Riccardo Crivelli e Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport 6/11/2016, 6 novembre 2016
MURRAY, L’ULTIMO FAB FOUR. SETTE ANNI PER LA VETTA
Com’è dolce Parigi. Ma quale crisi del settimo anno, dopo una stagione che dalla primavera romana, con il primo successo di sempre sulla terra, è stata abbagliante, fino a diventare stellare da giugno grazie al secondo matrimonio con Lendl, il Baronetto Murray può fregiarsi della corona più prestigiosa, più pesante, più luccicante: quella di numero uno del mondo, il 26° della storia nell’era del computer, a ottant’anni esatti dal primato di Fred Perry, che la stampa specializzata di allora considerò il miglior giocatore del 1936. Andy approdava per la prima volta al numero due del mondo il 17 agosto 2009, quando la diarchia Federer-Nadal sembrava inscalfibile per l’eternità: sette anni e due mesi dopo, il più lungo intervallo di sempre tra seconda e prima posizione nel ranking, finalmente guarda tutti dall’alto.
CHE RIMONTA Ironia della sorte, l’ultimo gradino viene percorso senza giocare, stante l’infortunio di Raonic (lesione di primo grado al quadricipite della gamba destra, a rischio il Masters di Londra) un’ora prima della semifinale di Bercy. Per Andy è la 19a vittoria consecutiva dall’eliminazione agli Us Open, che gli consente di scavalcare Djokovic, in testa da 122 settimane consecutive, per 5 piccoli punti, che potrebbero allargarsi a 405 se oggi, in finale, batterà Isner. E’ in ogni caso il secondo più vecchio numero uno, 29 anni e 5 mesi, dopo John Newcombe, che raggiunse il top a 30 anni e 11 mesi: «E’ incredibile, mai avrei pensato di poter conquistare un risultato del genere, ho avuto davanti a me tre dei più forti giocatori di sempre. E’ un po’ strano il modo in cui è accaduto il sorpasso e naturalmente mi spiace per Milos. Per arrivare a un traguardo come questo sono necessari quasi 12 mesi di tornei, gli ultimi sono stati i migliori della mia carriera e sono davvero molto orgoglioso di poter vivere un momento come questo. All’inizio della mia carriera ho sempre voluto vincere uno Slam, ma con il passare degli anni diventare il numero uno del mondo era qualcosa che inseguivo. Avevo bisogno di migliorare come solidità e nelle ultime due stagioni ci sono riuscito. Sono felice». Il 15 maggio, giorno della finale di Roma vinta sul Djoker, lo scozzese aveva 9.025 punti di ritardo. In meno di 6 mesi ne ha recuperati 9.030, per questo i complimenti del re scalzato Nole sono sinceri: «Si merita il primo posto e si merita tutto il mio rispetto, ciò che ha fatto quest’anno, il livello che ha raggiunto, è qualcosa di eccezionale». Il serbo, tuttavia, può ancora chiudere l’anno al vertice se vincerà tutte le partite del Masters.
DONNE E COACHIl numero uno di Andy parte da lontano, dalle sfide contro il muro con il fratello Jamie (che ad aprile è stato primo nel ranking di doppio, un’annata memorabile per la famiglia) sotto gli occhi di mamma Judy, prima allenatrice e ancora oggi la consigliera più ascoltata, dalle scatole di Monopoli gettate per aria quando perdeva, un verbo che non gli è mai piaciuto e anche da una tragedia sfiorata, la strage del 1996 alla scuola di Dunblane, il paese natale, evitata solo perché quel pomeriggio era già tornato a casa. Muzza in pratica si è fatto da solo, scegliendo di trasferirsi a Barcellona da adolescente unicamente con il sostegno di mamma, a un certo punto ha perfino smesso per provare con il calcio e certo non è mai stato lo stereotipo del ragazzino monomaniaco per la racchetta, anzi: in camera aveva i poster delle star del wrestling e dei calciatori Owen e Fowler., anche se non ha mai fatto il tifo per il Liverpool. Soprattutto, sono sempre esistiti due Murray: quello fuori dal campo, ironico, spiritoso, pronto alla battuta, senza vizi (l’unica volta che si è ubriacato, a Barcellona, è stato così male che da allora non tocca alcolici) e innamorato da sempre di Kim Sears, oggi sua moglie e seconda donna più importante della sua vita; e quello in campo, enormemente talentuoso ma tante volte irascibile e spesso in conflitto con se stesso. Per domarlo, ci voleva la scorza dura di Lendl: Ivan c’era alla prima esplosione, nel biennio 2012-2013 e c’è adesso, nella consacrazione definitiva: da quando è tornato, l’allievo ha un bilancio di 47-3. Non andranno spesso a cena insieme, però che coppia.