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 2016  novembre 04 Venerdì calendario

VOLANDO SI SOGNA LO RIVELA LA MICROSPIA


Se gli animali tenessero alla privacy, avrebbero motivi più che validi per una gigantesca class action contro l’uomo. Da qualche anno, infatti, grazie alla miniaturizzazione delle tecnologie innescata dagli smartphone, siamo in grado di spiare ogni momento della loro vita. E non esitiamo a farlo. Prendiamo le anguille. La maggior parte di noi le conosce solo perché le incontra al cenone di Natale sotto forma di capitone, ma per i naturalisti sono le protagoniste di uno dei più affascinanti misteri del regno animale. Vivono infatti gran parte della loro vita, anche vent’anni, in acque dolci, ma a un certo momento cambiano colore e fisiologia, vanno in mare e intraprendono un lungo viaggio verso un’area comune di riproduzione: il caraibico Mar dei Sargassi. Come arrivino fin lì le anguille adulte, quanto tempo ci restino e come facciano poi le neonate a ritrovare la strada di casa, è un enigma che finora appariva totalmente insolubile: come si fa a seguire dei pesci in una traversata di seimila chilometri in pieno oceano? Le moderne tecnologie di spionaggio naturalistico ci sono riuscite.
Come racconta la rivista Science Advances, il gruppo dell’ecologo David Righton, del centro di ricerca ittica inglese Cefas, ha applicato delle microspie del peso di pochi grammi a settecento anguille nei fiumi del Nord Europa e del Mediterraneo. I dispositivi sono costituiti da due parti: sensori applicati al corpo dell’anguilla, che raccolgono dati su profondità, luce e temperatura, registrandoli su una scheda, e un’antenna galleggiante. Visto che i segnali radio non attraversano l’acqua salata, dopo alcuni mesi la microspia si stacca dall’anguilla e l’antenna emerge in superficie per trasmettere i dati in memoria alla rete di satelliti Argos, che li gira ai ricercatori.
Incrociando i dati di luminosità, temperatura e profondità raccolti dai 206 dispositivi che hanno funzionato, i ricercatori sono riusciti a ricostruire tempi e percorso della migrazione e svelare almeno una parte della vita segreta di questi animali. Così hanno scoperto, per esempio, che qualunque sia il punto di partenza, le anguille finiscono tutte per sfilare davanti alle Azzorre, prima di attraversare l’Atlantico, muovendosi di notte a duecento metri di profondità e di giorno oltre i mille. Inoltre non migrano tutte insieme: partono per il Mar dei Sargassi alla spicciolata soprattutto fra settembre e dicembre e, dato che in media fanno solo venti chilometri al giorno, quasi tutte arrivano dopo la fine della stagione riproduttiva primaverile, restando quindi in zona per almeno un anno e non morendo poco dopo l’arrivo, come si credeva. Resta invece intatto il mistero su tempi e percorsi delle anguille neonate: per provare a risolverlo si dovrà attendere l’invenzione di dispositivi di tracking ancora più piccoli. Intanto però quello che si è scoperto potrà essere usato per tutelare meglio questa specie, che la pesca eccessiva ha portato a un passo dall’estinzione in Europa.
Se seguire le migrazioni delle anguille è difficile, immaginate che cosa possa essere cercare di scoprire se e quanto dorma un uccello che resta in volo continuo per settimane. Eppure il gruppo diretto dall’ornitologo Niels Rattenborg, del Max-Planck-Institut di Seewiesen, in Baviera, ha dimostrato su Nature che i moderni sistemi di «spionaggio naturalistico» consentono anche quello. Rattenborg e colleghi sono riusciti a misurare il tempo di sonno delle fregate delle Galapagos durante le loro battute di pesca sull’oceano, lunghe una decina di giorni. In quelle occasioni questi uccelli sono costretti a restare sempre in volo, limitandosi a prendere i pesci vicini alla superficie perché non hanno le penne impermeabili: se toccassero l’acqua, si inzupperebbero, e non potrebbero ripartire.
«Per capire se riescano a dormire in quella situazione estrema abbiamo seguito l’idea di Alexei Vyssotski, un neuroinformatico all’Università di Zurigo» spiega il naturalista Giacomo Dell’Omo, fondatore della Technosmart, che crea apparecchi per rilevamento naturalistico, e di Ornis Italica, associazione non profit che li impiega per le ricerche scientifiche. «Abbiamo applicato alla testa di 14 fregate un mini apparecchio per elettroencefalogramma del peso di pochi grammi, contenuto in una cuffietta. Questo, registrando le onde cerebrali, poteva rivelare quando l’animale dormiva e persino quando sognava. Sul dorso delle fregate abbiamo poi sistemato dei Gps alimentati da un piccolo pannello solare, per rilevarne la posizione ogni cinque minuti». Al ritorno gli uccelli sono stati ricatturati, i dispositivi recuperati e i dati analizzati. Si è scoperto così che questi uccelli riescono in effetti a dormire in volo per quaranta minuti al giorno, contro le dieci ore di sonno a terra.
«In genere salgono in quota e poi approfittano di planate lunghe chilometri per schiacciare brevi pisolini. L’elettroencefalogramma ha anche rivelato che, come già si era visto nei delfini, le fregate possono dormire con solo metà cervello alla volta, in modo da restare sempre vigili. Una ricerca straordinaria, ma non la prima in cui si è fatto un Eeg in volo: alcuni anni fa in Italia abbiamo analizzato l’attività cerebrale di piccioni viaggiatori, scoprendo che attivavano le aree della memoria quando passavano su rilevanti caratteristiche topografiche, come strade o edifici. In altre parole, seguivano una loro mappa mentale».
A questo punto viene un dubbio: queste microspie non danneggeranno gli animali? Per esempio, delle 700 anguille monitorate da Righton e colleghi, solo una ventina sembrano essere arrivate alle Azzorre: forse antenne e sensori le hanno rese una preda facile? «I naturalisti si sono dati regole ferree nell’uso di questi dispositivi: non possono superare il 5 per cento del peso dell’animale e non devono intralciarlo nei movimenti. Insomma chi lo indossa non deve avere svantaggi di sopravvivenza» dice l’ornitologo Fulvio Fraticelli, direttore scientifico del Bioparco di Roma e autore, con Fabrizio Bulgarini, del saggio sui migratori Viaggiatori straordinari (Orme, pp. 158, euro 16). «È vero che possono sempre sorgere problemi imprevisti: si sa per esempio di cicogne con trasmettitore abbattute sulla penisola araba perché scambiate per uccelli spia o bombe volanti. Ma questi strumenti sono ormai indispensabili per la ricerca: prima, inanellandoli, potevamo conoscere il destino degli uccelli migratori solo alla partenza e all’arrivo, ma cosa facessero in mezzo era un mistero. Grazie a un registratore dei dati di volo attaccato alla zampa di una sterna artica abbiamo invece saputo per esempio che questo uccello, di appena un etto di peso, percorre 80 mila chilometri dall’Artico all’Antartico e ritorno in un anno. Visto che una sterna vive una trentina di anni, nella sua vita vola per una distanza pari a quasi sette volte quella fra Terra e Luna».
Grazie agli sviluppi tecnologici innescati dagli smartphone non sono diventati piccolissimi solo i rilevatori di posizione, movimento o temperatura ma anche le telecamere. «Si usano da tempo per studiare la vita nei nidi, naturalmente, ma ora ce ne sono di così minuscole che abbiamo potuto montarle su pinguini e cormorani per seguirli mentre vanno a pesca» dice Dell’Omo. «Il gruppo di Christian Rutz, dell’Università di St. Andrews, ne ha addirittura attaccata una sotto la coda di un corvo della Caledonia, riuscendo a riprendere il momento in cui creava un uncino da una spina, per estrarre larve da un tronco».
Le performance di ricerca consentite da questi dispositivi sono straordinarie, ma usarli ha un costo fuori dalla portata di molti naturalisti. «In realtà i sensori sono molto economici, visto che si usano quelli già pronti per i telefonini. Il problema è come recuperare i dati. Scaricarli via Argos sarebbe l’ideale, perché è possibile farlo da ogni parte del mondo, ma utilizzare questo sistema costa migliaia di euro. All’estremo opposto ci sono i data-logger, che si limitano a memorizzare i dati: costano poche decine di euro, ma vanno poi fisicamente recuperati, il che non è sempre possibile. Per questo si stanno diffondendo sistemi che si collegano alle reti di telefonia cellulare, ma non funzionano ovunque e per ora richiedono dispositivi ingombranti. Si aspetta quindi il lancio di un satellite dedicato ai naturalisti, Icarus, mentre Usa e Canada stanno creando una rete di antenne economiche disposte su tutto il territorio, per rilevare i segnali di trasmettitori radio messi sugli animali e seguirne le migrazioni. Ora anche in Europa vorremmo fare qualcosa di simile» dice Fraticelli.
E, alla fine, i controllati diventeranno controllori. «Stiamo valutando l’uso di piccioni muniti di sensori per monitorare l’inquinamento dell’aria nelle città» dice Dell’Omo. «C’è anche chi vuole usare gli animali come “poliziotti” contro i crimini ambientali: l’ecologo francese Henri Weimerskirch ha montato dei rilevatori di segnali radar dei pescherecci sugli albatros antartici. Gli uccelli possono così individuare la posizione delle barche da pesca e, se non sono dove è previsto dai permessi, verranno multate».
Alex Saragosa