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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

L’UOMO CHE TI PUÒ CAMBIARE LA TESTA


La scadenza per il primo trapianto di testa è stata fissata: avverrebbe entro l’anno prossimo. Almeno nelle intenzioni di Sergio Canavero, il neurochirurgo che ha detto di essere pronto a tentare l’intervento. Canavero ha lanciato nel 2013 l’idea cui da tempo si dedicava al di fuori del suo lavoro “normale” di medico all’ospedale Molinette di Torino. L’anno scorso è stato presentato il primo volontario, un trentenne russo. Valéry Spiridonov, che soffre di una malattia genetica progressiva che lo ha reso paralizzato dal collo in giù, ha confermato a Focus di essere seriamente intenzionato a proporsi come cavia umana. Ma senza fretta. «C’è un bel po’ di lavoro da fare prima», ha risposto via email alla domanda se non ha paura di un intervento che la stragrande maggioranza della comunità scientifica giudica raccapricciante, con scarsissime o nulle possibilità di successo.

IN CINA. Descritta in termini crudi ma semplici, l’idea di Canavero è di utilizzare la parte del corpo dal collo in giù di un donatore morto e attaccarla alla testa di una persona affetta da malattie gravi che la rendono paralizzata, oppure da tumori che hanno aggredito tutti gli organi ad eccezione del cervello. In senso strettamente logico si tratterebbe in realtà di un trapianto di corpo, perché quella è la parte donata alla persona viva.
Canavero, che ha unito le forze con il chirurgo cinese Xiaoping Ren, non ha paura di rendersi ridicolo agli occhi dei colleghi, parlando nei suoi articoli di “effetto Frankenstein” (riferendosi alla stimolazione elettrica di cadaveri) e descrivendo nei dettagli un’operazione che pare per l’appunto uscita da un film horror.
Ci vorrebbe innanzitutto una sala operatoria con due postazioni e due team di chirurghi. In contemporanea, verrebbero recise dal corpo del donatore e da quello del ricevente le rispettive teste. Nel tempo necessario a riattaccargli il corpo donato, con tutte le strutture anatomiche – vene e arterie, muscoli, esofago, trachea, nervi cranici, midollo spinale – la testa del ricevente verrebbe raffreddata fino a 15 °C, per evitare l’insorgere di danni al cervello. A ristabilire la circolazione non dovrebbe essere impiegata più di un’ora, mentre tutta l’operazione ne durerebbe 36.

SI PUÒ FARE? Alla richiesta agli esperti di commentare la fattibilità o almeno la plausibilità di un progetto simile, le reazioni vanno dal rifiuto, a ritenerlo la macabra boutade di qualcuno in cerca di attenzione mediatica, fino a considerarlo solo una sorta di possibilità fantascientifica. «Anche Jules Verne ha anticipato che saremmo andati sulla Luna», osserva Francesco DiMeco, direttore del dipartimento di neurochirurgia dell’Istituto Besta di Milano. «E magari in futuro il trapianto di testa sarà davvero possibile. Eseguirlo con successo con le tecnologie di oggi assolutamente no».
Da un punto di vista puramente tecnico, però, l’intervento non è irrealizzabile. Ci aveva già provato il chirurgo americano Robert White nel 1970 con una scimmia, sopravvissuta alcuni giorni all’operazione. Paradossalmente, riattaccare una testa a un collo è meno complicato da un punto di vista chirurgico di quanto lo sia, per esempio, ricucire la propria mano amputata in un incidente. «È un intervento che si può preparare in anticipo. In più si lavora su vasi sanguigni grandi, in cui l’anastomosi (sutura) è più facile e sicura», spiega Emanuele Cigna, specialista in chirurgia plastica dell’Università La Sapienza di Roma. Anche ricucire le altre strutture vitali che passano attraverso il collo non presenta ostacoli insuperabili. «Quella dell’esofago è una delle suture più difficili per un chirurgo, e lo stesso vale per la trachea, ma operando con un corpo donato si avrebbe margine per utilizzare più tessuto, quindi il problema sarebbe relativo», aggiunge.

TOGLIETEMI LA MANO! C’è, però, il problema del rigetto. I trapianti di organi (cuore, rene, fegato, polmoni) oggi spesso salvano la vita alle persone. Ma nel caso di intere parti di corpo prelevate da un donatore morto, l’assunzione massiccia di farmaci antirigetto è un prezzo pesante da pagare, dato che la pelle stessa è un tessuto che provoca reazioni immunitarie forti. Diversi pazienti cui era stata trapiantata la mano se la sono fatta riamputare per le crisi troppo gravi di rigetto cui andavano incontro. E pochi mesi fa è morta Isabelle Dinoire, la donna francese che aveva subito il primo trapianto di faccia nel 2005. Il decesso è avvenuto per un tumore di solito non grave, che però il suo sistema immunitario minato dalle dosi massicce di farmaci antirigetto non è riuscito a tenere sotto controllo.
Anche ammesso che tali questioni possano essere superate (o considerate secondarie, data la gravità delle condizioni dei pazienti cui il trapianto di testa sarebbe destinato), resta il problema chiave ritenuto ancora insormontabile: ricollegare le migliaia di nervi contenuti nei due monconi del midollo spinale per recuperare la possibilità di trasmettere gli impulsi nervosi dal cervello al resto del corpo, in modo che non rimanga paralizzato. Il dogma della medicina è che questo sia impossibile. «A oggi non esistono protocolli sperimentali che si siano dimostrati capaci – nell’animale o nell’uomo – di “convincere” migliaia di terminazioni nervose a ricollegarsi, una ad una, con estrema precisione, dopo un trapianto, per formare di nuovo circuiti funzionanti. È bene anche ricordare che circuiti malfunzionanti possono addirittura peggiorare le condizioni di partenza», osserva Gianvito Martino, direttore della divisione di neuroscienze del San Raffaele di Milano, che da anni studia la possibilità di riparare il sistema nervoso con le cellule staminali.

AUTOGUARIGIONE. Canavero argomenta che il segreto per superare questa impasse sta nel modo in cui il midollo viene reciso: se il taglio è preciso, chirurgico, il danno alle fibre nervose sarebbe molto più semplice da riparare rispetto alle lesioni prodotte da traumi e incidenti, e il midollo andrebbe incontro a una sorta di auto-guarigione. Ci sono in realtà alcuni casi che suggeriscono che questa teoria possa avere qualche fondamento, per esempio quello di un paziente paralizzato che ha ripreso a camminare dopo avere avuto il midollo quasi del tutto reciso da una coltellata. Ma sono casi rari, e ben lontani dalla descrizione del trapianto di testa. Il secondo elemento chiave del piano di Canavero sarebbe l’utilizzo di sostanze che favoriscono la fusione delle cellule nervose, prerequisito essenziale per ricreare la connessione del midollo. Quella che farebbe il miracolo si chiama glicole polietilenico, in sigla Peg, un materiale in forma di gel utilizzato nella bioingegneria, ma anche nel restauro (il legno del vascello svedese Vasa, recuperato dai fondali marini, è stato consolidato proprio con questa sostanza).

TOPI FRANKENSTEIN. Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, Ren, in Cina, ha fatto esperimenti con lo schema proposto da Canavero su topi e una scimmia, e va avanti con gli studi. Ma anche altri ricercatori si sono convinti a testare ulteriormente le sue idee, sebbene non con lo scopo di eseguire un trapianto di testa. All’Università di Konkuk, in Corea del Sud, un gruppo di scienziati ha testato sui topi l’efficacia del Peg nel riparare il midollo. Quattro settimane dopo essere stati decapitati e “rimessi insieme”, cinque su otto dei topi trattati con la sostanza avevano riacquistato qualche capacità di muoversi, al contrario di quelli in cui non era stata utilizzata. Alla Rice University di Houston, in Texas (Usa), i ricercatori hanno invece ingegnerizzato il Peg, rinforzandolo con nanotubi di carbonio, una sorta di impalcatura che indirizza i neuroni a riconnettersi gli uni con gli altri. La nuova formulazione avrebbe mostrato di essere in grado di ricreare una minima trasmissione dell’impulso elettrico nel midollo a sole 24 ore dal taglio. Infine un cane, un beagle, sottoposto a resezione quasi completa del midollo e trattato con il solito protocollo, dopo tre settimane sarebbe tornato a muoversi quasi normalmente. Nello stile informale e sopra le righe che gli è proprio, Canavero ha scritto che i nuovi studi, pubblicati a settembre sulla rivista Surgical Neurology International, “cancellano una volta per tutte l’isteria” con cui le sue ricerche vengono accolte da anni da parte della comunità scientifica. In realtà, neppure i nuovi studi sono considerati prove a supporto della possibilità del trapianto di testa, che per la maggior parte degli esperti è un non-senso più che una impossibilità tecnica: ci sarebbero rischi immensi e scarsissime probabilità di un beneficio reale per il paziente.

BYPASS NEURALI. Semmai le sperimentazioni sulla riparazione del midollo suscitano qualche interesse nel campo della ricerca di terapie per le persone paralizzate, dato che decenni di studi su come guarire le lesioni spinali hanno portato a ben pochi risultati concreti. L’idea è la stessa che renderebbe possibile il trapianto di testa, vale a dire il taglio “pulito” del midollo. «Il punto della lesione è come una banana strizzata», esemplifica Edoardo Rosati, giornalista che con Canavero ha scritto il libro Il cervello immortale (Sperling&Kupfer). «Non c’è modo di farla tornare normale». Ma se davvero si potessero ricollegare, mantenendone la funzionalità, due monconi di midollo, allora basterebbe rimuovere la parte danneggiata e bypassarla per ristabilire la trasmissione degli impulsi nervosi e restituire il movimento ai tetraplegici. E un’ipotesi audace e affascinante per cui, con ogni probabilità, ci sarà però da aspettare ben oltre il 2017.
Chiara Palmerini