la sua foto. Innumerevoli furono i prototipi d’eroe di cui si nutrì quel mondo, ora attinti dalla seconda guerra mondiale, ora dai tempi antichi. A partire da due eroi che si facevano chiamare come Che Guevara, il Comandante: Gabriele d’Annunzio e il Principe Borghese. Un altro eroe romantico veniva dalla storia di Spagna e si chiamava José Antonio Primo de Rivera, e le sue notti sotto le stelle a cercar la bella morte nel nome della rivoluzione falangista. O Robert Brasillach, i suoi grandi occhi da bambino, i suoi puri sogni di poeta, il suo carcere tra i muri freddi di Fresnes, fucilato per le sue idee? E Berto Ricci, scrittore e fondatore de l’Universale, italiano di carattere come scrisse il suo amico Montanelli, che andò a morire volontario sotto i cieli d’Africa in cerca della sua rivoluzione nazionale. E si potrebbe seguitare a cercare altri Guevara in altre culture esotiche: come Yukio Mishima, per esempio,
eroe della tradizione giapponese che si ribella contro la colonizzazione culturale e si uccide davanti alle telecamere. O Codreanu, il capo carismatico e popolare delle Guardie di Ferro, barbaramente ucciso nella sua Romania. O tornando in Italia Niccolò Giani, Guido Pallotta, Teseo Tesei, Borg Pisani, Durand de la Penne e altri ancora. E Carlo Borsani, il poeta cieco. A coronare questa passione missina per l’eroe vennero alla fiamma due figure simboliche importanti. Alle soglie degli anni cinquanta, dopo anni di prigionia a Procida, tornarono in libertà due grandi soldati che diventarono presidenti d’onore del Msi ai tempi in cui il partito era guidato da Augusto de Marsanich: il principe Junio Valerio Borghese, mitico comandante della X Mas e il Maresciallo Rodolfo Graziani, già governatore in Africa, ministro e capo di stato maggiore. Venivano entrambi dalla Rsi ma avevano storie diverse e non si amavano.
Il principe Borghese incarnava perfettamente il prototipo dell’eroe e l’indole dell’ambiente missino perché fu un esempio di fedeltà e ribellione, vinto e combattente invitto, di obbedienza militare e insubordinazione, ardito e superuomo. Borghese non aveva mai preso la tessera fascista durante il regime, era un monarchico e tale sarebbe rimasto «se Badoglio ci avesse fatto uscire dalla guerra in modo decoroso ed onorevole». «Se Umberto di Savoia o il duca d’Aosta si fossero messi a capo delle Forze Armate abbandonate a loro stesse, avrei obbedito». Ma questo non avvenne e Borghese aderì alla Rsi che a suo dire «sarebbe nata anche senza Mussolini». E magari senza il fascismo: per lui si trattava di salvare l’onore militare e la dignità nazionale. Poi divenne il Principe Nero, finì in galera, poi entrò nel Msi, di cui fu Presidente onorario, con cui ruppe il ’68. Presentò al pubblico di destra la bibbia dei vinti, Gli uomini e le rovine di Julius Evola, scrivendone la prefazione. Curiosa la sorte di Borghese. Prima che l’Italia antifascista lo accusasse del velleitario golpe, con la stessa accusa i fascisti di Salò e lo stesso Graziani lo avevano mandato in galera ai tempi della Repubblica sociale. Borghese era superbo, un po’ folle e impolitico, obbediva a un codice aristocratico e militare, da guerriero rinascimentale, discendente di una delle più gloriose famiglie romane e papaline. Fu nazionalista, semper super omnia Italia fu il motto della X Mas, all’insegna del Memento Audere Semper. La Decima nacque dannunziana e finì a Salò marinettiana: il fondatore del futurismo dedicò proprio alla X Mas la sua ultima poesia. La Decima conservò un forte spirito di corpo e una gelosa indipendenza dal partito fascista e dall’alleato tedesco, che pagò duramente. Verso i partigiani non dichiarò mai guerra se non nei casi in cui si trattava di vendicare un proprio uomo ucciso. La X Mas fu una specie di ordine cavalleresco, aveva relazioni con alcuni gruppi partigiani bianchi e con i militari della stessa decima Mas che erano col regno del Sud. Tentarono pure di stabilire un patto in funzione anti-titina con i partigiani dell’Osoppo, vittime dei partigiani comunisti a Porzus. Borghese fu uno dei miti viventi del fascismo postumo dedicato ai vinti. Di lui ne parlò per la prima volta in tv senza oltraggio, un suo ex-combattente che è poi divenuto l’unico italiano iscritto al partito comunista cubano, il regista e autore Piero Vivarelli. Al di là della curiosa bigamia di un fascista-castrista, Vivarelli amava congiuntamente il mito del Che e il mito di Borghese cogliendone il filo di continuità. Nel Msi, l’eroe puro e ribelle, restò un mito e un collante.
Nella notte dell’Immacolata del 1970, i militanti del Partito Comunista del mio paese, Bisceglie, restarono svegli e mobilitati nelle loro sezioni per quasi tutta la notte. Era giunto un allerta per il golpe di Borghese dalla direzione del Partito e gli attivisti vegliarono armati. Il lato grottesco della vicenda è che le presunte truppe dei golpisti agli ordini del Principe Nero, vale a dire militari, destre, giovani neofascisti, quel 7 dicembre dormivano tranquillamente nelle loro case. In quel tempo mezza Italia sotto sotto, auspicava un bel golpe per raddrizzare il Paese e impedire la minaccia rossa. Però accadde un piccolo paradosso. Quella notte, avvisati dalla direzione del Partito, i comunisti restarono in sezione a vigilare mentre gli ignari monarchici e missini, dopo lo scopone e la stoppa nelle sezioni, andarono a casa a mangiare calzoni e frittelle o andarono a vedere i falò che secondo tradizione si appiccavano per scaldare i panni a nostro Signore. Chi pensava alla (contro)rivoluzione e chi al presepe. Sconfitti entrambi dalla società dei consumi e dall’antipolitica. Borghese morì pochi anni dopo il presunto golpe, esule in Spagna e poi scagionato post mortem dalle accuse. Graziani morì invece poco tempo dopo la sua iscrizione al Msi, nel 1955. Due soldati controversi che alimentarono la mitologia eroica del Msi negli anni cinquanta.

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