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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

CURARE CON L’IPNOSI


“L’ipnosi dà senso, forma e dimensione a quella che viene chiamata talking cure, ossia all’idea che si possa parlare per risolvere alcuni problemi. Per questo si può affermare, senza alcun dubbio, che è proprio dall’ipnosi che nasce la psicoterapia», racconta Flavio Giuseppe Di Leone, psichiatra e psicoterapeuta specialista in ipnosi clinica e membro del direttivo della European Society of Hypnosis (ESH).
L’ipnosi è semplicemente uno stato di trance, una condizione psicofisica in cui si raggiungono un equilibrio e una capacità di elaborazione peculiari. In particolare fu lo psichiatra statunitense Milton Erickson il primo a parlare di delta ipnotico, la differenza che esiste tra la percezione della realtà nello stato di vigilanza abituale e quella dello stato di trance, o incoscienza.
Erickson spiegò questa condizione attraverso un esperimento piuttosto originale in cui alterava l’ambiente della stanza dove si trovava il soggetto sotto ipnosi, per poi invitarlo a indicare la posizione di alcuni elementi. Lo psichiatra dimostrò così che le persone localizzavano gli oggetti in posizioni che non erano affatto quelle reali, bensì quelle della loro percezione soggettiva durante la trance ipnotica.
Ipnosi è anche la tecnica con cui si evoca lo stato di trance, e di tecniche ne esistono molteplici: dall’ascoltare il tamburo tribale danzando intorno a un fuoco fino all’ipnosi per stretta di mano usata dallo stesso Erickson. Ma una volta che è stato indotto come può tornare utile questo stato di trance? Anche qui il campo è sterminato, perché dipende dalla tecnica usata per evocarlo, dall’approccio dello psicoterapeuta e dalla predisposizione di ognuno di noi. Lo stato di trance è sempre lo stesso, ma il modo in cui vi si accede e come viene adoperato è a totale discrezione di chi lo prova e di chi lo evoca.

Ipnotizzare ed essere ipnotizzati
«Per poter essere indotta, l’ipnosi deve essere evocata, e può essere evocata in chiunque, ma ognuno di noi ha le sue condizioni e i suoi canali preferenziali. L’ipnotista deve essere in grado di scoprire il modo più naturale per farlo, per ogni paziente, senza imporlo», spiega Flavio Di Leone.
I canali considerati «naturali» per evocare l’ipnosi sono gli stessi che ci fanno rilassare. Per esempio il rumore dell’infrangersi del mare sugli scogli o una sonata per pianoforte di Brahms sono stimoli plausibili che sfruttano un canale preferenziale: quello uditivo. E una volta trovato il canale preferenziale è facile per lo psicoterapeuta indurre lo stato di trance ipnotica nel paziente.
Oggi esistono numerosi modi di fare ipnosi. Uno è quello dello psicoanalista John Watkins, che a partire degli anni settanta elaborò un processo ipno-analitico chiamato terapia degli stati dell’Io (Ego-State Therapy), attualmente poco noto in Italia ma diffuso in tutto il mondo. Un altro è quello di Milton Erickson, che negli anni quaranta rilanciò il concetto di ipnosi in psicoterapia e contribuì alla sua rinascita ispirato dai lavori di scienziati e filosofi dell’ex Unione Sovietica. Tra i più celebri troviamo Pavlov e Ferenc Volgyesi, l’ipnotizzatore dello zoo di Budapest, che divenne il pioniere di quell’ipnosi animale che inaugurò gli studi sul funzionamento del cervello sotto ipnosi.
Erickson usò le tecniche ipnotiche in maniera sfacciata nei suoi molteplici esperimenti e collaborò con diversi personaggi, anche controversi, tra cui lo scrittore britannico Aldous Huxley, il quale voleva esplorare le esperienze psichedeliche servendosi dell’ipnosi. Quello introdotto da Erickson è quindi solo uno dei tanti modi di fare ipnosi, ma di sicuro è tra i più usati e sperimentati in ambito psicoterapico.

Fenomeni ipnotici
Lo stato di trance è facilmente identificabile dal comportamento dell’attività cerebrale. Quello che si osserva con un elettroencefalogramma (EEG) è che le onde theta, quelle dell’attenzione focalizzata, aumentano radicalmente durante la trance ipnotica, mentre le onde alpha, quelle dell’attenzione diffusa, tendono a sparire. Le onde theta che si vengono a creare durante lo stato di trance ipnotica sono molto simili, per conformazione e distribuzione, a quelle di una meditazione profonda, e gli esperti parlano di «processi orientati verso l’introspezione», anche se i due fenomeni sono comunque di tipo differente. Ma non si tratta solo di questo. L’intera connettività cambia, in particolare nel mondo in cui il cervello tende a interpretare gli stimoli, nel modo in cui vengono elaborati e poi distribuiti. Questo è anche il motivo per cui non è facile definire la condizione di trance, e ancor meno la sua localizzazione a livello di aree cerebrali.
Un recente esperimento ha voluto indagare l’attivazione cerebrale durante l’allucinazione ipnotica: ad alcune persone, sottoposte a risonanza magnetica funzionale (fMRI), era stato chiesto di ascoltare un suono e poi, durante lo stato di trance, veniva suggerito loro che quel suono era ancora presente anche se intorno c’era silenzio. Di sorprendente fu osservato che nel cervello si attivavano le stesse aree uditive di quando veniva ascoltato il suono in stato di coscienza, confermando l’idea secondo cui il cervello sotto trance ipnotica risponde in maniera molto potente sul versante sensoriale, inducendo allucinazioni di vario tipo come appunto quelle uditive.
Ma prima che si potesse vedere come si comporta il cervello durante la trance, quindi prima delle moderne tecniche di brain imaging ed EEG, l’unico modo per definire lo stato ipnotico era quello di descriverlo in termini fenomenologici, ossia con gli stati di coscienza: per esempio, una persona sveglia rispetto a una che dorme presenta caratteristiche fenomenologiche precise e diverse da altre. In particolare, durante la trance si possono riconoscere molti fenomeni differenti, e tra i più comuni troviamo l’amnesia, le risposte ideomotorie come la levitazione della mano (ossia la capacità di immaginare azioni ed eseguirle in maniera inconsapevole), la regressione temporale e di età e il sogno guidato. Inoltre la qualità e la quantità di questi fenomeni sono strettamente legate alla profondità del livello ipnotico. Di fatto esiste quindi un rapporto tra ipnotizzabilità (ossia l’«abilità» di riuscire a entrare in uno stato di trance), profondità dell’ipnosi e numero di fenomeni che si verificano.
«L’ipnotizzabilità è importante, può essere migliorata con l’esercizio, ma non ha nulla a che vedere con la terapia di un paziente. Allo psicoterapeuta non deve importare quanto il paziente sia ipnotizzabile, ma quanto possa trarre dall’esperienza ipnotica in sé, e questo dà un senso all’uso dell’ipnosi come strumento», spiega Flavio Di Leone. «Quello di reputare l’ipnosi essenziale alla terapia o meno è un argomento dibattuto tra gli psicoterapeuti. Io per esempio considero l’ipnosi uno strumento e la adopero solo in momenti precisi del percorso dei miei pazienti perché non tutti possono rispondere in maniera adeguata allo stato di trance, e inoltre la relazione terapeutica deve essere pronta a gestire questa tecnica. A volte basta una sola seduta di ipnosi nel corso di una terapia per ottenere i risultati desiderati, altre volte l’intero percorso terapeutico si svolge sotto ipnosi, magari con chi ha un’ipnotizzabilità spontanea molto alta e pratica anche autoipnosi per conto proprio».

Oltre la suggestione
«La suggestionabilità è la stessa cosa che ci spinge a comprare un prodotto perché abbiamo visto la pubblicità, e alcune persone sono più suggestionabili di altre», racconta Di Leone. «Ma la suggestione non ha nulla a che fare con l’ipnosi. Anzi, in ambito psicoterapico è considerata un aspetto a sfavore del trattamento di un paziente perché legata al tentativo di gratificare l’altro. Di solito, infatti, ci si lascia suggestionare per entrare in sintonia con il proprio gruppo, o con il proprio interlocutore, e anche se è un tratto spontaneo, nei pazienti in terapia non deve emergere».
La suggestione è, ed è stata, lo strumento dell’ipnosi da spettacolo, in cui non si è veramente in uno stato di trance ma ci si lascia suggestionare dal fatto che qualcuno ci sta ipnotizzando, ed è proprio quello che gli ipnotizzatori da palcoscenico cercano.
In realtà l’ipnosi è tutt’altro. E uno strumento altamente efficace in ambito clinico e, in base a quanto riportano i risultati della letteratura scientifica, i disturbi psichiatrici di tipo psicosomatico e ansioso sono quelli che reagiscono meglio alla terapia ipnotica. Anche la depressione può essere trattata con buoni risultati. Mentre i disturbi psicotici, come la schizofrenia, e i disturbi gravi della personalità sono difficilmente trattabili con le tecniche ipnotiche, ma il successo dipende per lo più dall’esperienza dello psicoterapeuta e dalla responsività del paziente al trattamento ipnotico.
Non solo. L’ipnosi può anche essere di gruppo, per lavorare sui problemi familiari o per ricostruire la sintonia all’interno di una coppia. Inoltre uno dei lavori più famosi sulla neurobiologia del dolore, pubblicato qualche anno fa su «Nature», dimostra che con la suggestione ipnotica è possibile scindere la componente affettiva da quella sensoriale del dolore. «Questa capacità dell’ipnosi di influenzare da una parte il vissuto emotivo e dall’altra la percezione fisica, è la scoperta più sorprendente della neurobiologia degli stati di trance, e dà fondamento alle proprietà integrative delle applicazioni mediche e psicologiche dell’ipnosi», spiega Di Leone.
L’ipnosi poi è ancora tra i più validi strumenti per determinare e osservare l’attività del cervello. Con l’ipnosi, infatti, è possibile isolare le differenti attività cerebrali e osservarle funzionare in vivo con un’efficacia che non è confrontabile a nessun altro strumento. Eppure non si riesce ancora a dimostrare che questo tipo di attività sia radicalmente utile in termini clinici, e quindi ad applicare all’ambito psicoterapico gli eccellenti risultati ottenuti dalla ricerca. Un problema, questo, di cui soffre la psicoterapia in generale.

Limiti e rischi
L’ipnosi comporta anche dei rischi. Minimi, ma che vanno valutati dai terapeuti con indicatori psicopatologici molto precisi. Uno dei principali emerge quando il paziente crea una dissociazione con il suo vissuto affettivo, con i suoi ricordi emotivi. In questo caso, di solito, l’ipnosi è sconsigliata ma non è «vietata» in termini assoluti. Il potere integrativo dell’ipnosi può quindi portare all’abreazione, ovvero alla liberazione di una forte carica emotiva repressa, un rischio potenziale che è legato all’intensità del fenomeno ma che, tuttavia, può essere sfruttato come un potente strumento di cura. Un altro indicatore di rischio è la capacità del paziente di riconoscere l’esame di realtà, ed è molto simile a quello che si vede nel film di Christopher Nolan, Inception, con Leonardo di Caprio. Il sogno guidato a cui si sottopongono i protagonisti, infatti, non è fantascienza, perché si tratta di un fenomeno ipnotico molto efficace e potente usato in psicoterapia.
Il personaggio del «navigatore», interpretato nel film dall’attrice Jennifer Page, costruisce uno scenario immaginario nel sogno del protagonista di turno, ed è la stessa cosa che fa l’ipnotista con il palazzo della memoria: una tecnica ideoproiettiva molto antica, recuperata e adattata nella psicoterapia ipnotica da Di Leone, che ricostruisce spazi e luoghi nella mente del paziente.
In questo modo è possibile esplorare i processi mentali attraverso le componenti sensoriali che li caratterizzano: «Immaginiamo come mattoni le esperienze sensoriali che gli individui sperimentano quando sono stimolati dall’ambiente esterno. Questi mattoni vanno via via a costruire muri, a delimitare spazi nella nostra mente che assumono significati precisi in termini emotivi, come piacevole o spiacevole, e dove vanno ad accumularsi tutte le esperienze legate a quel significato. Una volta costituiti, questi significati sono stabili e costanti nel tempo e tendono ad accumulare esperienze. Per poterli modificare è necessario ritornare alla base, ai mattoni appunto, e l’ipnosi riesce a farlo in modo efficace e preciso», racconta Di Leone.
Ma se il paziente non ha un senso della realtà stabile, dovuto non per forza a un disturbo psichiatrico maggiore, ma anche a un semplice momento di crisi in cui è convinto che il mondo intorno a sé sia sull’orlo del collasso, non è consigliata l’ipnosi. In questo caso, quindi, spingere il soggetto a immergersi in una realtà interna di tipo alternativo potrebbe essere una pessima idea, non pericolosa, ma di certo da esplorare con cautela. E il limite appunto, è proprio quello dell’esame della realtà, ossia la capacità di restare in contatto con il proprio mondo interiore e di distinguerlo dall’ambiente circostante, o, come diceva Milton Erickson, «la capacità di essere lì e qui contemporaneamente».
Un altro rischio dell’ipnosi è quello di aiutare altre psicopatologie a emergere, oppure, spinti dalla suggestione e dal desiderio di collaborazione, di indurre il ricordo di false memorie. Per questo non è considerata uno strumento valido in ambito giuridico.

L’ipnosi oggi
Anche se è definita come un intervento sanitario, ossia uno strumento che per la preservazione e il miglioramento della salute, non esiste una legge che regolamenta l’uso dell’ipnosi, almeno in Italia. Ma ci si sta lavorando a livello europeo. Ciò non toglie che in ambito psicoterapico gli unici autorizzati a praticare l’ipnosi sono psicologi, psichiatri e medici psicoterapeuti. A Roma, Milano e Torino, e in altre città italiane, ci sono diverse scuole che insegnano a praticare la psicoterapia ipnotica: l’ipnosi medica, ossia l’applicazione dell’ipnosi come terapia nell’ambito della salute mentale e come integrazione alle terapie mediche tradizionali; l’ipnosi odontoiatrica, per il trattamento del dolore e della fobia dentale; la comunicazione ipnotica in ambito sanitario, ovvero l’addestramento all’uso dei canali sensoriali e della trance spontanea.
In Europa si sta diffondendo l’abitudine di insegnare i metodi ipnotici anche a infermieri, ostetrici e altre figure sanitarie: per esempio un infermiere in grado di usare la comunicazione ipnotica può sfruttare molteplici tecniche per aumentare l’aderenza dei pazienti alle cure e il loro comfort, riducendo stress e dolore fisico. Essendo un intervento sanitario, quindi, solo queste figure professionali possono praticare l’ipnosi, e qualsiasi uso al di fuori di questo ambito è considerato improprio, inclusa l’ipnosi da palcoscenico.
Attualmente attorno al 6 per cento degli psicoterapeuti italiani pratica l’ipnosi, e il loro numero è in forte crescita in Italia e in Europa. Le 38 società europee con i loro 14000 membri sono un esempio di questo momento di rinascita e riscoperta di una pratica dibattuta, ma che ha ancora molto da offrire.