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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

UNA STAR A CARO PREZZO


Tra i suoi fan, c’era anche Napoleone Bonaparte. Il pubblico lo acclamava col soprannome di “usignolo”. E le cronache dell’epoca descrivono reazioni, durante i suoi concerti, degne di una moderna pop star: “Gli uomini ammattiscono e le donne svengono nei palchetti”. Un divo, insomma, un Pavarotti dell’epoca: Gaspare Pacchierotti è infatti stato uno dei più grandi cantanti lirici del Settecento. Era un “soprano naturale”, come lo chiamavano allora: una definizione eufemistica che indicava un “evirato cantore”, una di quelle perfette macchine da canto che dovevano la loro voce acuta non alla natura, ma alle tenaglie con cui venivano mutilati prima dell’adolescenza. Ma qual era il segreto di questi virtuosi dell’ugola? E quali furono le conseguenze di quella brutale operazione sul corpo e nello spirito dei cantanti?

LE OSSA DICONO CHE... Le risposte ci arrivano ora da un team di medici, storici e antropologi dell’Università di Padova, che per la prima volta hanno esaminato le ossa di Gaspare Pacchierotti. «Lo scheletro completo di un cantante castrato non era mai stato analizzato in precedenza (finora c’erano state solo analisi di alcune ossa). È stato un passo indispensabile per ricostruire il profilo di Pacchierotti, capire i segreti nascosti dietro la sua voce sublime e trovare i segni lasciati dalla castrazione sul suo corpo», spiega Alberto Zanatta, antropologo, uno degli autori dello studio pubblicato su Nature Scientific Reports. Sulle ossa del cantante, infatti, sono rimaste le tracce dei mutamenti fisici indotti dall’evirazione, del durissimo “allenamento” al canto e persino dei problemi psicologici: segni che il team di Zanatta ha rilevato, dopo quasi due secoli, con un’analisi minuziosa dello scheletro, Tac ed esami radiologici.

VOCE DA SOPRANO. Il lavoro è cominciato poco più di tre anni fa, quando i ricercatori hanno riesumato i resti del cantante, sepolto nel 1821 nella piccola cappella di Villa Pochini-Pacchierotti (oggi Zemella), appena fuori Padova. È qui che l’artista aveva deciso di passare gli ultimi anni di vita. Classe 1740, nato a Fabriano, nelle Marche, Pacchierotti in vita non fu un adone: spilungone e allampanato, era un mascellone glabro, con un naso che i suoi contemporanei definivano “strano”. Quando cantava, però, tutto passava in secondo piano: come scrisse uno dei suoi ammiratori, aveva una voce “di soprano con ampia estensione, piena e dolce al massimo grado”. Per questo fascino vocale, lo sappiamo, aveva pagato un prezzo altissimo: l’asportazione dei testicoli, da bambino. La mancata produzione di ormoni maschili, infatti, faceva sì che la laringe non si sviluppasse con la pubertà: la voce e l’estensione quindi restavano simili a quelle di un bambino, ma con un timbro unico e un’amplificazione garantita da potenti polmoni da adulto. Come Pacchierotti, nei primi decenni del ’700 – al culmine della “passione” per queste voci – ogni anno circa 4mila ragazzini meno che dodicenni erano sottoposti a questa operazione, per riempire le file dei cori ecclesiastici (dove le donne non erano ammesse) e cantare nei teatri d’opera. Drogati con l’oppio e immersi in acqua caldissima, i piccoli erano evirati da un paio di tenaglie con i bordi arrotondati. Chi sopravviveva passava poi il resto dell’adolescenza costretto a ore di esercizi giornalieri di canto, ma pochi riuscirono a diventare idoli contesi in tutta Europa, come appunto Gaspare Pacchierotti.

ESERCIZIO. «Per raggiungere un tale successo internazionale, sicuramente si dovevano avere predisposizione, voce e talento. Ma da soli non bastavano: era l’esercizio “estremo” cui erano sottoposti i cantanti evirati a causare, negli anni, modificazioni a livello scheletrico che li trasformavano appunto in macchine per il canto», dice Zanatta.
Basta osservare l’ampio torace di Pacchierotti. «Le sue costole si allungarono a causa degli squilibri ormonali e a ciò si unì l’effetto del continuo esercizio canoro: da una parte c’era più spazio per i polmoni; dall’altra i polmoni, diventando al tempo stesso sempre più grandi, allargavano la cassa toracica. Ovviamente questi complessi cambiamenti fisici permettevano ai castrati di gestire il suono e la voce in modo diverso rispetto ai normali cantanti», prosegue l’antropologo.
Ma a fronte di questi “vantaggi lavorativi”, la medaglia aveva un enorme rovescio. Innanzitutto i problemi psicologici: il team ne ha visto traccia nei denti. Nonostante gli 81 anni suonati, il cantante aveva una bocca in ottime condizioni e molto curata. «Abbiamo però trovato due patologie dentali: una non corretta deposizione dello smalto (ipoplasia) e uno spiccato bruxismo, cioè l’abitudine di digrignare i denti nel sonno. Entrambe molto probabilmente legate al trauma della castrazione», nota Zanatta. In pratica, secondo i ricercatori, il trauma psicofisico subito in età infantile avrebbe
impedito allo smalto di depositarsi correttamente sui denti del giovane Gaspare. E, diversi anni più tardi, lo stress lo avrebbe indotto a contrarre i muscoli della masticazione nel sonno. Il successo infatti non evitava l’ironia della gente: del suo collega Farinelli giravano impietose caricature. Niente ormoni maschili, infatti, significava niente barba e baffi. E un’altezza sopra la media, altra caratteristica riscontrata in chi ha subito la castrazione: in Pacchierotti la carenza di testosterone aveva cresciuto un “usignolo” alto più di 190 cm.

OSTEOPOROSI. All’altezza si aggiungevano altre “anomalie” scheletriche, come i fianchi larghi simili a quelli delle donne. Inoltre, sul bacino, i tratti cartilaginei (le cosiddette linee epifisarie di accrescimento) che servono a far crescere l’osso durante l’adolescenza erano rimasti aperti, invece di saldarsi intorno ai 23 anni. Non solo: il poveretto aveva l’osteoporosi (una perdita di densità e resistenza delle ossa), altro effetto della carenza di ormoni.
L’effetto su Pacchierotti fu una frattura delle prime due vertebre lombari. E, come se non bastasse, il cantante soffriva di mal di schiena e sciatalgia: «Lo sappiamo perché tutto il tratto lombare della colonna vertebrale presenta osteofiti, cioè escrescenze di tessuto osseo prodotte dall’accumulo di calcio sulla cartilagine articolare: segno dell’età o della degenerazione delle vertebre», precisa Zanatta. Le vertebre cervicali, infine, erano molto erose. Motivo? Pacchierotti si rovinò la cervicale a forza di mantenere la tipica postura da cantante lirico, con la nuca allungata rispetto alle spalle, che gli permetteva di usare al meglio la voce. Un altro prezzo di quel successo che lo aveva portato a cantare all’inaugurazione del Teatro alla Scala di Milano (1778) e poi a quella di un altro tempio della lirica italiano, La Fenice di Venezia (1792).

CHE MUSCOLI. Ma uno scheletro può dirci molto anche sull’attività fisica del suo proprietario: più un muscolo è sviluppato per un determinato “compito”, infatti, più il suo attacco sull’osso risulta marcato. E neanche questo è sfuggito al team. «Abbiamo individuato i segni lasciati sulle costole dalle inserzioni molto sviluppate di tre importanti muscoli respiratori: lo scaleno posteriore, il serrato anteriore e il serrato posteriore-superiore. Ciò ci ha portato a dire che il cantante li sollecitava in maniera “esagerata” durante gli esercizi quotidiani», conclude l’esperto. Lo stesso faceva con i tricipiti, i muscoli che permettono di stabilizzare la spalla ed estendere il braccio. Il cantante li usava non in palestra, ma sul palco, muovendo le braccia per raggiungere quella “espressività toccante” e quel “pathos intensamente sentito” che incantò il pubblico da Milano a Londra a Parigi. Pacchierotti morì di “idropisia”, un termine che all’epoca indicava un accumulo di liquidi nelle cavità del torace e dell’addome. Negli anni dopo il ritiro dalle scene, era rimasto famosissimo e si era dedicato all’insegnamento, alla stesura di un trattato sul canto e a incontri con artisti, scrittori e musicisti, da Vittorio Alfieri a Gioachino Rossini fino a Stendhal. Che disse di aver imparato, sulla musica, più da lui che da qualsiasi libro.
Maria Leonarda Leone