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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

IL FENOMENO BARRETT, DALLE METE IN GIARDINO ALLA MAGLIA PIU’ PREZIOSA

Come quasi tutti i neozelandesi, Beauden Barrett è cresciuto in una fattoria e le prime partite le ha giocate con fratelli e sorelle. Il nuovo numero 10 degli All Blacks, per molti il miglior giocatore del mondo, ha un papà, Kevin, che ha giocato a rugby (con Taranaki e con gli Hurricanes) e le prime mete le ha segnate nel giardino della casa di Pungarehu, vicino a New Plymouth, 42 mila abitanti di fronte all’oceano Indiano nell’isola del nord. «Siamo otto fratelli, cinque maschi e tre femmine — racconta — il nostro primo campo è stato il giardino: cricket e rugby. Quando eravamo pochi chiedevamo alle ragazze di giocare, e la cosa non piaceva moltissimo alla mamma».

Barrett oggi ha 25 anni. È il proprietario della maglia più preziosa, quella nera col numero 10, e sabato all’Olimpico potrebbe non essere l’unico della famiglia a giocare con l’Italia perché nel gruppo del c.t. Hansen c’è anche il fratello Scott. Ha raccolto con una semplicità disarmante la pesantissima eredità di Dan Carter, forse la miglior apertura di sempre, e gli sono bastati un paio di mesi, da fine agosto a inizio ottobre, per convincere tutti che quella maglia non poteva essere di nessun altro.

Il passaggio di consegne avvenne un anno fa a Twicken-ham, nella finale di Coppa del Mondo. Carter, all’ultima apparizione in nero, aveva appena finito di domare l’Australia quando Barrett, alzatosi dalla panca da pochi minuti, marcò l’ultima meta con uno sprint da centometrista. Da allora Barrett ha preso il comando e imposto il suo stile: è il più rapido di piedi e di mani, ha tecnica e visione straordinari e una compostezza che gli permette di cambiare angoli di corsa alla massima velocità e confezionare finte perfette senza nemmeno spettinarsi. Un artista e un nuovo tipo di giocatore perché fa nel rugby di oggi, contro difese impossibili da scalfire, quello che il gallese Barry John — che si diceva passasse attraverso i muri — faceva 40 anni fa, quando il gioco era più lento e il campo molto meno presidiato.

Nemmeno Barrett, però, è perfetto. Carter era praticamente infallibile nei calci piazzati, Barrett ne sbaglia parecchi, ma considerato quello che combina palla in mano nessuno si sogna di metterlo fuori squadra. Trascinati da Barrett gli All Blacks hanno devastato Australia, Sudafrica e Argentina nel Championship alla media di 6 mete segnate e 1 subita. Con Barrett sono arrivati al record mondiale di 18 vittorie consecutive e anche alla caduta di Chicago, sabato scorso contro l’Irlanda, terza sconfitta negli ultimi cinque anni.

Sabato i neozelandesi giocheranno per ripartire contro un’Italia giovane e per preparare la rivincita con gli irlandesi, che ritroveranno a Dublino il 19. Barrett sarà il punto di riferimento del gioco, anche se ha ammesso che non si aspettava il posto fisso: «Ero abituato a uscire dalla panchina, ma va benissimo così. Lavoro ogni giorno per migliorarmi, faccio anche yoga e pilates, servono per il corpo e per la mente, per trovare equilibrio». Chi gioca col 10 deve essere freddo, ragionare sempre. Per Barrett è quasi naturale. Il suo rimpianto, semmai, è un altro: «Ascolto molta musica, mi piace, e mi sarebbe piaciuto imparare a suonare la chitarra. Purtroppo non ci sono ancora riuscito».