Alessandro de Calò, La Gazzetta dello Sport 8/11/2016, 8 novembre 2016
IL VALORE SIMBOLICO DELL’EREDE DI DI STEFANO
Chissà se in questi giorni, in qualche sperduta cittadina dell’Europa o su un’isola in mezzo all’Atlantico, un padre percosso dai fatti e affascinato dai personaggi famosi deciderà di battezzare il figlio col nome di Donaldo in onore di Donald Trump. Magari, crescendo, Donaldo potrebbe diventare uno dei più forti giocatori del mondo e dominare a sua volta la scena dei media, come sta facendo adesso Cristiano Ronaldo che tiene impressa nel nome la fascinazione dei genitori per Ronald Reagan, altro ingombrante personaggio diventato a un certo punto centrale nella politica Usa e nella pancia del mondo. Aspettando eventuali sviluppi, non ci resta che seguire con simpatia questo bivio importante nella carriera del miglior giocatore di calcio – con sembianze umane – della nostra epoca. Al di là dei soldi e dei formidabili interessi commerciali legati al rinnovo contrattuale di CR7, resta evidente il valore simbolico di tenere vivo il matrimonio tra il Madrid e il fuoriclasse portoghese. Ha ragione il presidente Florentino Perez a ricordare che ci sarà un prima e un dopo Cristiano Ronaldo e che Di Stefano sarebbe orgoglioso del suo erede. Sono parole pesanti, che valgono un’incoronazione e segnano il riconoscimento – anche istituzionale, forse definitivo – del peso di Ronaldo nella storia del Real. Non è sempre stato così dolce il rapporto con il club e il suo patron.
Del resto quando Cristiano era arrivato a Madrid, nel 2009, assieme a Kakà e Benzema, non era esattamente il fiore all’occhiello nelle opzioni del vecchio collezionista di “galacticos”. Lo è diventato con il tempo e i risultati conquistati sul campo. Per noi è quasi normale, siamo abituati, ma non possiamo dimenticare che nelle 360 partite giocate con il Real, Cristiano Ronaldo ha segnato 371 gol. Umano, ma mostruoso. A Madrid, CR7 ha cambiato atteggiamento e ruolo sul campo (arrivando al top dei 66 gol e 22 assist nella stagione 2014-15) e con un faticoso lavoro quotidiano ha trasformato il fisico, alto e slanciato, in una macchina di muscoli totale. Al contrario di Leo Messi che resta un marziano – e si misura con Pelé, Maradona e i grandi di sempre ¬ Cristiano Ronaldo non è stato illuminato da grazia divina. Ha dovuto lavorare nel purgatorio del suo talento con rigore operaio e una costanza che lo avvicina al maestro Di Stefano. Per don Alfredo, il Bernabeu era la “fabrica”. Un posto di lavoro dove guadagnarsi il successo con fatica. Ecco l’eredità. Il quarto Pallone d’oro che può arrivare (magari lasciando il Fifa World Player a Messi), è soltanto un’altra tappa del percorso che continua.