Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  novembre 10 Giovedì calendario

MOSUL E RAQQA: COSÌ ERDOGAN GIOCA LA SUA PARTITA A POKER

La battaglia per Mosul non è ancora conclusa e l’Isis sta sparando le sue ultime cartucce soffocando i civili, dando alle fiamme i campi petroliferi e lanciando i suoi combattenti suicidi in tutta la regione. Sono azioni disperate senza alcun segno di disperazione. Nessun cenno di panico e nessuna resa incondizionata o fuga precipitosa. L’Isis sta finendo la sua avventura irachena nello stesso modo in cui è cominciata: come uno spettacolo allestito per qualche credulone e finanziato da abili produttori che attendevano con ansia l’elezione della Clinton per essere nuovamente sostenuti e legittimati. Sta finendo secondo un copione eroico-patriottico che non ha mai deluso le aspettative. A questa immagine di solidità e coerenza dell’Isis si contrappone quella dei pretendenti a una parte di bottino per il dopo-Mosul e del dopo-Isis in Iraq. E sono tanti, con forti e diversi appetiti da soddisfare, quasi mai nell’interesse della popolazione o dello stesso Iraq. L’Iraq vuole l’unità e la sovranità, gli Usa volevano una rivincita sul terreno e un argine all’Iran. Obama e la Clinton volevano anche una vittoria che aiutasse le elezioni. Questo non è avvenuto, e la posizione di Trump è ancora tutta da definire, mentre per la sovranità ci sarà da aspettare ancora a lungo.
Ma se Trump, come ha detto, si vuole affidare ai servizi segreti, la linea politica e operativa sul terreno non potrà certo cambiare di molto da quella attuale. Gli Stati arabi vogliono limitare lo sciismo e il potere dell’Iran, la coalizione internazionale contro l’Isis a guida americana vuole vincere senza strascichi. Francia e Gran Bretagna vogliono un ruolo neo-coloniale nelle vecchie colonie, i curdi vogliono l’indipendenza di un proprio stato, la Russia vuole limitare il potere americano nell’area e quello fondamentalista islamico ai propri confini e Israele vuole eliminare qualsiasi sostegno esterno ai palestinesi.
Ma il più tenace e arrogante pretendente è la Turchia di Erdogan che sta partecipando alle operazioni ufficialmente su invito del presidente del governo regionale del Kurdistan iracheno Barzani, ma con l’opposizione del governo centrale. L’arroganza di Erdogan viene dalla consapevolezza di poter controllare i curdi e il loro petrolio, ma è anche rivolta a dividere i curdi fra quelli da lui considerati “cattivi”, comunisti e terroristi come il Pkk e gli altri “buoni” perché sottomessi. Da parte sua l’iracheno al-Abadi sta cercando di sfruttare l’arroganza turca per cercare di ricostituire una parvenza di orgoglio nazionale.
Di fatto tra l’Iraq e la Turchia, è in corso un vero e proprio conflitto che per ora è verbale, mentre il governo iracheno è scosso dalle divisioni fra le opposte fazioni. La Turchia pretende ancora un ruolo da protagonista nella presa di Mosul con la scusa di proteggere la popolazione sunnita dagli abusi e vendette degli sciiti. Ha anche affermato che dopo la presa di Mosul potranno rimanere soltanto i sunniti arabi, turkmeni e curdi. L’ idea turca di creare in Iraq un’area di potenza sunnita attorno a Mosul non è affatto rigettata dagli Usa: una entità sunnita nella regione potrebbe ridurre l’influenza iraniana , ma Ankara vuole escludere Washington da questo progetto preferendo agire come attore indipendente nell’ambito di altri attori sub regionali. Da parte sua, il governo di Baghdad è costretto per il momento a non promuovere nessuna azione militare contro le truppe turche.
La pressione turca si è anche fatta sentire al confine siriano dove i curdi della Difesa democratica siriana cercano di ottenere l’autonomia nell’ambito di una Siria appunto cantonizzata o, come preferiscono dire i russi, federale. I turchi hanno già fatto incursioni preventive e con la scusa di proteggere i siriani sunniti e i turkmeni, in realtà vogliono impedire ai curdi di ottenere un riconoscimento politico dalla Siria, dalla Coalizione internazionale e dalla stessa Russia. Questo è forse il motivo principale che ha portato la coalizione ad anticipare l’apertura del fronte siriano per l’isolamento e la presa di Raqqa.
I curdi di quell’area non solo sono i più determinati rivali dell’Isis, ma hanno aiutato le truppe del governo di Assad (sostenute dalla Russia) nell’isolamento del fronte settentrionale di Aleppo tenuto dai ribelli siriani (sostenuti dagli americani e dai turchi). Con una attenta politica delle alleanze tattiche i curdi siriani hanno acquisito meriti importanti nei confronti della Siria, della Russia e dell’America. Sono riusciti a mettere assieme un fronte anti Isis portando a 32 le iniziali 16 fazioni impegnate nella lotta all’Isis dando così alla coalizione quei “boots on the ground” che nessun occidentale ha voluto (ufficialmente) fornire. Con la presa di Raqqa saranno ancora più forti e autorevoli, ma non necessariamente vittoriosi.
Il fronte che ora è unitario può sfasciarsi in ogni momento, il sostegno americano può venir meno per essere rivolto al sostegno dei ribelli eredi della galassia del cosiddetto Esercito libero siriano, la Turchia farà le sue mosse per ostacolare qualsiasi autonomia curda ai propri confini meridionali e i Russi potranno abbandonare i curdi al proprio destino nel caso che fosse minacciata la sopravvivenza del regime di Assad. Tutto questo i curdi e le altre 30 sigle che vogliono conquistare Raqqa lo sanno benissimo, ma non hanno alcuna strategia alternativa alla continuazione del successo tattico che finora è riuscito così bene. Dovranno essere loro a entrare in Raqqa per evitare vendette etniche, così come è accaduto a Mosul dove le milizie sciite che hanno spianato la strada alle forze sunnite sono state escluse dall’ingresso in città. E allora avanti su Raqqa.