Marco Pasotto, La Gazzetta dello Sport 5/11/2016, 5 novembre 2016
MILAN: COSI’ LOCATELLI DIVENTA GRANDE
La crescita è deducibile non solo dal coefficiente di fiducia sempre più alto dell’allenatore, ma anche dai dettagli. L’esultanza, per esempio. Tra l’interpretazione col Sassuolo e quella con la Juve in mezzo c’erano soltanto venti giorni. Eppure sono stati due Locatelli decisamente diversi: corsa tardelliana con mani sulla testa dopo il primo, scivolata sulle ginocchia molto stile-Champions con sguardo da duro verso le tribune dopo il secondo. L’incredulità e la consapevolezza. Le lacrime e gli occhi della tigre. Sono state sufficienti poche partite di campionato per trasformare Manuel e dargli un’identità forte e soprattutto imprescindibile per uno che è l’ombelico del mondo rossonero. Montella lo ha osservato a lungo in allenamento, prima di tentare una delle giocate più difficili della sua carriera. Ha capito che Manuel avrebbe potuto essere pronto, che magari all’inizio sarebbe stata molto dura, ma ha deciso di tentare. Si sa, per fare i gol più belli gli attaccanti a volte devono metterci un po’ di sana incoscienza.
A REGIME Fino a questo momento Locatelli ha giocato otto partite consecutive, che possiamo dividere in due tronconi: le prime quattro, tutte da subentrato (con un massimo di 33 minuti in campo), e le ultime quattro, tutte da titolare. E se Samp, Lazio, Fiorentina e Sassuolo sono state il rodaggio, con Chievo, Juve, Genoa e Pescara il motore è andato a pieni giri. Insomma, c’è voluto il suo tempo per la messa a punto, ma per un ragazzo della sua età è stato un processo piuttosto veloce. Per capire la sua maturazione è sufficiente sbirciare qualche dato. Due, in particolar modo, sono assolutamente indicativi in queste ultime quattro gare da titolare: se col Chievo i tocchi di palla erano stati 51 e con la Juve 49, con Genoa e Pescara si sale a 80 e 84. Cifre non lontane dal doppio. Stessa musica alla voce passaggi: 46 col Chievo, 35 con la Juve, e poi boom, 69 a Genova e 68 col Pescara. La deduzione è molto semplice: Manuel ha imparato a stare al centro del gioco. A partecipare alla manovra. Ad accompagnare l’azione. Col Pescara è stato il rossonero ad aver giocato il maggior numero di palloni, come si conviene a un regista.
SALITA Poi, è chiaro, negli occhi resteranno a lungo soprattutto le due meraviglie con cui ha battuto Consigli e Buffon. Okay, giusto, ma fino a un certo punto perché non ci si può aspettare che Manuel scagli saette ogni due partite. L’analisi nei suoi confronti deve essere più equilibrata. Ad esempio, continuando a scorrere qualche dato, si può notare che è in evidente salita la curva delle palle recuperate e dei lanci positivi. Ecco la vera sostanza di un play basso come lui. Un maggiore coinvolgimento ovviamente dipende anche dai compagni, e non c’è nulla di male nel dire che le prime volte, presumibilmente a livello inconscio, si notava che qualcuno in qualche circostanza preferiva passargli oltre. Ci sta. Ora non più. Da quel Samp-Milan in cui Montella lo fece debuttare nella ripresa sullo zero a zero, e in cui Manuel sbagliò un paio di bruttissimi palloni, è passato solo un mese e mezzo ma di strada ne è stata fatta tanta. Il Loca ha colmato subito l’assenza di Montolivo e ha richiamato su di sé tutte le attenzioni. La strada è spianata in rossonero come in azzurro. Ventura gli ha già pronosticato un futuro «fra i migliori centrocampisti», l’esordio con l’Under 21 di Di Biagio, che lo adora, è solo rimandato. Stavolta Manuel serve ancora troppo ai compagni dell’Under 19.