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 2016  novembre 03 Giovedì calendario

LA SPREGIUDICATA CARRIERA DI HILLARY


All’ultima curva, dopo una vita trascorsa a sventare le insidie di scandali più o meno fondati, Hillary ha trovato l’ennesimo ostacolo. La decisione dell’Fbi di riaprire l’inchiesta su quello che i giornali Usa hanno battezzato «emailgate» rilancia l’accusa di essere disonesta e bugiarda. «Le mie mail? Che cosa vogliono ancora i giornalisti?», aveva ripetuto più volte in campagna elettorale. Eppure, i giornalisti hanno continuato a chiedere perché lei avesse creato un account al nome di Eric Hothenam, persona inesistente, un nome inventato storpiando quello di un collaboratore, appoggiandosi a un server registrato all’indirizzo della sua villa di Chappaqua.
Negli Usa il Federal Records Act prescrive che la corrispondenza elettronica di chi ha un incarico federale debba passare dall’account ufficiale e mai da quello privato. Questo per proteggere la sicurezza delle comunicazioni e poi perché le e-mail di un membro del governo sono da ritenersi proprietà pubblica e devono essere conservate. Hillary ha violato questa regola, un’infrazione che finora l’Fbi aveva ritenuto una «scorrettezza» ma non un reato penalmente rilevante.

Erano rimaste nell’aria alcune domande: perché questo account? Per scambiare quali contenuti? E con chi? Nel verbale dell’interrogatorio a cui Hillary è stata sottoposta dagli agenti federali ci sono 39 «non ricordo» dell’ex senatrice, che ha dichiarato di non rammentare quante informazioni classificate siano transitate sull’account privato. Il Dipartimento della Giustizia, che dipende dall’esecutivo, ha chiesto al direttore della polizia federale James Comey di non informare il Congresso della nuova inchiesta per non influenzare le elezioni. Comey, repubblicano ma nominato da Obama, fama di uomo integerrimo, ha ritenuto di non potersi esimere dal darne comunicazione al Congresso.
La vita di Hillary, accanto a grandi successi personali, è scandita da scandali ai quali è riuscita a sopravvivere, ma appesantendo la sua immagine. Dalla fine degli anni Settanta è stata First Lady dell’Arkansas, First Lady d’America, responsabile della riforma sanitaria con il rango di ministro, senatrice eletta nello Stato di New York, già candidata alle primarie democratiche e Segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Ma è stata anche protagonista di scandali come la speculazione immobiliare di Whitewater, i rapporti con i giganti finanziari di Wall Street, il Travelgate alla Casa Bianca, il suicidio di Vince Foster, la morte a Bengasi dell’ambasciatore americano Chris Stevens, fino all’ultimo clamoroso emailgate.
Sono trascorsi oltre 40 anni da quando, giovanissima e brillante laureata in giurisprudenza a Yale, Hillary entrò a far parte, su indicazione del partito democratico, del pool di consulenti legali bipartisan che affiancò la commissione d’inchiesta del Congresso americano sullo scandalo Watergate. E altrettanti ne sono passati da quando Bill Clinton, sostenuto dalla moglie, ottenne il primo incarico pubblico: eletto, nel 1977, Attorney General dell’Arkansas, qualcosa di vagamente assimilabile al nostro ministro della Giustizia. E come lei stessa ha confessato, poco più che adolescente era stata una militante della destra repubblicana, sostenendo la candidatura presidenziale dell’ultraconservatore senatore Barry Goldwater. Da quattro decenni, dunque, Hillary Clinton è nel ventre della politica americana al punto che, secondo molti commentatori, insieme a Bill ha fondato una nuova dinasty, come i Kennedy, i Bush, i Romney, i Kerry.

Hillary Clinton è stata anche avvocato di grido in uno degli studi americani più antichi, il Law Rose Firm, e ha fatto parte dei consigli d’amministrazione di importanti corporation, a cominciare da Walmart, colosso globale della distribuzione. Ha lavorato per Lafarge, multinazionale francese produttrice di manifatture di cemento, la Tyson Food produttrice di pollame, la Stephens Inc., la Worthen Bank e l’Hussman media Holdings. Nella sua professione ha guadagnato molto ma ha sollevato enormi problemi di conflitti d’interesse.
La partecipazione al board di Walmart è stata al centro di un’inchiesta del New York Times, che pure l’ha sempre sostenuta; Hillary aveva le competenze professionali per entrare nel Board di questa multinazionale, ma era anche la moglie del governatore dello Stato dove Walmart ha la sede legale. Il quartier generale della multinazionale è, infatti, a Betonville, e non pochi aspetti legali che attengono alla vita di una società sono di fatto regolati dallo Stato dove si è stabilita la sede legale. Bernie Sanders, l’anziano senatore del Vermont che ha conteso a Hillary la nomination democratica, l’ha più volte attaccata per i suoi rapporti con la finanza di Wall Street. E il New York Times ha documentato i suoi rapporti con Goldman Sachs.
Nel mese di ottobre 2013, Goldman Sachs ha pagato a Hillary Clinton 225 mila dollari per parlare alla conferenza «Costruttori e innovatori» in Arizona, al Ritz-Carlton Mountain Resort, davanti a una platea di finanzieri. L’intervento è stato articolato come una conversazione tra lei e l’amministratore delegato di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein. Sul tema scrive CnnMoney: «Il discorso nel 2013 è stato uno dei tre che Hillary ha fatto per conto di Goldman Sachs. Secondo i registri pubblici, tra il 2013 e il 2015 ha tenuto 92 discorsi, raccogliendo 21,6 milioni di dollari in meno di due anni».
Proveniente da una ricca famiglia della borghesia industriale di Chicago, cresciuta nel lussuoso sobborgo di Park Ridge, Hillary è stata sempre prima della classe, concentrata e determinata, fino a sentirsi predestinata agli obiettivi che poi conseguirà. Puntuale, puntigliosa, gran lavoratrice, sempre prima della classe, al college le fu affidato l’incarico di tenere il discorso solenne dei laureandi e non mancò di sfidare con competenza sui temi della politica un anziano senatore repubblicano che rappresentava la massima autorità presente.
Non si esagera nel ritenere che senza la sua presenza difficilmente Bill Clinton sarebbe diventato presidente. Quando nel 1980 non fu riconfermato governatore dell’Arkansas, scalzato dall’onda lunga del reaganismo che fece vincere il candidato repubblicano, fu lei a tirarlo fuori dalla depressione e rimetterlo in pista. E fu lei a costruire la rete di alleanze e a trovare i cospicui finanziamenti che lo porteranno alla Casa Bianca nel 1992. Senza Hillary, Bill sarebbe rimasto un avvocato e un politico locale. Sarà lei a ispirare quella svolta centrista in materia economica, dal sapore vagamente repubblicano, che li porterà ad abbandonare le visioni di sinistra maturate all’epoca della contestazione studentesca a Yale per convergere verso politiche più realistiche. Alla vigilia della prima elezione di Bill, Hillary chiarì che non avrebbe «fatto i biscotti per prendere il tè» ma avrebbe avuto un ruolo attivo nell’esecutivo. Di qui nacque il motto «prendi due paghi uno» o la definizione di «Billary», binomio di potere. Fu la prima First Lady a pretendere con forza un ufficio nell’ala di potere dell’edificio della Casa Bianca, e a ottenere il rango di ministro.
Questo ne fa una delle persone più collaudata alle pratiche del governo. All’epoca della sua contesa con Obama, in uno spot pro Hillary con le immagini della Casa Bianca illuminata di notte, una voce fuori campo domandava: chi vorreste che risponda al telefono in piena notte di fronte a una crisi internazionale? Un modo per sottolineare la sua esperienza, cui però i critici hanno contrapposto l’assenza di novità e l’immersione nel sistema di potere di cui sembra aver assimilato i difetti.
Bill e Hillary sono stati coinvolti in gravi scandali, il più clamoroso dei quali è quello di Whitewater, una speculazione immobiliare in un’area residenziale e turistica dell’Arkansas in cui la coppia aveva investito. La sera di martedì 20 luglio 1993, sono da poco passate le venti quando in uno dei più bei parchi della contea di Fairfax, area residenziale alle porte di Washington, viene rinvenuto il cadavere dell’avvocato Vince Foster, uno dei consiglieri più potenti dell’amministrazione di Bill Clinton. L’Fbi, cui vengono affidate le indagini, e il medico legale accerteranno che è deceduto per effetto di un colpo di rivoltella calibro 38 che gli ha provocato un foro alla tempia. La scena fa pensare a un suicidio, la rivoltella è nelle mani dell’uomo.
Foster non è uno qualsiasi. Ha seguito Clinton fin dall’Arkansas, si conoscono dalla scuola, negli anni Ottanta è stato il socio di Hillary nello studio legale Rose, l’amico di una vita, una delle persone più fidate della coppia. Sui giornali circoleranno voci su una presunta relazione fra lui e Hillary. Nel corso di un’intervista il giornalista Tom Bauerle, le chiederà se avesse mai tradito Bill, magari con Vince. La risposta fu indignata: «Non sono domande da farsi e naturalmente la mia risposta è no». L’indagine federale concluderà che fu un suicidio; ma ad alimentare a lungo la vicenda furono alcuni documenti in possesso di Vince, che secondo la commissione d’inchiesta del Senato sullo scandalo Whitewater avrebbero collegato Hillary alla vicenda; secondo le parole del senatore repubblicano Alfonse D’Amato, addirittura la «possibile pistola fumante». Whitewater è stato lo scandalo più grave della coppia presidenziale è stata coinvolta. Bill e Hillary ne usciranno indenni, sotto il profilo giuridico, ma molti stretti collaboratori saranno condannati dai tribunali americani.
La commissione senatoriale parla di «tre fascicoli di documenti prelevati dagli archivi dello studio legale Rose di Little Rock», dove Hillary e Vince lavoravano. Tutto ciò viene messo in relazione con la «frenetica attività nell’ufficio di Foster alla Casa Bianca nelle ore successive alla sua morte, nel tentativo di aprire la cassaforte dell’avvocato per cercare documenti la cui natura non è mai stata precisata». I giornali scriveranno che si trattava di parcelle professionali, compilate dalla stessa Hillary, nella sua qualità di avvocato dello studio Rose, per salvare la Cassa di risparmio Madison Guaranty dalla bancarotta. Lei aveva sempre dichiarato che la sua attività a favore della Madison era stata marginale. Ma la commissione senatoriale ha individuato appunti stilati dall’avvocato Susan Thomases, legale della First Lady, che dimostrerebbero come avesse compilato numerose parcelle. I documenti riguarderebbero i rapporti tra Hillary Clinton e la Madison Guaranty, la finanziaria (poi finita in un crac di 60 milioni di dollari) che aveva fra i maggiori azionisti James McDougal, uno dei partner di Bill Clinton nella speculazione edilizia di Whitewater. Di fronte alle avversità Hillary ha dimostrato sempre una grande tempra, ha retto i tradimenti seriali del marito.
Il New York Times nel motivare il suo sostegno a Hillary, ha scritto: «Il nostro endorsement ha le sue radici nel rispetto per l’intelligenza della Clinton, per la sua esperienza, per la sua tenacia e il coraggio dimostrati in una carriera di quasi ininterrotto servizio pubblico». Sul «Daily Telegraph», invece, l’attuale ministro degli Esteri della Gran Bretagna, Boris Johnson, sempre caustico nelle sue definizioni, scrisse di Hillary: «Attenzione al suo sguardo blu inflessibile. Ha i capelli tinti, le labbra siliconate, sembra l’infermiera sadica di un ospedale psichiatrico». Per concludere, vale la pena prendere a prestito quello che ha scritto Jennifer Senior sul «Sunday Book Review» sotto il titolo Good Hillary, Bad Hillary: «Dopo anni di palcoscenico nazionale, Hillary Clinton è ancora un enigma, un edificio formidabile che sembra non avere nessuna porta, nonostante la si cerchi tante volte. Questa impenetrabilità genera una vasta gamma di sentimenti e non sapendo cosa c’è veramente dentro, gli elettori possono attribuirle sia cose buone sia cose pessime. E questa impenetrabilità spiega perché tanti giornalisti non possono smettere di scrivere di lei». Possiamo aggiungere quello che ha teorizzato Machiavelli: non sempre etica ed efficienza del potere vanno insieme. Lei ha certamente l’efficienza e la competenza, per il resto giudicherà la storia.