Chiara Maffioletti, Sette 11/11/2016, 11 novembre 2016
20 DI QUESTI ZELIG
Il varietà più longevo della storia della televisione nasce dal desiderio di un gruppo di amici di trovare un locale in cui incontrarsi e passare insieme un po’ di ore divertenti. Racconta Michele Mozzati: «Gino e io lavoravamo in tv come autori, ma avevamo voglia di un posto che non fosse il solito bar, in cui stare con gli amici e condividere i nostri interessi. Ci siamo avvicinati a una cooperativa e con loro abbiamo trovato questo ex circolo di zona – per la precisione un circolo famigliare di unità proletaria – che voleva affittare parte dei suoi spazi». Quella manciata di metri quadri in fondo a viale Monza, a Milano, sono presto diventati la Mecca della comicità italiana. Sono passati trent’anni da allora, da quando Gino, Michele, Giancarlo Bozzo e gli altri loro amici hanno trasformato quel locale nato «senza nessun desiderio di business» nello Zelig che tutti conosciamo. Nota a margine: sono ancora in affitto dallo stesso circolo.
Lo Zelig però, proprio come il protagonista del film di Woody Allen, doveva essere nelle intenzioni un posto che cambiava veste ogni sera: lunedì jazz, martedì comici, mercoledì blues, giovedì film d’essai e via di questo passo. Non è stato così, ma in qualche modo quel palco ha saputo comunque unire mondi apparentemente distantissimi: il circolo di unità proletaria e Mediaset; il cabaret e la televisione; la periferia con le élite della città. Su quel palco hanno iniziato a esibirsi sconosciuti attori di talento, destinati a diventare nel giro di qualche anno dei grandi del nostro spettacolo, da Paolo Rossi ad Antonio Albanese, Claudio Bisio, Lella Costa, Gene Gnocchi, Angela Finocchiaro, Fabio De Luigi, Elio e le Storie Tese, Marco Paolini, Aldo Giovanni e Giacomo, Silvio Orlando. Proprio su di lui parte uno dei tanti aneddoti che hanno reso questi anni ancora più belli: «Era venuto da Napoli senza cappotto, così siamo andati assieme a comprare un montgomery in un posto dove facevano svendite. Costava poco perché era tipo di lana di vetro. Però faceva la sua figura, lui ne era molto orgoglioso. L’aveva indossato al primo Capodanno che abbiamo festeggiato allo Zelig. Al momento dei botti, un petardo fa la sua scia luminosa in aria ma poi non sentiamo lo scoppio... passa un attimo e vediamo fumo e fuoco uscire dalla tasca del montgomery di lana di vetro di Orlando, che inizia a urlare. Ci siamo buttati tutti su di lui», ricorda ridendo Michele. Ma perché quella magia arrivasse anche in tv, sono dovuti passare dieci anni. «Avevamo iniziato a proporre l’idea del cabaret in tv più o meno a tutti i grandi direttori di reti televisive» riprende Mozzati. «Guglielmi, Freccero, Gori... tutti. Ma non capivano. Magari venivano anche a vedere gli spettacoli e ne erano entusiasti. Poi però la proposta era quella di portare il cabaret dentro uno studio televisivo, abbellito, con pubblico finto... insomma, fare un finto cabaret. Noi volevamo l’opposto: portare le telecamere in quello vero». La risposta dei dirigenti era a quel punto la stessa: «Allora non è un programma tv, sono riprese televisive. Ma il nostro desiderio era invitare gli spettatori a casa nostra». La possibilità di farlo arriva – inattesa – nel 1996. Un piccolo produttore indipendente in credito con Mediaset era riuscito a far passare l’idea di due puntate di festa per i dieci anni del locale milanese. Visto oggi, il cast di Buon compleanno Zelig è qualcosa di incredibile: arrivano tutti i comici saliti sul palco in questi dieci anni. La sigla del programma? La canta Luciano Ligabue. Un successo. Quelle due puntate convincono i vertici Mediaset a farne un’intera stagione. Certo, in seconda serata e su Italia 1.
Si esibiscono Luciana Littizzetto, Enrico Bertolino, Mr Forest mentre come ospiti vengono chiamati Franca Valeri e Enzo Jannacci, tra gli altri. Claudio Bisio, da attore di teatro poco noto diventa un conduttore televisivo. Difficile stare dietro ai volti che salgono su quel minuscolo palco di sette metri per tre. Se un anno nascono (televisivamente) Aldo, Giovanni e Giacomo, quello dopo è la volta di Ale e Franz. Merito del reclutamento da parte degli autori. Tutti i provini sono fissati di mattina «per rendere le cose più complicate a chi di mestiere vive soprattutto la notte. Ma l’idea era che chi sarebbe riuscito a far ridere di mattino, di certo lo avrebbe fatto anche la sera». Tra le audizioni più formidabili ricordano quella di Maurizio Milani («tutti i comici lo considerano un maestro assoluto»). Sono anni di grande successo, di grandi scherzi («come quando a Giacomo Poretti, che faceva Tafazzi dandosi delle botte nelle parti basse con una bottiglia vuota, ne abbiamo fatta trovare in scena una piena») e di grandi amicizie.
Come quella con Checco Zalone. Eppure proprio lui – nato a Zelig nel 2006 – non tornerà per festeggiare quella che è stata definita «la chiusura di un ciclo» nelle quattro serate in onda su Canale 5, a dicembre. Un peccato. «Ma io sono quello che forse più di tutti lo capisce» interviene Mozzati. «Mi spiace, come a tutti. L’ho anche aiutato a preparare quello che era stato il suo primo spettacolo fuori da Zelig: ero andato fuori Bari per giorni. Ma mi rendo conto che quando entri in un business più grande di te subentra anche la paura per tutto quello che puoi compromettere. Qualsiasi cosa che, nella sua testa, possa renderlo più debole va evitata. Fare tv ora, immagino, gli metta ansia. Certo, sarebbe più giusto che quest’ansia se la risolvesse positivamente. Quindi non ha la mia giustificazione totale, ma nemmeno il mio rimprovero totale per non venire. Ricordiamoci che non è uno che ha avuto un po’ di successo al cinema...». Questo perché – tra quello che non è mai cambiato – c’è che con Zelig non si parla di logiche commerciali. Non solo. Zelig resta
soprattutto un ritrovo tra amici. La pensa così anche Michelle Hunziker: «A loro devo moltissimo. Mi hanno dato carta bianca quando avevo solo vent’anni, hanno subito capito che non mi bastava essere la ragazza che mostra il sedere. Volevo far sorridere, volevo cantare, ballare... Mi hanno lasciato fare tutto». «Noi conoscevamo Michelle in quanto moglie giovanissima e bellissima di Eros Ramazzotti con cui giocavamo a calcio. Nel 2000 abbiamo fatto un’edizione del programma in cui le conduttrici erano tutte showgirl che si alternavano di sera in sera e una volta abbiamo chiamato anche lei, così, al buio. Era di certo abbastanza acerba ma si è subito dimostrata molto sicura di sé». Ma ad essere decisivo è stato un episodio: «In occasione di quella puntata volevamo fare una ripresa in esterna. Protagonista era il personaggio James Tont (parodia di James Bond di Fabrizio Fontana) che sarebbe dovuto entrare in un metro di acqua della Martesana, indossando degli stivali. Ma non ci fu verso. Diceva: no, no, io ho paura, ci sono i topi, non entro assolutamente. Al che arriva Michelle e fa: ma che problema c’è? Entro io! E si è buttata con le sue scarpe da ginnastica di tela, senza fare una piega». Un anno dopo, complice l’intraprendenza di quel gesto, quando c’era da cercare una conduttrice da affiancare a Bisio, a tutti è venuta in mente lei. Una ragazza che sapeva fare «poco ma di tutto. E che aveva il carattere giusto per iniziare un percorso insieme». Quella ragazza non si è fatta pregare nemmeno ora che bisogna chiudere un ciclo. «Quando Gino me lo ha proposto gli ho detto: e me lo chiedi anche? Da una parte sono felicissima per le quattro sere di festa, dall’altra tristissima. Ma il nostro è un format che è stato troppo copiato...». «Zelig è il varietà più longevo della tv italiana» riprendono gli autori. «Nessuno ha retto per 20 anni. Puoi rinnovarti, ma la formula è quella: prendi i migliori comici, un’ottima conduzione, pubblico pagante in un luogo che sia un teatro, un locale o anche un tendone del circo, come è stato, ma comunque non uno studio televisivo. Abbiamo portato a teatro in questi anni più di 600 mila persone ma ora questo ciclo si è chiuso. Preferiamo alzarci da tavola con ancora un po’ di fame. Sulla storia di Zelig possiamo però costruirne un’altra, un nuovo capitolo. Insomma, anche se il pranzo è finito, stiamo già lavorando per la cena».