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 2016  novembre 10 Giovedì calendario

RONALDO: «NESSUNO COME ME»

«Non c’è nessun giocatore che mi somiglia. Nessun nuovo Cristiano Ronaldo. Io sono unico». Sarà che ha appena segnato una doppietta clamorosa nella partita dei contratti, sarà l’aria di casa, ma CR7 è in vena di parlare. E siccome non lo fa spesso, ogni frase della chiacchierata alla Cidade do Futebol, il centro tecnico federale del Portogallo, potrebbe diventare un titolo di giornale. Pallone d’oro? Non ne ha voglia, ma commenta. Calcio italiano, Juve, Champions? Se ne può discutere. Programmi per il futuro? Eccoli, dall’immediato all’anteriore. Con un assunto di fondo: lui è unico. E a renderlo tale non sono solo i trofei alzati in un 2016 straordinario, ma anche il valore commerciale che il suo marchio sa richiamare. Nike, che ieri presentava la nuova Mercurial Superfly ispirata al momento in cui Cristiano lasciò lo Sporting per andare in Inghilterra, lo ha ricoperto di soldi con un accordo in stile Michael Jordan. A vita, da una base di 20 milioni all’anno fino a un massimo di 40, a seconda dei risultati raggiunti grazie a lui. Se pensate che il 40% delle magliette madridiste vendute nel mondo porta la scritta «Ronaldo» sopra le spalle, quei 40 milioni sono già in tasca. Con soddisfazione del Real Madrid, che incassa metà dei proventi di CR7 dai diritti d’immagine. Conti alla mano, l’ingaggio della stella di Madeira si ripaga in tanti modi, basta un attimo.

TRIPLETE Fa impressione nominare certe cifre dopo essere stati, in mattinata, alla Residencial Dom José. È lì che Cristiano, a 14 anni, si trasferì con l’inseparabile Miguel Paixao, calciatore giusto un filino meno dotato di lui, e un altro paio di amici. Un dormitorio nascosto nel centro di una Lisbona assai più decadente di oggi, una pensioncina da 30 euro a notte senza ascensore. Nella camera 35, la sua, non c’era spazio nemmeno per l’immaginazione, figuriamoci per l’energia di un adolescente con un chiodo fisso in testa, uno che sprintava con le automobili in accelerazione ai semafori per migliorare la rincorsa ai lanci lunghi. Altri tempi. Cristiano oggi è il calciatore più pagato al mondo tra club e sponsor, ma è anche a caccia di un record: portarsi a casa il Pallone d’oro nell’anno del trionfo in Champions League e nella competizione per nazionali più importante della stagione, l’Europeo. «Non è un’ossessione, anche se questo premio scatena sempre tanti discorsi – assicura – Certo che voglio vincerlo, a chi non piacerebbe? Ma non dipende da me. E allora è inutile pensarci». Nessuno, da quando esiste il Pallone d’oro, ha mai centrato quel «triplete» magico: lo hanno sfiorato Di Stefano, Beckenbauer, Rivera, Platini, Van Basten, Ronaldo, Kakà… qualcuno lo ha messo insieme in stagioni consecutive, ma nessuno nello stesso anno.

JUVE A livello di squadre, invece, il tabù da sfatare è il bis in Champions. Può riuscirci il Real Madrid tra sei mesi, ma la concorrenza è agguerrita. Cristiano inserisce anche la Juve tra le rivali più accreditate: «Sì, sono convinto che abbia tutte le carte in regola per farcela – dice – Giocatori di primo livello e uno stadio che mi piace. Si vede che a Torino sanno lavorare bene sui calciatori. Penso a Zidane, che ora mi allena, ma anche a ciò che hanno fatto con Morata. Ho trovato Alvaro molto migliorato, più maturo». Lui, CR7, sa meglio di altri che il talento non basta. Ha ripagato la fiducia dei suoi scopritori col lavoro. L’ha fatto con Aurelio Pereira, l’uomo che nel ’97 organizzò il provino allo Sporting e firmò un contratto da ben 25mila euro per prelevarlo dalle giovanili del Nacional. E l’ha rifatto con Fernando Santos, che oggi si dice pentito di averlo schierato contro il Manchester Utd nell’agosto 2003 (inaugurazione del nuovo stadio Alvalade, 3-1 per lo Sporting, l’amichevole che indusse Ferguson a comprarlo), ma che a Parigi ha condotto il Portogallo al più grande successo della sua storia. Per arrivare fin lì, Cristiano da ragazzo usciva di notte e palleggiava coi pesi alle caviglie sulla lunga rampa del Parque Eduardo VII. Sollevava ceste d’acqua quando gli allenatori gli impedivano di andare in palestra, o la preside dell’Escola Basica de Telheiras lo metteva in punizione. Con Dona Cila, aspetto da matrona, resiste un rapporto ambivalente: un attimo dopo averlo definito «lo studente più svogliato con cui abbia avuto a che fare», ride e imita il caratteristico «sììì», l’urlo mediatico di CR7.

E ORA? Per i portoghesi, Cristiano Ronaldo è una figura che sfuma nella leggenda, dopo quanto è accaduto in Francia a luglio. «È per questo che, quando da capitano dovrò votare per il Fifa Best Coach, opterò per Fernando Santos e non per Zidane – rivela – Entrambi hanno compiuto un’impresa incredibile, ma credo che la vittoria meno pronosticabile di questa stagione, la migliore della mia carriera, sia arrivata a Euro 2016. E aiuterà i giovani talenti del mio Paese come Renato Sanches, Bernardo Silva e Joao Mario a salire ancora di livello». E lui, CR7, che farà? La chioccia fino al ritiro? E poi magari l’allenatore, a sua volta? «Non lo so, non è imminente – spiega Cristiano – Per ora mi sento solo benedetto, dopo quanto è accaduto in questi ultimi due giorni con Nike e col Real Madrid. Posso dirvi che ho intenzione di restare legato al mio club anche dopo il ritiro, ma per diventarne il tecnico bisogna studiare, come ha fatto Zizou». Scenari lontani: solo lunedì scorso, Ronaldo stimolava il presidente Florentino Perez sulla possibilità di rimanere in campo ancora per un decennio. La chiusura la affidiamo a Rio Ferdinand, lui pure presente alla Cidade do Futebol, per celebrare l’ex compagno in maglia United: «Voi fate gli spiritosi, ma se c’è uno che può giocare fino a 41 anni, quello è proprio Cristiano». E Rio è uno che, quel 6 agosto 2003, ci aveva visto lungo.