Giovanna Giannone, Il Fatto Quotidiano 6/11/2016, 6 novembre 2016
“LE PROSTITUTE DEVONO PAGARE LE TASSE”
Una prostituta munita di scontrino e blocchetto per le fatture. Con la sentenza, depositata lo scorso 4 novembre, la Corte di Cassazione ribadisce un principio: anche il meretricio è tassabile. La pronuncia non è epocale, gli ermellini sono su queste posizioni da anni. Questa volta però la l’imposta dovuta viene chiamata per nome: tanto l’esercizio abituale che quello occasionale generano “comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi”. Addirittura, “nel caso in cui l’attività venga svolta con regolarità, i guadagni sono assoggettabili anche alle imposte indirette (Iva)”. La giurisprudenza non si inventa niente: la legge n. 248 del 2006 inserisce i proventi di attività illecite, non sottoposti a confisca o sequestro, nella categoria dei “redditi diversi”. Alcune sentenze del Palazzaccio, comunque, qualificano come lecita l’attività delle prostitute.
In Italia, infatti, vendere il proprio corpo non è reato. Ad essere illegale è lo sfruttamento della prostituzione. Il fenomeno comunque si colloca in una zona grigia. L’esercizio non è punito, ma non è neanche regolamentato. Lo scambio fra prestazione sessuale e denaro rientra fra le cosiddette “obbligazioni naturali”: se una delle due parti, ad esempio, ritiene di aver subito un danno economico non può rivolgersi al giudice civile.
la conseguenzalogica della sentenza è che le prostitute abituali dovrebbero iscriversi al registro delle Partite Iva, rilasciare la fattura al cliente e rivolgersi a commercialisti per compilare la dichiarazione dei redditi. Molte associazioni chiedono da tempo che obblighi e diritti delle “lucciole” vengano stabiliti da una legge e non dalla giurisprudenza. Leggi per la regolamentazione, sostiene l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, ce ne sono da anni ma “sono sempre lì” perché “non si vuole scontentare qualcuno con una legge che modifichi l’attuale decrepito quadro normativo”. C’è chi si batte perché ai cosiddetti sex-worker vengano riconosciuti i diritti degli altri lavoratori e c’è chi pensa che tassare la prostituzione sarebbe la panacea per le casse dello Stato. Nella seconda categoria rientra a pieno titolo Matteo Salvini segretario della Lega Nord ed eurodeputato. Il leghista sostiene da tempo che tassare il mestiere più antico del mondo frutterebbe 4 miliardi. E per rafforzare la sua tesi, Salvini porta l’esempio della Germania, ma i conti non tornano. Berlino, infatti, non ha mai fornito stime ufficiali, ma il gettito fiscale più ottimistico generato dal meretricio in Germania si aggira intorno ai 600 milioni di euro. Passando alla situazione italiana, l’Istat nel suo report sull’economia non osservata, cioè sommersa, nel periodo 2011-2014 fornisce cifre molto più basse. La prostituzione produce una spesa per consumi pari a 4,1 miliardi, con un valore aggiunto di 3,7 miliardi. Persino se si decidesse di tassare i sex workers con l’aliquota massima (43%), le entrate per lo Stato sarebbero molto al di sotto dei 2 miliardi.